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Tutti i segreti del nuoto

di Adriano Madonna

il nuoto dei pesci [1]

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Come si muovono gli animali marini? Che cosa sono le resistenze di viscosità e le resistenze inerziali? Com’è fatta la pelle di un pesce migratore? Risposte a questi e ad altri quesiti.

In ambiente acquatico ci sono organismi immobili sul fondo, come i sessili, che sono ancorati al substrato senza possibilità alcuna di spostamento, e organismi vagili, capaci di muoversi sul fondo. Questi ultimi hanno possibilità di coprire brevi o lunghe distanze, nuotando, reptando, strisciando.

Ci occuperemo dei sistemi di locomozione di alcuni organismi nuotatori, iniziando dai pesci, che di solito polarizzano di più il nostro interesse e la nostra attenzione.
Innanzitutto, dobbiamo precisare che tutti gli animali che nuotano presentano la caratteristica di un assetto idrostatico che avvantaggia la loro progressione e la loro “sospensione” nell’elemento liquido grazie a un peso quasi neutro.
Nella maggior parte dei pesci, l’assetto idrostatico ottimale si raggiunge grazie alla vescica natatoria, una sacca presente nel celoma (la cavità addominale in cui sono situati gli organi vitali degli animali più progrediti, come il cuore, il fegato ecc) in grado di gonfiarsi e sgonfiarsi come un salvagente (una sorta di giubbetto equilibratore del pesce!).

anatomia di un pesce [2]

In altri organismi, invece, la materia corporea è essenzialmente a base di acqua, quindi l’animale pesa quasi quanto l’acqua, non ha problemi di assetto e deve impiegare energie solo per la sua progressione, ma non per il sostentamento verticale. Esempi del genere sono i molluschi cefalopodi (il polpo, la seppia, il totano), le meduse e tutti quegli organismi sostanzialmente simili a queste ultime, fatti quasi esclusivamente d’acqua, che costituiscono, nel loro insieme, il cosiddetto plancton gelatinoso.

La resistenza allo scorrimento. I concetti di densità e viscosità

Quando si parla delle caratteristiche fisiche e chimiche dell’acqua di mare, si prendono in considerazione la temperatura, la salinità e la densità, ma di solito si dimentica la viscosità. Di solito, dai non addetti ai lavori e nel parlar comune, la viscosità viene confusa con la densità, ma si tratta di due cose del tutto diverse: parlando di acqua, ad esempio, la densità è il suo peso, che, ovviamente, è direttamente proporzionale al suo grado di salinità, poiché quanto più l’acqua è salata (quanto più sale contiene) tanto più è pesante.
La viscosità di un liquido, invece, viene definita come la resistenza che esso oppone alla penetrazione di un corpo, oppure come la resistenza che un filetto fluido oppone alla scorrimento del filetto sottostante.
Quest’ultimo concetto potrebbe sembrare un po’ astruso, ma lo renderemo immediatamente più chiaro: mettiamo su un piano inclinato una goccia d’acqua e una goccia d’olio, che tenderanno a scivolare verso il basso. Notiamo che l’acqua scende più velocemente dell’olio, proprio perché, considerando un liquido come una sovrapposizione di filetti fluidi, nell’olio, rispetto a quanto avviene nell’acqua, ogni filetto oppone una maggiore resistenza allo scorrimento di quello sottostante.
Diciamo, dunque, che nei liquidi più viscosi c’è più coesione tra le varie particelle che lo compongono e questa coesione diventa resistenza allo scorrimento.
Non si creda, comunque, che un liquido più viscoso di un altro sia, rispetto a quest’ultimo, anche più denso.
Ne sono un esempio ancora l’olio e l’acqua: l’olio è più viscoso dell’acqua, ma è anche più leggero (quindi meno denso): infatti, versando olio e acqua in un contenitore, vedremo che l’olio galleggia sull’acqua.

