L’articolo di Giuseppe Mazzella – Alle radici dei nostri mali – mi ha dato lo sprone per ulteriormente approfondire “le origini dei nostri mali” che io ricerco nella cultura dominante sull’isola.
Al fine di continuare i ragionamenti intrapresi da tempo, esprimo il mio pensiero in forma di auto-intervista. Mi aspetto critica spero motivata e costruttiva.
V.A.
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I ponzesi sanno fare i loro conti!
Domanda – Perché i ponzesi li chiamano Sang’ ’i Retunne?
Risposta – Perché apparentemente non reagiscono, sembrano freddi, indifferenti ma non è così
D. E quali sono i fatti a cui non reagiscono?
R. Quelli che non danno e non daranno un risultato positivo per loro. Loro riflettono da soli, in famiglia, chiedono in giro, analizzano la situazione e si fanno i conti: “Vale o no la pena di muoversi? Quali sono i costi e i benefici della mia azione?”
D. Sono opportunisti i ponzesi?
R. Sono realisti, cercano di non mettersi nei guai, cercano di portare a casa il minor danno quando sono in difficoltà. Sicuramente, le scelte che andranno a fare, saranno sempre coerenti con la loro concezione della vita privata e sociale.
D. Ma alla fine poi scelgono in modo egoistico? Forse sarà per questo che l’interesse generale non potrà mai essere difeso.
R. Non è vero che non si battono per qualcosa che riguarda anche gli altri. Sanno però, perché vivono da 250 anni in questa isola, che la risoluzione delle cose pubbliche dipende da tanti poteri per cui si sono convinti che il loro impegno personale serve solo raramente a risolvere il problema.
D. Invece, quando i ponzesi agiscono sicuramente senza indugio?
R. Quando devono valorizzare o difendere un interesse privato. Lì non hanno dubbi sanno perché combattono e si organizzano, magari pagando profumatamente commercialisti ed avvocati.
D. Infatti si dice che i ponzesi sono sempre impegnati in cause, ricorsi, esposti e denunce.
R. Meglio i tribunali che le faide di Scampia.
D. Ma è mai possibile che non c’è nessun interesse pubblico che vede il ponzese unirsi?
R. Storicamente c’è stata qualche esperienza: la lotta per chiudere la Miniera, poi quella per il Porto, ma alla fine delle manifestazioni a rimetterci penalmente sono stati i singoli. Questi sacrifici individuali non sono serviti a molto, infatti ancora oggi, la zona mineraria è lì come 40 anni fa e anche il porto a Ponza-centro non è stato protetto. Queste esperienze segnano e fanno cultura! Comunque, malgrado queste esperienze, anche oggi se c’è un’istanza pubblica che i ponzesi ritengono vitale, la difendono, come hanno fatto per conservare l’autonomia scolastica, i collegamenti marittimi e ancora la questione del porto a Cala dell’Acqua per la quale si sono uniti in Comitato e si stanno battendo per tentare di ottenere qualche risultato.
Per i ponzesi il potere è potere!
D. E nei confronti del potere amministrativo, nei confronti del Sindaco come si comporta il ponzese?
R. Il potere è potere! Il ponzese lo esalta se riesce ad ottenere favori personali, lo rispetta pubblicamente e ne sparla alle spalle quando non ottiene il suo immediato tornaconto ma spera di averlo domani, lo avversa pubblicamente se viene bastonato dal potere. Atteggiamento che ripeto essere conforme alla cultura plasmata dall’esperienza in questa isola. Infatti, questi atteggiamenti sono una costante nel tempo: i ponzesi si sono comportati sempre così, chiunque sia stato il Sindaco a Ponza. Solo qualche giorno prima delle elezioni si decide di prendere realmente posizione e qualcuno si improvvisa amministratore. Ma la maggior parte, anche nell’imminenza delle elezioni, promette il proprio voto e quello della sua famiglia a più candidati anche in liste concorrenti: non si sa mai… “chi vince poi comanda e fa legge!”.
D. Ma ci sarà qualcuno che ha un rapporto diverso, più emancipato con il potere, non basato sul dare-avere, ma sui diritti-doveri?
R. Certo, qualcuno c’è, quelli che hanno la possibilità economica/intellettuale di impostare i rapporti con gli altri e con il potere sulla scorta dell’essere e non dell’avere. Quelli che hanno la volontà di combattere per la loro sopravvivenza con la loro faccia, a viso aperto; ma anche questi devono mediare soluzioni tra principi teorici e concessioni possibili. Ma credimi…. a nessuno isolano vengono riconosciute queste caratteristiche perché per i ponzesi, gli unici uomini che non hanno un interesse personale sono quelli morti!
I ponzesi concedono solo una delega parziale all’Amministrazione Comunale!
D. Ma allora il ponzese rimane fedele a se stesso e quindi non vuole il cambiamento?
R. Il ponzese delega la gestione della cosa pubblica all’amministrazione comunale ma rimane governante sulla proprietà privata. L’esperienza insegna che il potere quando è arrivato a mettere in crisi questo duopolio di interessi ha prodotto il corto circuito. È avvenuto nel 1985/87 con l’amministrazione in cui il sindaco era Silverio Lamonica e c’erano in quella compagine, isolani con una cultura politica diversa da quella dominante a Ponza. Quell’amministrazione voleva realmente il cambiamento: durò due anni. Ma poi si è ripetuto anche con Ferraiuolo e i suoi progetti Castalia, progetti calati dall’alto e imposti a Ponza dal Senatore Bernardi (cultura politica diversa): la gente in un primo momento li ha accettati (in parte) ma poi ha capito che il “pacco” prevedeva soluzioni strutturali che limitavano e regolavano la libertà privata: troppo pesante da digerire per i ponzesi. Sta avvenendo anche oggi con Vigorelli il quale non è figlio della cultura locale; l’esito finale del scontro in atto non lo posso conoscere ma sicuramente continuerà nelle aule dei tribunali per poi finire in politica per la conquista del potere comunale.
