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Una nuova speranza (3)

di Francesco De Luca
Ponza Capo Bianco [1]

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Parlerò dell’eusocialità.

Perché metto in campo questo principio biologico? Perché mi appare chiaro che l’individualismo sin qui seguito conduca ad una catastrofe sociale.

Figlio della selezione naturale fra gli individui l’individualismo ha prodotto soluzioni che salvano la condizione degli individui meglio attrezzati ma affossano l’esistenza del gruppo sociale. L’individualismo salva i singoli più dotati ed uccide la vita comunitaria.

Avviene anche nelle società animali. Se si affrontano le avversità ambientali con la sola arma della selezione individuale il gruppo sociale si estinguerà.

Mi dispiace palesarmi come profeta di sciagure ma la mia analisi, corroborata da dati e dall’esperienza diretta, non lascia campo all’ottimismo.

Occorre fare un balzo consapevole e audace. Lo so bene che le famiglie a Formia proliferano e dimorano magnificamente ma il gruppo sociale ponzese deperisce e si consuma. Non si tratta più di salvarsi a livello individuale, si tratta di intraprendere strade evolutive che salvino il gruppo sociale.

L’eusocialità è la strategia biologica secondo la quale un gruppo sociale sceglie di organizzarsi per superare (tutto il gruppo) l’ostacolo esistenziale. Essa nella specie umana ha già mostrato gli effetti benefici. Si tratta di cooperare insieme, di comunicare in modo massiccio, di stabilire legami, di trovare piacere nell’appartenere al proprio gruppo.

Scrive Edward O. Wilson: “L’intelligenza sociale, potenziata dalla selezione di gruppi, fece di Homo sapiens la prima specie pienamente dominante nella storia della terra “ ( pag. 59 – Il significato dell’esistenza – Le Scienze )

Rapportato alla situazione ponzese la scelta intenzionale di perseguire una strada evolutiva improntata all’eusocialità significa manifestare le proprie valutazioni in modo diffuso, usare la comunicazione come veicolo di espressione individuale ma anche come fulcro di adesioni, di scambi.

Comporta anche un altro aspetto: l’autolimitazione.

Non è più vincente la spinta individualistica di: basta che vada bene a me. Questo principio noi ponzesi lo abbiamo seguito con cieca adesione negli ultimi quarant’anni. E ha condotto alla situazione attuale: la selezione fra gli individui sta conducendo alla morte del gruppo sociale. L’individualismo ha fatto il suo tempo, ora è il gruppo che ha bisogno di essere aiutato. Per questo occorre ridimensionare gli appetiti. Occorre una autoregolamentazione.

Che investa anzitutto il territorio. Ponza ha una superficie limitata e non può soddisfare qualsivoglia richiesta. Occorre chiedere al territorio soltanto quello che può dare. Questo principio deve diventare nostro abito mentale. Se ce lo cuciamo addosso, da noi stessi, non sentiremo come oppressive le norme che limitano le possibilità del territorio isolano in merito alle costruzioni, agli approdi, agli ampliamenti e altro.

Limiti che ci vengono imposti dalla Comunità Europea, dallo Stato, dalla Regione.
Le limitazioni non vanno subite, vanno discusse e partecipate.

Questo discorso si attaglia anche al principio del rispetto delle leggi.
Le leggi vanno rispettate ma non subite. Se si ritengono ingiuste o inopportune occorre cercare di cambiarle, ma rispettandole.

Il gruppo sociale vince anche se perde qualche battaglia, anche se vede cadute certe sue rivendicazioni.

Lo spirito di gruppo si rinsalda nell’orgoglio dell’appartenenza. Orgoglio e non fanatismo.

Le Forna e il Porto sono due realtà di una stessa medaglia sociale. Non c’è dubbio che il nocciolo verace della “ponzesità”, oggi, risieda nella comunità fornese in quanto a tradizioni, dialetto, pratiche di vita familiare, perché la comunità del Porto si è ‘imbastardita’ con gli afflussi estranei. Ma i servizi sono quasi tutti operanti al Porto. Così l’una ha bisogno dell’altra. Le confessioni dei turisti attestano che nel paesaggio naturale e umano di Le Forna riscontrano una più autentica insularità, ma la mente operativa dell’isola pulsa al Porto.

Da queste due caratteristiche, essenziali e integrate, la comunità isolana deve trarre sprone per una coesione mirata a rinsaldare lo spirito d’appartenenza, che non è dote ereditaria, bensì traguardo da raggiungere.

Un altro aspetto mi pare possa correlarsi all’eusocialità, riferita alla situazione ponzese. Riguarda la settorialità dell’ambito operativo. In parole povere significa che non è confacente spaziare in diversi settori. O si fa ristorante o si fa pizzeria, o si affittano le barche o si organizzano le gite. Ad accorpare più segmenti di attività si toglie spazio agli altri e ci si impoverisce tutti. Settorializzare la propria competenza e il proprio campo operativo porta coesione nel gruppo e maggiore possibilità competitiva. Come gruppo non come individuo.

Questa è in definitiva la rivoluzione mentale che ci attende: dare spazio al gruppo piuttosto che all’individuo.

Un aspetto ancora va chiarito. L’eusocialità, ovvero la scelta voluta di seguire la selezione dei gruppi a danno della selezione degli individui, presenta punti dolenti.

Nell’evoluzione degli individui si lascia dietro il soggetto meno forte, meno appropriato. Vince il più adatto.

Nella evoluzione dei gruppi vince il gruppo al cui interno c’è chi si sacrifica (per il gruppo stesso).

Ritornando alla situazione ponzese bisognerà attendersi che sul cammino qualcuno venga a perdere.
Non ne farei un dramma. Perché se il gruppo deve avere la meglio sugli individui è chiaro che le perdite spetteranno a chi ha, oggi, più potere, più capacità proiettiva, più possibilità.

Il gruppo è coeso se ciascun segmento è conscio della sua funzione e rispetta quella altrui. Non è ideologia questa. Nelle società animale questo avviene.

Nel quarto capitolo la chiusa.

Ponza d'inverno [2]

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[Una nuova speranza (3) – Continua]