Ambiente e Natura

Quelle cisterne “fatte in casa”

di Luisa Guarino

 

Leggendo i pezzi che Sandro Russo ha scritto sulle cisterne di Ponza e non solo (leggi qui e qui), prendendo spunto dalla rinata attenzione intorno a grandi e importanti strutture come quella della Dragonara, della Parata e del Comandante, ho ripensato a quelle cisterne meno grandiose dal punto di vista architettonico, ma assolutamente utili e funzionali, che ho conosciuto nella mia vita sull’isola.

Nonna Fortunata

Luisa e Silverio con nonna Fortunata

I ricordi partono da lontano. Da quella casa in Via Roma dove nonna Fortunata e zia Concettina Mazzella, quando io e mio fratello eravamo bambini, gestivano l’osteria (all’epoca non si parlava di bar) “Il rifugio dei naviganti”.
Come accadeva per molti esercizi commerciali, la stanza esterna fungeva da locale pubblico, mentre nelle stanze interne si abitava. Ebbene, nell’angolo destro della prima stanza c’era una cisterna, che a Ponza si chiama anche piscina; in realtà era un pozzo, profondo e con il tipico ‘ingresso’ cilindrico, che a sua volta comunicava con un vano molto più ampio sottostante (1).
Quella cisterna-piscina-pozzo, ricordo, veniva usata soprattutto per tenere al fresco il cocomero (mellone d’acqua) tutta la mattinata, per poterlo gustare bello fresco all’ora di pranzo: si metteva l’anguria nell’apposito secchio con la corda sempre a disposizione e si mollava finché non era completamente immerso. Una frescura naturale assolutamente straordinaria.
La prima volta che abbiamo dato quel locale in mano a terzi il pozzo è stato riempito di calcinacci e poi ‘cancellato’ dalla vista.

Zia Concettina

Luisa e Silverio con zia Concettina

Nella casa alla Parata invece la cisterna occupava un posto centrale sul pianerottolo del primo piano dove abitavamo, al quale si accedeva mediante una lunga scala.
Solo riflettendoci ora mi rendo conto che all’epoca non avevamo l’acqua corrente in casa: quand’ero bambina però non me ne sono mai accorta, anche perché l’approvvigionamento e la relativa distribuzione per le diverse incombenze di cucina e bagno venivano puntualmente assicurati da nonna e mamma. Noi eravamo solo utenti, un po’ viziati e molto contenti.
Quella cisterna casalinga, per la cronaca, è vicinissima a quella enorme della Parata utilizzata in tempo di guerra di cui hanno diffusamente parlato sia Rita Bosso (leggi qui) che lo stesso Sandro.

Ma il mio rapporto ‘diretto’ con le cisterne ponzesi non finisce qui. Per alcuni anni, io e mio fratello Silverio eravamo adolescenti, abbiamo vissuto in una casa sulla Dragonara alta, ma parecchio alta, laddove attualmente vivono Michele Rispoli e sua moglie Lucia Coppa.
Ebbene anche lì all’epoca niente acqua corrente ma un bel pozzo al quale si attingeva per ogni necessità: oggi sembra perfino impossibile pensarci, ma allora era tutto talmente normale e semplice. Non ci sentivamo certo limitati anche se in terraferma eravamo da sempre abituati all’acqua corrente e riscaldata.
A questo proposito, il ricordo più ‘vibrante’ di quel periodo è quello di certe docce sul posto, ghiaccio liquido: roba che al confronto quelle fatte dopo il bagno a mare da Enricuccio Migliaccio nella sua grotta di Chiaia di Luna sembravano tiepide.

L’ultima in ordine di tempo si trova anch’essa sulla Dragonara, ma nella parte molto più bassa: esterna all’abitazione e ad essa collegata da uno stretto viottolo.
Fino a non molti anni fa, grazie a una pompa immersa sotto il livello dell’acqua, grazie a quella cisterna, in caso di bisogno legato a carenze di approvvigionamento idrico, l’acqua corrente in casa non mancava mai.
In quel pozzo veniva raccolta l’acqua piovana e per far sì che potesse essere sempre pulita i tetti delle case circostanti venivano regolarmente puliti e imbiancati.
Certamente a Ponza ne esistono ancora diverse. E magari i loro proprietari grazie ad esse non avranno avuto problemi anche con l’emergenza del mese scorso, quando per oltre dieci giorni le navi cisterna non hanno potuto approvvigionare l’isola.

