Ambiente e Natura

Cattedrali del nostro tempo: Banfi – Montalcino

di Sandro Vitiello

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Se ha un senso pensare ai piaceri della vita come espressione di valori superiori da coltivare e celebrare, ha un senso anche pensare ai luoghi in cui meglio si manifesta come a dei templi.

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Castello Banfi: la cantina di affinamento

In una bella mattina di primavera ho accompagnato un piccolo gruppo di amici a visitare una delle più belle aziende vinicole italiane: Castello Banfi a Montalcino, in provincia di Siena. Toscana.
C’ero già stato altre due volte; ci ritorno volentieri perchè la realtà che vado a raccontare non è solo una bella azienda che fa buoni vini: è molto di più.
E’ un progetto pensato nei primi anni settanta, quando nel nostro paese si consumava tanto vino ma se ne trovava poco di buona qualità e, tranne Veronelli e pochi altri, parlare di territorio,di valorizzazione, di qualità appunto era un’eresia.
Eppure in Italia c’erano già uomini di grande valore professionale che avrebbero potuto dare un indirizzo diverso al settore ma il mondo del vino aveva certezze dure a morire.

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La moderna cantina

C’era ad esempio Ezio Rivella -già allora enotecnico di fama mondiale- che incontrò sulla sua strada i cugini Mariani, americani di origine italiana che del vino avevano fatto professione.
Soprattutto commerciale.
Insieme, a tavolino immaginarono l’azienda perfetta dove si sarebbero prodotti vini di fascia alta e anche di consumo più quotidiano.
Cercarono il posto migliore dove realizzare questo progetto e scelsero il comune di Montalcino, estremo lembo meridionale della provincia di Siena, al confine con quella di Grosseto.

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Castello Banfi a Montalcino

Pensarono ad un vino-bandiera e trovarono nel Brunello di Montalcino il prodotto a cui dedicare maggiori attenzioni.
Non fu una decisione scontata per tante ragioni.
A Montalcino c’erano già cinquanta, sessanta produttori ma gran parte dei vigneti si mischiava con le coltivazioni di grano, di oliveti e di frutta.
Insomma non c’era una vocazione specializzata.
Inoltre il Brunello non era un vino con una grande storia da raccontare.
Se non era per Franco Biondi-Santi che si incaponiva nell’immaginare un prodotto importante fatto con uve difficili da trattare, da quelle parti ci sarebbe stato poco e niente.
Niente a che vedere con la storia del Chianti codificata da Bettino Ricasoli e nobilitata da un sentire comune che portò questo vino ai successi che meritava.
In quel di Montalcino se c’era una memoria storica quella apparteneva al Moscadello, un vino bianco liquoroso, sopravvissuto alla piaga della fillossera e consumato alla fine di pranzi importanti, anche lontano dai nostri confini.

Tommaso Bucci

Tommaso Bucci grande storico di Montalcino e della sua terra, figura di riferimento dell’azienda “Castello Banfi” ci decanta la bontà del Moscadello di Montalcino (guarda e ascolta qui)

Dicevamo dell’incontro tra Rivella con i cugini Mariani.
Verso la fine degli anni settanta il progetto si concretizzo con l’acquisto di una grande estensione di terreni in un “corpo unico”: ben duemilaottocento ettari.
Dimensioni enormi in un comune tra i più estesi d’Italia.
Investimento enorme. All’epoca si parlò di qualcosa come cento miliardi di lire. Una cifra importante anche oggi.
Si costruì una cantina modello dove tutte le fasi della lavorazione avvenivano con criteri di massima efficienza, cercando di salvaguardare e valorizzare in cantina quanto arrivava dalle vigne.
Si pensò inoltre ad una cantina che potesse essere visitabile come regola e non perchè si era amico di qualcuno che vi lavorasse.
Queste affermazioni sembrano scontate al giorno d’oggi ma una quarantina di anni fa non lo erano per niente: erano un’eresia.
L’idea stessa di poter far vedere ai consumatori il modo con cui si faceva il vino portava a pensare che in tanti sarebbero diventati astemi.
Invece no: da quelle parti si definirono delle regole che in tanti avrebbero condiviso.
Non ci si limitò a portare in cantina tutte le moderne conoscenze di controllo delle fermentazioni e affinamento dei vini.
Si lavorò tanto e soprattutto nelle vigne.

Le vigne del Brunello di Montalcino

Le vigne del Brunello di Montalcino

Come si suol dire: buone uve possono (non è scontato) fare buon vino; cattive uve fanno sicuramente cattivo vino.
Basti pensare che a Montalcino Banfi mise a disposizione del professor Attilio Scienza (massima autorità scientifica nel settore) e del suo gruppo di lavoro universitario, ben quaranta ettari di vigne per selezionare i migliori cloni di piante di sangiovese da utilizzare nella produzione del Brunello.
Dopo anni di studio si arrivò a definire che dieci tipi di sangiovese erano particolarmente indicati per fare quel vino in quel luogo.
C’era comunque da salvaguardare un rapporto con la comunità di Montalcino.
Un’azienda così importante con dimensioni così grosse poteva fagocitare tutto quello che le stava intorno creando un deserto.
Invece a volte le buone idee dei singoli possono diventare patrimonio di una comunità.
A Montalcino oggi le aziende che si occupano di Brunello sono diventate più di duecentocinquanta e il nome di questo vino è conosciuto in tutto il mondo.
E’ presente nelle liste dei ristoranti più qualificati e in tanti inseriscono nei loro giri di piacere questa località.
Visitano l’azienda Banfi ma si guardano intorno trovando altre cantine, sicuramente più piccole ma con vini altrettanto buoni.
Ci sono ovviamente tante attività di accoglienza; dai ristoranti agli alberghi.
E poi li vicino c’è anche la Maremma grossetana con Bolgheri e un’altra bella storia da raccontare.

L'enoteca aperta al pubblico

L’enoteca aperta al pubblico

A volte i piaceri della vita sono una bella opportunità per chi sa coglierli e per chi sa valorizzarli.

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