Resistenza e rapporto Wd/Ln

Abbiamo detto che la viscosità di un liquido può essere definita anche come la resistenza che esso oppone a un corpo che lo attraversa, fermo restando che la facilità da parte di un corpo di progredire in un liquido dipende anche moltissimo dalla sua forma e dalla sua massa. Una forma che facilità la penetrazione nel liquido si dice più idrodinamica di un’altra che trova più resistenza proprio in ragione di com’è fatta. E’ questo il motivo per cui quei pesci che nuotano per lunghe distanze, come i migratori, di cui i tonni sono i più simbolici, hanno la tipica forma a fuso. Se, invece di avere il muso aguzzo che “buca l’acqua”, avessero una sorta di muso piatto, opporrebbero maggiore resistenza alla progressione.

tonni [3]

E adesso una chicca per gli appassionati: abbiamo parlato di resistenza opposta dall’acqua durante il nuoto dei pesci, ma possiamo rendere questo concetto molto più preciso, addirittura matematico: la resistenza all’acqua è minima quando la larghezza dell’animale, che indichiamo con Wd, è circa un quarto della sua lunghezza, che indichiamo con Ln. Il rapporto ottimale con cui si raggiunge il minimo della resistenza è pari a 0.25. Tra gli animali marini più idrodinamici, dunque, citiamo il tonno, con rapporto Wd/Ln uguale a 0.28, il pesce spada, in cui il rapporto è 0.24, lo squalo bianco e altri con 0.26, il delfino con 0.25.

Ovviamente, un sarago avrà un rapporto molto diverso e decisamente mano vantaggioso, ma osservate un sarago, un tonno una palamita, un ricciola: anche a naso, vi sembra che abbiano la stessa idrodinamicità? Proprio no! Ma il sarago non ha bisogno di essere molto idrodinamico: essendo un pesce stanziale, infatti, non effettua il giro del mondo come il tonno e non deve macinare miglia di mare!

sarago [4]

Resistenza di viscosità e resistenza inerziale

Abbiamo espresso il concetto della progressione di un animale marino in acqua solo a grandi linee, ma adesso dobbiamo essere più precisi e dettagliati. Un animale che nuota ha, in opposizione al proprio movimento, due tipi di resistenze: la resistenza di viscosità e la resistenza inerziale. Abbiamo detto che la resistenza di viscosità è data dall’attrito tra il corpo dell’animale e l’acqua e che questa resistenza viene aumentata o diminuita in particolare dalla levigatezza della superficie corporea.
Osservando il solito tonno, vediamo che la sua pelle è di “serico” aspetto (come la seta), infatti è abbastanza liscio, ma non del tutto, per un motivo ben preciso. Consideriamo, innanzitutto, che un liquido può essere considerato come una sovrapposizione di strati, che chiamiamo filetti liquidi. La pelle del tonno, liscia ma non esageratamente liscia, presenta quella rugosità minima sufficiente a fare grip (= presa, aderenza – NdR) con l’acqua e a “strapparle” un filetto fluido, che le resta aderente, diventando quasi una guaina che si muove insieme con il pesce. Poiché nulla offre meno resistenza allo scorrimento in un liquido del liquido stesso, ecco che il tonno raggiunge il minimo della resistenza alla viscosità, poiché è come se la sua pelle fosse fatta della stessa acqua in cui si muove.

La resistenza inerziale, invece, dipende proprio dalla forma del corpo ed è influenzabile dalla velocità.

Resistenza inerziale e forma della coda

Sappiamo che l’organo propulsivo dei pesci è la pinna caudale, che chiamiamo comunemente coda. Anche le code, dunque, hanno forme diverse e, quindi, diverse resistenze inerziali all’acqua, poiché nei loro movimenti di spinta contro l’acqua creano turbolenze anche diverse.
Considerando le varie forme delle code dei pesci, precisiamo che quando il rapporto tra la lunghezza dorso-ventrale e la lunghezza antero-posteriore è grande, la spinta che viene prodotta è alta rispetto alla resistenza inerziale. Infatti, la pinna a mezza luna dei tonni, del pesce spada e simili, ha proprio questa caratteristica: il rapporto di forma è elevato, così come la spinta propulsiva.

la pinna caudale del pescespada [5]