 

Nota
(1) – Per i ricordi di Rita Bosso della piscina casalinga, leggi qui

3 Comments

3 Comments

  1. Adriano Madonna

    25 Febbraio 2015 at 08:11

    Ho letto l’articolo “Quelle cisterne fatte in casa”, di Luisa Guarino, che mi ha portato molto indietro, ai felici tempi della mia briosa giovinezza.
    Innanzitutto, ho letto del “Rifugio dei Naviganti” e vorrei chiedere se si parla di quel ristorante ubicato sulla salita della chiesa di Ponza.
    Tanti anni fa lo frequentai molto: ricordo che lo gestiva un caro amico, il maresciallo Franco Amoriello. Spesso, al Rifugio dei Naviganti io e gli amici portavamo i migliori frutti delle nostre battute notturne di pesca subacquea.
    Ma torniamo alle cisterne di Ponza.
    Ho un ricordo fantastico di una cisterna che si trovava a Le Forna, ma era una cisterna speciale e vi racconto il perché. A Le Forna c’era (e probabilmente c’è ancora) una lunga gradinata che scendeva verso il mare costeggiando un grande muro. Avevo notato un grosso tappo di legno o qualcosa di simile (i ricordi sono affuscati dalla nebbia del tempo) che spuntava dal muro, con delle gocce d’acqua intorno. Estrassi con le mani il tappo e venne fuori una cascata d’acqua fredda e pulita. Eravamo in agosto, in una tenda da cui alle sei del mattino dovevi scappare via per il caldo insopportabile; inoltre, la vita del campeggio e tutto il resto non faceva di me e gli amici dei campioni di pulizia. Quel bel getto d’acqua, dunque, era la manna che cadeva dal cielo, ma volli fare le cose per bene: innanzitutto, rimisi a posto il tappo, poi mi recai nel negozietto di Donna Brigida e comperai shampo e sapone, dopo di che ritornai alla cisterna, tolsi il tappo e restai a crogiolarmi sotto l’acqua per una eternità. Quella doccia inattesa e stupenda la ricorderò per tutta la vita.

  2. arturogallia

    25 Febbraio 2015 at 08:30

    Ho la fortuna, non per meriti miei, di poter utilizzare una casa che i miei genitori comprarono nel 1988, quando i prezzi delle case erano accessibili e si potevano acquistare (oggi quella casa non potremmo comprarla). Nel ristrutturarla, mio padre pretese che il vano della cisterna venisse mantenuto e addirittura ampliato, con grande stupore degli operai che allora pensavano fosse solo uno spreco di spazio. Oltre a ripristinare il vano, fu ripristinato il sistema di raccolta dell’acqua piovana dal tetto (a cupola). Successivamente, fu allacciata anche alla rete idrica pubblica. Oggi la cisterna ci permette di avere un’ottima disponibilità d’acqua per tutto l’anno, soprattutto in estate.

    Detto ciò, una domanda.
    Delle cisterne pubbliche se ne è parlato tanto e spesso ed esiste una sorta di mappatura.
    Delle cisterne ad uso privato se ne parla poco, sebbene si parli spesso del problema generale dell’approvvigionamento idrico sull’isola.
    Sarebbe, dunque, interessante fare una mappatura delle cisterne/pozzi/piscine private distinguendole tra storiche (ante 1945) e contemporanee (post) e distinguendone anche la destinazione d’uso?
    Non sarebbe certo un censimento a fini fiscali, bensì cotestualizzato nel più ampio quadro del recupero della memoria storica e dei saperi (idraulici, in questo caso), “mmissione” sensibile alle nuove generazioni di ponzesi e a questo sito web (e alle persone che vi gravitano intorno).
    Recuperare la memoria del patrimonio idraulico di Ponza sarebbe importante per le generazioni future, ma anche per i politici più interessati al denaro che a trovare una reale soluzione (si legga: caso acqualatina, dissalatori, acquedotto…).

  3. silverio lamonica1

    25 Febbraio 2015 at 15:54

    Su a La Dragonara, dove abito, ho anche io una cisterna: è comodissima, specie d’estate per innaffiare l’orto e per sopperire alle carenze dell’acquedotto che talvolta capita quando le navi cisterna non possono approdare a causa del levante. E’ da sciocchi privarsene, specie ora che subentrerà Acqualatina che ha sollevato un forte malcontento in tutta la provincia. Ottima l’idea di fare un censimento delle cisterne private.

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