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Brandelli di tempo

di Pasquale Scarpati
Dalì. Persistenza-della-memoria. 1931 [1]

 

Il moderno mezzo veloce percorre rapidamente l’antica tratta.
Pandataria, la bruna, distesa sull’acqua si avvicina rapidamente. Invano il maniero borbonico reclama la sua parte. Ingiallito dal tempo rimane arroccato, solitario, a ripensare al passato.
L’agile natante si trascina nel porto e poi di nuovo velocemente riprende la corsa verso l’Isola che, a causa dell’aria tersa, sembra vicina. Comincio a svegliarmi dal torpore e subentra in me un’agitazione quasi infantile.
Vorrei alzarmi per vedere la costa avvicinarsi quasi a tirarla con gli occhi. Non mi muovo ma il mio sguardo si allunga ora sulla destra ora sulla sinistra. Finalmente a sinistra sfila velocemente “La Botte” mentre a destra Zannone non si decide ad essere oltrepassato: si allunga a tratti e poi si ristringe. Ma quando, finalmente, Gavi mostra la sua interezza comincio ad avvicinarmi dove hanno riposto il bagaglio.
Mi accorgo di essere il primo. La rada si presenta quasi vuota. Scendo e mi incammino sotto il sole ancora caldo. Una lieve brezza attenua la calura. Respiro. Una persona si avvicina e mi propone… Sorrido, mi stringo nelle spalle e, con un diniego del capo, tiro via. Forestiero in patria!
Don Ramon celebra Messa. Intona canti. Non mi siedo nei primi banchi: preferisco restare un po’ appartato ed osservo le cose già note e nello stesso tempo mi pongo mille domande. Terminata la ‘funzione’, salutate con affetto le persone conosciute ho avuto un tuffo al cuore nell’incontrare altre che ricordavo vagamente: Tina e Maria. Abbiamo parlato un po’ sommariamente.
Ahi la fretta del tempo che corre! Mi sono voltato e mi sono rincontrato con… il martirio di S. Sebastiano; davanti a me la vetusta balaustra semi nascosta e con qualche lesione nel marmo.
Mons. Dies porgeva, a me inginocchiato, per la prima volta la particola consacrata mentre uno dei due chierichetti, con la cotta bianca, teneva il piattino sotto il mento. Canti e profumo intenso d’incenso. L’organo sulla sinistra, dalla parte opposta dove è adesso collocato. Io costantemente al secondo banco, un po’ defilato. Sacrestia affollata, buco da dove pendono le corde delle campane.

La sera è fresca e il quadro della Madonne Della Grazie è illuminato a festa. Mamma avrebbe voluto che i miei bagni iniziassero dopo tale festa, ma mai ho ascoltato tale consiglio. Un altro bianco, diverso dalla rena, staziona dietro la Caletta ed il mare è stato respinto oltre la vecchia scogliera.

A passi svelti ci dirigiamo verso la collina della Madonna. La parata si apre con il rumore dei flutti che si infrangono sulle rocce. Cerco di sporgermi un pochino: non mi basta vedere l’onda lontana sui faraglioni. Sulla sinistra sono entrato nell’edificio con la cartella ed il grembiulino e con il fiocco di colore diverso a seconda della classe che frequento: odore di gesso e di matite.

Bisogna andar via e salire. Il mio passo è più veloce di chi mi accompagna così ogni tanto sono costretto a fermarmi.
Mi dice: “Sta aperto fino alle 19 e trenta”; mi rassereno un po’.
Andiamo là dove riposa Giorgio e lei mi invita a dire delle orazioni. Accetto. Ma il tempo stringe e quindi decidiamo di continuare a dirle camminando. La mia Sibilla, però, mi ha letto nel pensiero e mi accompagna, indicando.
Su e giù per le scalette, nei vicoletti, entrando a volte in quelle dimore prive di qualsiasi comodità, inutili per chi vi abita, oppure sbirciando oltre il vetro, ho rivisto i nonni, i parenti, l’antenato, ho rivisto persone, umili e non; ho rivisto gli eventi, ho sentito le voci, ho rivisto i luoghi. Ho rivissuto l’Isola.
La Sibilla mi dice : “Vuoi vedere…” ed io non solo accetto ma, incurante del tempo che passa, propongo anche. Le orazioni non vengono concluse. La preghiera diventa il passato, infinito. L’orologio ha smesso di indicare i secondi anzi è svanito dal polso: si è dissolto. Un groppo sale e non riesco a nasconderlo.
Mi dice: “Ho visto: ti sei emozionato”. Ho notato come agli antichi piace stare insieme nelle foto. Accarezzo tutti; dove è possibile con le mani altrimenti con gli occhi.
Dico a nonna:” Finalmente ti ho ritrovata”. Mi risponde: “ Non ti preoccupare, ho sempre in serbo, per te, ciò che a te più piace”. I nonni, baffuti, sorridono; sorridono tutti ed io me ne esco consolato anche se il tempo stringe e chissà quando li rivedrò.

Ci avviamo a passi svelti vuoi perché in discesa vuoi perché si è fatto tardi.
Dico: “Lo sai che qui, al di fuori del cimitero (forse perché non credenti), erano sepolti molti che hanno dato la vita affinché questo Paese potesse avere la libertà e potesse vivere in pace?”
Rimane stupita. Sulla destra è tutto incolto, nessuna traccia.

Prendiamo la scorciatoia che passa dietro la chiesa.
Quasi sul sagrato ci viene incontro una persona.
Dico tra il faceto e l’ironico: “Ci conosciamo?” Ci abbracciamo a lungo. Troppo a lungo siamo stati lontani: si perde nella notte dei tempi. Ma il tempo stringe. Poche parole: gocce d’acqua di una sorgente. Acqua fresca che rigenera. Spesso ci guardiamo negli occhi quasi a carpirci l’anima, a scrutarci, a penetrare con ambo le mani nei pensieri. Poche battute però: il tempo stringe e l’estate è cattiva.
Quando lo rivedrò? Ci siamo promessi… Qualche ostacolo, diciamo burocratico, fa sì che questa “cannarizzia” non si avveri così spesso come vorrei.

Preferisco la lenta nave che ripete l’antica tratta, sia perché lascia la banchina un po’ più tardi sia perché posso assaporare più a lungo ciò che ho vissuto, prima di rituffarmi nel quotidiano.
Sono raggiunto da due forestieri che hanno trascorso, entusiasti, una settimana sull’Isola: li invito caldamente a ritornare affinché possano gustare al meglio le sue bellezze; le più arcane e segrete tenute nascoste come quelle di una donna di altri tempi!

Tanti anni prima [2]

Ponza addì 1- 2 del mese di luglio, 2015

Immagine di copertina. Salvador Dalì: “Persistenza della memoria”, 1931
Seconda immagine: “Tanti anni prima”: foto di Gaia De Luca