Il supporto della coda

Abbiamo detto che la pinna caudale è il mezzo propulsivo dei pesci. Essa è l’appendice posteriore della colonna vertebrale, si muove a destra e a sinistra, a volte impercettibilmente, e genera la spinta in avanti. Il motore che la mette in azione è un sistema di muscoli che percorre praticamente tutto il pesce: una sorta di reazione a catena con una serie di movimenti che si trasmettono alla coda. Quest’ultima, per fare fortemente leva nell’acqua, deve essere ben incardinata alle vertebre terminali della colonna vertebrale, altrimenti non potrebbe sostenere uno sforzo così ingente senza che il peduncolo caudale, cioè quel piccolo segmento che la collega al corpo fusiforme del pesce, si spezzi. Qui, proprio a livello del peduncolo caudale, ci sono degli elementi di rinforzo che supportano la coda: si chiamano ipurali e sono la trasformazione degli archi dorsali e degli archi emali delle ultime vertebre posteriori della colonna vertebrale in piastre piatte e larghe.

La prossima volta che mangerete del pesce, se avrete nel piatto una bella spigola, un dentice, un’orata, sollevate con delicatezza pelle e polpa del peducolo caudale e potrete osservare gli ipurali.

Il nuoto dei cefalopodi

I molluschi cefalopodi (il polpo, la seppia, il calamaro, il totano) sono in grado di raggiungere le velocità più alte tra gli invertebrati, potendo toccare i 40 km orari circa. Sappiamo che, a differenza dei pesci, i molluschi cefalopodi, non avendo pinne, nuotano grazie a un sistema a jet: acqua a pressione viene espulsa attraverso un organo detto imbuto e il cefalopode si muove a reazione. Tutto ciò funziona grazie a un particolare sistema muscolare situato sul mantello del mollusco, ricordando che quest’ultimo è la sacca situata al di sopra della testa, dove sono contenuti gli organi vitali.

totano 3 [6]

Seppia [7]

polpo che corre [8]

E’ interessante notare che questi muscoli, sia contraendosi sia decontraendosi, non mutano la forma esterna del mantello. Per questo motivo, si parla di un sistema a volume costante detto “idrostato muscolare”. Il sistema è formato da due tipi di muscoli: i circolari e i radiali, mentre lo spessore del mantello presenta particolari fibre di collagene disposte obliquamente. Il sistema di muscoli circolari, adepto alla contrazione del mantello, è fatto di tre strati: uno esterno, uno intermedio e uno interno. Quando il cefalopode si muove con nuoto lento nei lunghi spostamenti, si attivano lo strato interno e quello esterno, necessari anche alla respirazione. Nel momento in cui l’animale deve aumentare in tutta fretta la propria velocità, come quando aggredisce una preda o fugge da un predatore, entra in azione lo strato centrale.
I muscoli radiali, a differenza di quelli circolari, sono deputati solo alla respirazione.
I muscoli del mantello dei cefalopodi hanno anche altre funzioni: in particolare, il calamaro, muovendo i muscoli del mantello, riesce a mutare il volume del celoma (la cavità interna) senza alcun cambiamento di forma del mantello, quindi senza influenzare le resistenze alla progressione nel mezzo liquido.

 

Adriano Madonna, Biologo Marino, EClab Laboratorio di Endocrinologia Comparata, Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Napoli “Federico II”

 

Bibliografia

C. Agnisola, Fisiologia degli organismi marini, Università di Napoli Federico II;
A. Poli, Fisiologia degli animali, Zanichelli;
C. Motta, Lezioni di anatomia comparata, Università di Napoli Federico II;
G. Ciarcia e G. Guerriero, Lezioni di zoologia, Università di Napoli Federico II;
E. Padoa, Manuale di anatomia comparata dei vertebrati, Feltrinelli;
Hill, Wyse, Anderson, Fisiologia animale, Zanichelli;
Wehner, Gehring, Zoologia, Zanichelli.

 

Appendice (foto inviata da Sandro Russo)

Correlazione tra il movimento e l'assetto della coda [9]

Correlazioni tra il movimento e l’assetto della coda