di Sandro Russo
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Il gran lavoro della costruzione della banchine lo fa la draga che scava il fondale, sposta e accumula grandi massi per creare da nuovo il basamento della banchine in modo che a opera finita il risultato è quello che possiamo vedere adesso. Un recente articolo di Sandro Vitiello (leggi qui) ha anche raccontato il lavoro fatto dai ‘locali’ – in cui fu coinvolto anche suo padre Costantino -, di ritagliare blocchi di roccia da Frontone per contribuire alla costruzione della Banchina nuova.
Il ‘mostro’ che fece l’impresa
Ed eccolo ‘l’animalone’ della draga, che ha svolto un lavoro immane nei mesi/anni che è stata impegnata nell’impresa. Lavorava di conserva con un rimorchiatore e una lunga chiatta che andava a scaricare la sabbia scavata al largo e tornava con grossi massi presi a fondo… Non vorremmo sapere dove, ma come per le pietre ritagliate a Frontone, la coscienza ecologica era ancora al di là da venire.
Pare – si favoleggia – che scavando in profondità nelle sabbie del porto sia stato ritrovato di tutto… Si è parlato addirittura di un’insegna in bronzo, con tanto di aquila, di quelle che venivano portate alla testa alle legioni romane.
Le immagini dei luoghi, nelle foto in alto – specie la prima -, fa tanto stampa di Mattei e ricorda le immagini di una Napoli d’antan come si vede nelle vecchie stampe (…a Marechiaro ce sta ‘na funesta ..). Ma la ‘modernità’ ha richiesto il suo prezzo in bellezza, a scambio con utilità ed efficienza, e -come si è detto – era in un certo senso ineludibile
Alla fine però il risultato è più che pregevole.
Nella prima delle foto sottostanti c’é ancora la draga nel Porto – oltre ad una vista d’obbligo alla gloriosa indimenticabile Caletta, cui per esempio “con la modernità” è andata di gran lunga peggio: è scomparsa!
Chiudiamo su Sant’Antonio con una punta di nostalgia, con due immagini – una più vecchia, l’altra più recente – che ci parlano del bel tempo andato…
Sopra: il primitivo chioschetto di ‘Liliana’. Sotto: cocomeri sul muretto di Sant’Antonio
Ringraziamenti. Questa presentazione è stata resa possibile dal lavoro di persone generose – già citate nella prima parte – che hanno messo in comune il loro impegno, il frutto delle loro ricerche e ancora… ricordi e informazioni sul nostro recente passato.
Di un quadro di cui cominciano a perdersi i particolari, si prova a rimettere insieme i pezzi sparsi, grazie all’impegno congiunto di diverse persone, ciascuno con una sua specificità. Qualcuno raccoglie vecchie fotografie con un senso quasi religioso, più che da collezionista; qualcuno gioca con le immagini; altri tentano di ricomporre immagini sparse con un filo guida unitario; altri infine, aiutati da una memoria non comune, richiamano alla mente ricordi che per i più sono solo ombre del passato.
Con le distanze fisiche annullate dalle nuove possibilità di comunicazione, si cerca di fare insieme un buon lavoro anche se molto ancora ne resterebbe da fare, se coloro che possiedono/ricordano vorranno contattarci per aggiungere le loro ‘perle’ a una collana che è ancora solo un abbozzo.
Nessuno vuole rubare niente a nessuno ed alcuni eventi, immagini, storie sono un patrimonio comune, da spartire, piuttosto che tenere in cassaforte per uso privato.
Perciò non vorremmo mai più vedere sul web immagini del genere (ma si trova anche di peggio):
‘Copyright’ su cosa? Su un paesaggio, un tramonto? Diritti riservati sulla bellezza? Sui ricordi?
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[Sant’Antonio com’era. (3) – Fine]
Per gli articoli precedenti, leggi qui e qui
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Appendice 1. Foto inviata da Emanuela Siciliani il 28.03.15
Bravo Sandro per la bellissima ricerca su S. Antonio.
Vorrei aggiungere questa cartolina, una veduta della spiaggia negli anni ’60.
Se si guarda con un po’ di attenzione ci sono io con i miei cugini vicino ‘a lanz’ del cavaliere Nicoletti accovacciato a poppa intento a smontare il motore per portarlo a casa; io sto a prua di spalle… Chissà se il mio legame con S. Antonio non sia iniziato proprio da lì?
