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Quando s’innaffiava con la ‘cannafeola’

di Domenico Musco
Agave [1]

 

Quann’ero ’uaglion’, tra i tanti lavori che dovevo fare, avendo le gambe buone, tra spese e servizi vari – veloci e a piedi – tra le varie località di Ponza, mi toccava pure, insieme alla nonna, quasi ogni sera dare l’acqua ai pomodori.
Un lavoro a dir poco massacrante, interminabile …specialmente per me che volevo andare a giocare a S. Antonio a i primm’ duie.

Di lavori per noi ’uagliun, nelle case di contadini di Ponza ve n’erano molti e Mimma li ha descritti molto bene nei suoi articoli (leggi qui [2]e qui [3]).

Abitavo nella zona di Chiaia di Luna – per inciso è la strada che va da A. Antonio alla connessione con la via Panoramica, da non confondere con la spiaggia di Chiaia di luna .
Allora nella parte alta vicino alla strada c’erano tanti appezzamenti di terreno e sotto c’era l’enorme padura per me sembrava la pianura padana per quanto era piatta e larga, senza scale e parracine; case allora non ce n’erano tante e la vista da sopra era spettacolare.

Giulill’, M’lazz’, Carmelina e tanti altri erano i proprietari di quell’enorme distesa senza dislivelli con terreni molto fertili e non solo…

Per innaffiare dovevo andare in fondo al giardino, lanciare il secchio di ferro nel pozzo e poi con la carrucola tirarlo e andare dalla nonna, quindi versarlo nel solco che lei con la zappa apriva e chiudeva – tipo ‘chiuse’ – al flusso dell’acqua: non si finiva mai… Prima la catena di sotto poi quella di sopra, poi l’altro appezzamento, fatica e ‘rompimento’ a non finire…
Soprattutto non riuscivo a capire perché io mi dovevo fare un ‘tarallo’ che non finiva mai e chill’ d’a padura, i paduràl’, facevano lo stesso lavoro senza sforzo.

– He grazzie – diceva la nonna mia – loro addacquene c’a cannafeola!
Infatti da sopra si vedevano tanti pozzi con una specie di bilancia che portava ad una estremità una cima colsecchio, ’u cate; dall’altra la lunga cannafeola – cioè lo stelo che fa l’agave quando fiorisce – a fare da contrappeso .

I paduràl’, con un semplice colpo alla cannafeola mandavano il secchio nel pozzo e con un altro colpo il secchio usciva fuori senza sforzo perché la lunghezza dell’asta funzionava da contrappeso; poi versavano l’acqua su una cannafeola tagliata a metà che faceva da canalina e l’acqua andava in abbondanza dove doveva andare… ai pomodori e a tutta la campagna, con minimo sforzo.
Un’altra fortuna che avevano quelli della padura era che quasi tutti avevano il pozzo sorgivo nel senso che l’acqua non finiva mai.
Il pozzo di mia nonna invece si riempiva solo di acqua piovana e quando pioveva mi toccava pure uscire e fare una serie di chiuse per convogliarla tutta nel pozzo .

Tutto ciò per dire come stavamo e come veniva utilizzato il tempo allora .

Questo spaccato degli anni ’50 mi è venuto a mente leggendo l’articolo di Vincenzo sulle foglie che non sanno nulla delle radici (leggi qui [4]). Ha proprio centrato il punto! A me ha dato molto da pensare… E’ un vero peccato che venga dimenticato tutto, di come viveva prima sull’isola, perché quando si perde la storia si perde anche l’anima.

Agave-copia [5]