D. Ma cerchiamo di capirci: il ponzese quando ha potuto ha cambiato “cavallo”, ha votato il nuovo, ha provato a chiedere una svolta.
R. Qui dico una cosa che non piacerà! Hai detto bene: “ha provato a cambiare” …ma in che modo? Ha provato a vedere se il nuovo Sindaco avesse la capacità di far progredire le condizioni generali dell’isola migliorando gli aspetti pubblici, quelli strutturali, che lo aiutassero a crescere nelle sue attività private, ma non si è mai sognato di delegare ad un Sindaco di mettere le mani sulle cose private.
D. Anche se tu dici che il ponzese non è uno sprovveduto, la realtà dimostra il contrario, infatti il sistema isola è andato in crisi, la gente scappa d’inverno e come spesso dici: “fra poco se le cose continueranno così diventeremo un villaggio vacanze in mano a pochi ponzesi e molti forestieri.”
R. Il ponzese vota amministratori figli della loro cultura basata sulla egemonia della proprietà privata quindi se l’amministratore vuole mantenere “la pace ponzese” – come si dice: “cane non deve mordere cane” – in questo caso non si può avere cambiamento. Ma anche il cambiamento senza consenso convinto della maggior parte della popolazione è una forzatura inaccettabile.
D. Quindi o si governa mediando quotidianamente con gli interessi privati e non si produce cambiamento, o si fanno forzature di potere che non hanno consenso. È “il gatto che si morde la coda”. Non c’è speranza?
R. La speranza sta nella giusta capacità di analisi anche perché i ponzesi non sono tutti uguali.
La cultura dominante è sì figlia di una selezione naturale di esperienze e comportamenti che nel tempo hanno creato il ponzese che ha vissuto negli anni in quest’isola, ma nell’attuale contesto economico e sociale i ponzesi non essendo tutti uguali sono avviati a destini diversi.
C’è il ponzese che si è arricchito e mantiene con questa delega politica parziale all’amministrazione le sue rendite di posizione che gli permettono di crescere, investire oppure resistere oggi, e gli permetteranno, eventualmente di co-gestire con gli esterni la futura isola; poi c’è la maggioranza dei ponzesi che con questa delega politica all’amministrazione mantiene in piedi abitudini e bisogni sociali minimi (la caccia, la pesca sportiva ed economicamente integrativa, l’orticello con annessi e connessi, l’edilizia di sussistenza, il discrimine nei confronti delle aspettative ambientaliste ecc.) e questi rischiano di essere tagliati fuori.
Per questo io dico agli intellettuali, agli uomini di cultura, di riscrivere insieme un nuovo patto di convivenza isolana, un progetto di sviluppo economico compatibile con le risorse per riequilibrare il sistema isola intorno ai veri interessi della maggioranza dei residenti e tutti insieme chiedere consenso ai cittadini che rischiano di essere cacciati definitivamente via dall’isola.
D. Non credi che anche questo sforzo teorico sia un salto nel buio che non potrà essere capito, per cui fallirà?
R. E’ un tentativo estremo, di far partire dal basso una soluzione progettuale; poi due sono le alternative di governo dell’isola: o la nuova colonizzazione in cui tutti i progetti strutturali verranno risolti e quindi gestiti dai privati esterni oppure una legge dello Stato che difenda le isole minori e quindi anche Ponza.
Silverio Tomeo
7 Febbraio 2015 at 17:22
Lo scritto inviato in forma di commento all’articolo di Vincenzo Ambrosino da Silverio Tomeo è stato rimosso da questa sede e viene presentato come articolo autonomo: leggi qui: “La casa che si aprì in ritardo resta vuota“
vincenzo
8 Febbraio 2015 at 12:25
Tomeo dice: “mi avvalgo dei versi suggestivi di Rainer Maria Rilke: “Perché non c’è sentiero che riporti/indietro. Tutto spinge/fuori, e la casa che si aprì in ritardo/resta vuota”.
Ti rispondo con una poesia di un ponzese emigrato da tempo:
“quando mi viene nostalgia della mia terra
di quell’isola meravigliosa che mi ha visto nascere,
quando ricordo il suo mare e la sua bellezza
per non piangere di dolore
io penso a quella gente che non sa più essere felice
che vive per lavorare, accumulare, consumare.
Non ho molto adesso ma non ho mai avuto molto
ma quando mi giro intorno in questo nuovo mondo
io vedo gente che mi saluta e si ferma a parlarmi
e mi racconta dei suoi progetti e mi racconta delle
sue preoccupazioni, ci sediamo su una panchina
e parliamo della vita.
In questo nuovo mondo, lontano della mia terra
ho trovato solidarietà umana, calore e passione per
la vita, virtù degli uomini da tempo dimenticati
nella mia vecchia isola.