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Oggi, 10 febbraio, ricordiamo le foibe

di Rosanna Conte
Foibe. Giorno-del-ricordo [1]

 

Si dice che, per par condicio, se si parla dell’Olocausto si deve parlare delle Foibe. Così la nostra classe politica, abituata all’uso politico della Storia, ha istituito nel 2004, il Giorno del Ricordo, per non dimenticare le vittime della violenza dei comunisti di Tito, e bilanciare il Giorno della Memoria, il 27 gennaio, che ricorda le vittime dello sterminio nazista (leggi qui [2]).

In realtà le due vicende sono diverse per motivazioni, ampiezza e modalità di svolgimento, anche se il doloroso, crudele e disumano esito può farle sembrare simili.

Ovviamente solo chi non conosce la storia ed è offuscato da preclusioni ideologiche può pensare e dire che siano della stessa natura e parlarne in maniera speculare sia un giusto contrappeso.

Senza voler affrontare in profondità le due dinamiche, perché non abbiamo intenzione di fare una lezione di storia, pensiamo che sia utile indicare le loro caratteristiche nel rispetto, questo sì, di quanto le ricerche storiche hanno evidenziato.

Intanto, lo sterminio degli ebrei e dei rom, pianificato a tavolino, affondava le sue radici in una ideologia razzista che li riteneva inferiori agli ariani e, non essendo sufficiente espellerli da paese, siccome erano anche infidi, maligni e cattivi, bisognava eliminarli per evitare che si mescolassero con la razza superiore, imbastardendola. Quindi si trattò di un vero e proprio genocidio che fu messo in atto con strumenti e procedure che richiamano la razionalità dell’industria moderna. Gli ebrei e i rom non erano persone, ma pezzi da lavorare per farli scomparire. E ne scomparvero almeno 6 milioni.

Queste idee allucinanti erano propagandate tranquillamente ed erano recepite dai tedeschi che appoggiavano Hitler senza alcun dubbio. La loro applicazione travolse anche altre categorie di esseri umani (avversari politici, omosessuali ecc) aggiungendo ai milioni precedenti, altri 5 o 6 milioni di vittime.
Cosa furono le foibe e dove affondavano le loro radici?
Le foibe erano le voragini rocciose, a forma di imbuto rovesciato, presenti nel terreno carsico che potevano raggiungere anche i duecento metri di profondità. In queste voragini furono buttati, dai partigiani iugoslavi di Tito, nel 1943 e poi nel 1945, migliaia di italiani, fascisti e non, ma anche oppositori sloveni e croati, sebbene in misura minore.

Di queste stragi, in Italia, si tacque, nell’immediato dopoguerra. Non ne parlarono i comunisti italiani, per ovvie ragioni di vicinanza ideologica a Tito, ma non ne parlarono nemmeno i vari governi democristiani perché, con la guerra fredda e la spaccatura dell’Europa nei due blocchi, l’occidentale e il sovietico, la Iugoslavia di Tito, che si era resa autonoma da Mosca, rappresentava un cuscinetto per ammortizzare eventuali spese militari di sorveglianza dei confini.

Ma gli storici, pur nel silenzio della pubblicistica nazionale, svolsero il loro lavoro avviando l’analisi e la ricostruzione della vicenda.

Il primo fenomeno delle foibe avvenne in Istria e in Dalmazia, nel clima di vendetta che seguì l’armistizio dell’8 settembre del ’43, con l’uccisione da parte dei comunisti di Tito di alcune centinaia di italiani.

In successione, i nazisti per occupare l’Istria, guidati dai fascisti, la misero a ferro e fuoco con l’incendio di decine di villaggi, l’uccisione di 3000 partigiani e la deportazione nei campi in Germania di 10.000 persone. Anch’essi usarono le foibe per far scomparire rapidamente i cadaveri.

Il 1º maggio del 1945, la IV Armata di Tito entrò a Trieste e nelle stesse ore altri reparti titini entrarono a Gorizia. Tito ordinò al suo ministro degli esteri Kardelj di epurare subito, scatenando un’ondata di violenza che portò all’arresto di molte migliaia di persone (si parla di 5 /6000) – in gran parte italiane, ma anche slovene contrarie al progetto politico di Tito -, a centinaia di esecuzioni sommarie e a deportazioni in campi di prigionia e nelle carceri..

Nel 2001, la commissione italo-slovena,  istituita nel 1993 con accademici dei due paesi, nella sua relazione ha scritto: «Tali avvenimenti si verificarono in un clima di resa dei conti per la violenza fascista e appaiono essere il frutto di un progetto politico preordinato in cui confluivano diverse spinte: l’eliminazione di soggetti legati al fascismo e l’epurazione preventiva di oppositori reali». Il tutto nasceva «da un movimento rivoluzionario che si stava trasformando in regime, convertendo quindi in violenza di Stato l’animosità nazionale ed ideologica diffusa nei quadri partigiani».