E. S.
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Appendice 2 del 29 marzo 2015: la foto inviata da Tommaso Andreozzi:
Appendice 3. In data 30 marzo Giuliano Massari invia una foto e un breve commento
S. Antonio prima del 1930

Antonio Usai
27 Marzo 2015 at 20:47
Raccolgo volentieri l’invito e aggiungo una piccola ‘perla’ alla bellissima ed istruttiva storia di Sant’Antonio e della Banchina Nuova raccontata da Sandro Russo. Nello stesso tempo, colgo l’occasione per rendere omaggio alla memoria di un grande uomo di mare ponzese.
Il Capitano Antonino Montella, mio prozio, quando seppe che la moglie era in attesa del loro primogenito, si trovava sulla sfortunata motonave San Silverio, nel ruolo di primo Ufficiale di coperta. Qualche giorno dopo, giunto a Napoli, l’8 ottobre del 1953 lasciò quella nave, che pure lo gratificava professionalmente, e rientrò in famiglia per attendere con la consorte il lieto evento, previsto per la primavera successiva.
Per inciso, vale la pena ricordare che il San Silverio, sette mesi dopo lo sbarco di Antonino, il 24 maggio 1954 colò a picco nel tratto di mare antistante la cittadina ligure di Camogli con 10 ponzesi a bordo.
Nella primavera del 1954, a Ponza iniziarono i lavori di riempimento e risistemazione del tratto di costa compreso tra la Punta Bianca, la Grotta del grano e il tunnel di Sant’Antonio. La manodopera era quasi tutta locale e per tanti disoccupati dell’isola, la costruzione della “Banchina Nuova” fu una vera manna caduta dal cielo perché il lavoro era sicuro e ben pagato.
Insieme ad altri giovani isolani, con un’imbarcazione a remi, Antonino lavorò sodo per portare a terra centinaia di massi prelevati alla Scarrupata e migliaia di tonnellate di ciottoli sottratti alla spiaggia del Core. Il lavoro era molto faticoso ma almeno c’era la soddisfazione di guadagnare qualche soldo e tornare a casa ogni sera, all’ora di cena, per godersi la famiglia.
Tre mesi dopo la nascita del figlio, passata l’estate, Antonino riprese la via del mare, anche se i lavori della banchina non erano ancora stati completati. Non poteva certo rinunciare alla chiamata di una prestigiosa Società di Navigazione. S’imbarcò sul piroscafo C. Attanasio e ci rimase, senza soluzione di continuità, per quasi due anni, senza mai vedere la famiglia. Di questi uomini, a Ponza, una volta ce ne erano tanti…
Emanuela Siciliani
28 Marzo 2015 at 08:53
Bravo Sandro per la bellissima ricerca su S. Antonio.
Vorrei aggiungere questa cartolina: una veduta della spiaggia negli anni ’60.
Se si guarda con un po’ di attenzione ci sono io con i miei cugini vicino ‘a lanz’ del cavaliere Nicoletti accovacciato a poppa intento a smontare il motore per portarlo a casa; io sto a prua di spalle… Chissà se il mio legame con S. Antonio non sia iniziato proprio da lì?
silverio lamonica1
28 Marzo 2015 at 12:23
Chi volesse approfondire le circostanze che determinarono l’affondamento della M/N San Silverio, citato da Antonio Usai nel suo commento, può digitare in “cerca nel sito”: naufragio m/n san silverio o accedere attraverso il link
Tommaso Andreozzi
29 Marzo 2015 at 22:40
Ciao,
vorrei dare un contributo alla vostra ricerca sui lavori della banchina nuova. Negli anni della costruzione, mio padre Giuseppe detto Geppino, era proprietario di una barca che effettuava la raccolta di pietre alla spiaggia del Core. La barca si chiamava “Vittoria” e vi lavoravano diversi compaesani, che caricarono e scaricarono a mano migliaia di tonnellate di pietre per il riempimento della banchina (si allega foto della barca che scarica il pietrame).
Saluti
Tommaso Andreozzi
Grazie Tommaso,
la foto è stata aggiunta alla fine dell’articolo
S.R.
Giuliano Massari
30 Marzo 2015 at 19:11
Per Sandro e i Lettori di Ponza Racconta:
ho letto con grande interesse il tuo “Sant’Antonio com’era”.
Ti invio una foto (*) dove non figurano le due “garitte” e che forse può aiutare nella datazione.
Ciao, G.
(*) La foto è stata aggiunta alla fine dell’articolo (NdR)