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Una nuova speranza (2)

di Francesco De LucaCala Feola. Tramonto.3 [1]

 

Appare evidente, da quanto scritto nel primo capitolo che, con la fine dell’estate, si assottiglino in maniera corposa le ragioni (economiche e sociali) che inducono la comunità a permanere nel territorio d’origine.

Lo spopolamento è manifesto, è grave e ingovernabile.

Sul Sito se n’è parlato in abbondanza e se ne parla ogniqualvolta l’attenzione esamini la vivibilità dell’isola. Per questa ragione vorrei presentare una diversa valutazione del fenomeno. Il che non esclude la giustezza degli argomenti e delle analisi già fatte. Anzi, vorrei affiancarmi ad esse con questa mia.

Orbene a me appare che la società ponzese stia seguendo in maniera normale la legge della selezione naturale. Quando, col sopraggiungere dell’autunno, variano le condizioni di vita e le possibilità di consumare una esistenza dignitosa vengono meno, gli individui cercano, ognuno per sé, la via per vivere in modo ottimale.

Col venir meno delle condizioni economiche, mediche, ricreative, sociali, nel proprio territorio l’individuo va via, in cerca di una sistemazione migliore. Formia, la presenza dell’ospedale, la possibilità di assistere alla crescita dei figli, supportarli negli studi, inducono gli individui a trasferirsi. Permanere a Ponza non è salutare!

Potrebbe, dico potrebbe, contrastare l’esodo il senso d’affiatamento affettivo, quello culturale. Ma questo non c’è perché non ha mai rappresentato un obiettivo da perseguire, né a livello individuale, né familiare, né pubblico.

Al danno della salute, la permanenza sull’isola aggiunge il senso d’isolamento, la precarietà delle comunicazioni, la scarsità dei rapporti e la loro rissosità. Perché la Chiesa divide i fedeli in fronti contrapposti: i compiacenti e i dissidenti; la scuola contrappone le richieste delle famiglie alle carenze burocratiche; l’Amministrazione divide la popolazione fra i pro e i contro.
C’è soltanto il sentimento affettivo che potrebbe contrastare la separazione e averne ragione. Ma l’affetto ogni individuo lo coltiva per sé.

A me sembra che ciascuno si impatti con le condizioni ambientali a modo suo. Individualisticamente. Secondo il modello della selezione naturale. L’individuo forte vince e supera l’ostacolo. Chi può va via.

La comunità isolana assottigliandosi nel numero perde anche la qualità culturale. A lungo andare rimarrà un gruppo senza identità, soltanto per il tempo strettamente necessario, senza alcuna volontà di tramandare alcunché.

Segnali evidenti sono gli struggenti ricordi che si susseguono su questo Sito. È come se la realtà odierna non riesca a dare emozioni identitarie per cui si cercano surrogati nei ricordi.
La fine è preavvertita e nei ricordi la si scongiura.

Se tutto questo è vero allora c’è da mettere in atto un altro espediente di cui siamo forniti biologicamente. Occorre attivare scientemente la selezione dei gruppi.

Di questo parlerò nel prossimo capitolo.
Alba sulle Ponziane [2]

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[Una nuova speranza (2) – Continua]