Quindi, come scrive lo storico Roberto Spazzali:  “Le foibe furono il prodotto di odii diversi: etnico, nazionale e ideologico. Furono la risoluzione brutale di un tentativo rivoluzionario di annessione territoriale. Chi non ci stava, veniva eliminato”.

L’odio verso gli italiani affondava le sue radici abbastanza indietro nel tempo, quando l’Istria e la Venezia Giulia erano diventate italiane, cioè alla fine della prima guerra mondiale. Già allora, il nazionalismo imperante aveva provocato per mano dei fascisti, il 13 luglio del 1920, l’incendio dell’hotel Balkan a Trieste, sede del più importante centro culturale sloveno, il Narodni Dom, e quando Mussolini, che aveva plaudito a questa devastazione, prese il potere, impose l’italianizzazione degli abitanti di queste zone, obbligando i serbi e i croati a dimenticare la loro lingua al punto da cambiare anche la forma dei loro cognomi. Le devastazioni fasciste, propagandate come azioni contro una “razza inferiore e barbara”, fecero nascere una forte resistenza in Istria, in particolare, che fu combattuta con condanne a morte e condanne al carcere o al confino che si verificarono in tutto l’arco del ventennio.

Durante il periodo bellico, poi, l’occupazione italiana fu particolarmente devastante. Nella provincia di Lubiana, durante i 29 mesi di occupazione, fra il 1941 e il ’43,  furono fucilati 5000 civili e 7000 fra donne, bambini ed anziani, morirono nei campi di concentramento italiani, come Gonars (Udine) e Rab in Croazia.

Gli italiani erano considerati meno feroci dei nazisti e Mussolini riteneva che dovesse “cessare il luogo comune che dipinge gli italiani come sentimentali incapaci di essere duri quando occorre” usando la formula di ritorsione “testa per dente”.

Da qui la sua condivisione della famigerata circolare del generale Roatta, che agli inizi del 1942 avvia l’escalation delle fucilazioni, degli internamenti e delle deportazioni di massa, con la confisca di beni e la distruzione delle case. Nel luglio dello stesso anno si avvia l’internamento in massa degli sloveni per dare le loro terre e case agli italiani: si accerchiava il paese alle 5 del mattino, si concentrava tutta la popolazione in piazza, si sgomberavano tutte le abitazioni entro il pomeriggio vietando di portare bagagli (solo quanto si riusciva  a portare a spalla) e intorno alle 15,30 si partiva.

Si parla di 109.000 civili deportati e, per poter internare tante persone, non essendoci posto in quelli italiani, Roatta fa costruire il campo di Arbe.

Le devastazioni sono tali che lo stesso console italiano di Mostar nel descrivere la situazione dice: “…vere mandrie di relitti umani che di umano non hanno più nulla, vecchi, donne e bambini, laceri, scalzi, affamati e spesso ammalati di tifo petecchiale, erranti da una contrada all’altra… […] Bambini morti lungo la strada ed i loro cadaveri gettati, dai genitori stessi nei burroni… […] intere zone distrutte, la gente, anche non combattente, ammazzata senza pietà ed a volte, purtroppo, anche le donne seguono la stessa sorte; i campi resi deserti e squallidi…”

Ovviamente l’odio che queste popolazioni coltivarono contro i fascisti, nel momento in cui il sentimento nazionalista degli sloveni fu accolto nel progetto iugoslavo di Tito, divenne odio verso gli italiani. Come hanno evidenziato sia la commissione che gli storici, quali Spazzali e Pupo, quest’odio costituì il clima entro cui fu calata la repressione voluta da Tito per affermare il suo progetto politico.

Una quantificazione sicura delle vittime non esiste.

Lo storico Pacor, facendo riferimento ai documenti dei vigili del fuoco di Pola, afferma che nelle foibe istriane finirono dopo l’armistizio 400-500 persone. Inoltre, molti dei 4.000 italiani deportati furono uccisi dopo procedimenti sommari, quindi forse infoibati successivamente. La Commissione storica italo-slovena calcola in “centinaia” il numero delle sole esecuzioni sommarie, senza considerare le foibe in territorio croato. Lo storico Raoul Pupo indica in circa 5 o 6000 il numero complessivo dei morti.

Il numero delle vittime è di difficile attribuzione perché nelle foibe non ci sono solo gli anticomunisti, ma ci sono anche coloro che furono trucidati dai nazifascisti, alcuni condannati a morte dai fascisti (a Basovizza ci sono 4 partigiani condannati dal Tribunale speciale nel 1930) ed anche semplici vittime della guerra che furono infoibate per l’impossibilità di una normale sepoltura.

Tante o poche che siano state e quali esse siano state, oggi ricordiamo  queste vittime.

Foibe [3]

Immagine dal sito http://www.forlitoday.it/ [4] pubblicata in occasione della deposizione di una corona commemorativa alla tabella stradale di “via Martiri delle Foibe” (Quartiere Romiti) – Forlì; 2014