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Mediterranea, di Antonio De Luca

di Rosanna Conte
748 [1]

 

15 marzo, 2015
Il tema più dibattuto nell’ultimo mese, al di là di quelli di interesse locale, è stato il Mediterraneo che in maniera altalenante o è stato descritto come luogo di formazione di alti valori umani, sociali e culturali tuttora validi – ricchezza su cui l’Europa intende costruire il futuro – oppure come Eden ormai perduto dove restano solo le macerie di un mondo che fu.

mediterraneo [2]

Ponte fra terre e crogiuolo in cui si sono mescolati popoli che hanno prodotto quei valori e quelle culture – vedi gli articoli di Sandro Russo sul Museo di Marsiglia (MuCem) e quelli di Paolo Iannuccelli sulla varietà compositiva degli abitanti di Latina – [digita – Mediterraneo – nel riquadro “Cerca nel sito”], luogo di scambio e di pace in alcuni momenti della sua storia, ma molto più spesso, campo di guerre e di scontri inenarrabili, il Mediterraneo sembra aver esaurito la sua funzione ed è indubbio che un’analisi della condizione in cui versa oggi ci può spingere a conclusioni pessimistiche. Anche l’Europa sta scegliendo di muoversi guardando alla sua parte continentale mentre la voce dei paesi mediterranei diventa più fioca.
Sballottata fra momenti di angosciosa delusione e sprazzi di riconoscimento di forti ancoraggi al passato, ho ritrovato una voce di speranza in “Mediterranea”, l’ultimo lavoro di Antonio De Luca che riprende, integrandoli, temi già presenti in Adespota e in Vinea loquens (leggi qui [3] e qui [4])

Punta Fieno casa A. [5]

Mi son detta che, nonostante tutto, c’è ancora un’anima poetica che si stende sul Mediterraneo e, vagando per i suoi grandi e antichi porti, simili l’uno all’altro, trova la sua libertà.

Il nostro è un poeta-viandante alla ricerca del proprio destino. E la sua anima errante, piena di amore per il mare – questo mare – e di fantasia, ha davanti a sé l’orizzonte a cui guarda il Mediterraneo: il mondo classico con la sua bellezza, i suoi valori, la sua cultura.

l'olivo [6]
I suoi versi iniziano con un canto all’ulivo, emblema dell’umanità vissuta sulle sue sponde, sentinella sui limiti di ciò che è o non è più Mediterraneo, come dice il documentario francese su RAI5 (guarda e ascolta qui [7]). Con esso, da millenni, il fico e la vite danno frutti, riparo e accoglienza ai popoli delle sue sponde che condividono il comune sentire della vita, tanto che hanno assunto somiglianze in cui si possono annullare le distanze spaziali: “un borgo è il mio mediterraneo”. 

I grandi porti come Napoli, Marsiglia, Algeri, Alessandria, Beirut non sono tanto diversi fra loro perché sono sempre stati, e ancora oggi sono, luoghi di mescolanza dei popoli mediterranei.

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Beirut, luogo critico per eccellenza anche nella bailamme di oggi, li rappresenta tutti.
Nella medina di Beirut il poeta-viandante, mentre avverte gli odori del Fieno e ascolta ciò che la memoria gli dice, non può non esclamare addolorato “ah! quel mare di gioie e scoperte divenuto lacrime e sangue”.

Casa del Fieno di Antonio [9]
Ma reagisce pensando che può ancora far rivivere speranze e illusioni guardando a quel mare che gli spazia davanti, “cassaforte dell’innocenza”. Il Mediterraneo non è solo mare, ma è essenzialmente civiltà, cultura, passione, spazio mentale. Ecco, è immergendosi in questo suo significato profondo che il poeta può attingere l’innocenza che, al di là della purezza di sentimenti e dell’amore di conoscenza, è la capacità di guardare al mondo con l’animo mediterraneo.

beirut-panoramica-della-citta [10]
A Beirut, se il poeta-viandante ha ritrovato l’essenza del Mediterraneo, non ha trovato il disvelamento del proprio destino. Il mare, che pure ne traccia le rotte, non glielo svela, ma gli offre la possibilità di vivere la diversità di visioni e sensibilità che sono nel ventaglio della vita di ognuno di noi: una continua ricerca di idee, valori, punti di vista sulla realtà, su cui ancorare i diversi sé che, pur estranei l’uno all’altro, ognuno si porta dentro.

Così comprende che la libertà è “amare la bellezza – lasciare al mondo nuovi segni – ogni giorno dare forma a una ragione dell’esistenza”.

Rimane, comunque, il mistero che le parole non possono svelare, per questo è “il silenzio – la parola perfetta che tutto contiene”, un silenzio che è pieno dell’amore per il mare che gli ha trasmesso suo nonno nelle instancabili silenziose ore trascorse sulla barca a pescare. Paradossalmente ciò che esiste non è l’urlo, ma il silenzio gravido di parole, e la salsedine con cui il libeccio copre la vigna al Fieno è silenziosa anch’essa, come il mare che compie i destini degli uomini senza usare parole.

Fieno.-Terrazzamenti [11]
Una visione che, per quanto possa presentare qualche interrogativo sul valore del silenzio e della parola, apre una strada abbastanza possibilista di recupero del concetto-valore Mediterraneo.

E’ pur vero che i poeti, nella prosaicità popolare, sono considerati sognatori, ma la loro parola non nasce dal vuoto. Dice Costantino Kavafis:

No, tu non menti poeta.
Il mondo che tu vedi
è quello vero.
Solo le corde della tua lira
sanno la verità
e in questa vita sono
per noi le uniche guide più sicure

Lira-2 [12]