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Sant’Antuone, 17 gennaio

di Francesco De Luca
Fuoco a S. Antonio [1]

 

Una mail di Aniello De Luca mi sollecita a scrivere intorno al focaraccio del 17 gennaio.

Aniello… quanti Aniello nella mia famiglia! Dal capostipite nonno Aniello una cascata: Aniello di zio Francesco, Aniello mio fratello, Aniello di zio Antonio. E’ lui che da Roma mi sprona.

Vivevamo tutti nel vicolo Umberto I°. Un vicolo di maschi. A caso: Biagino, Luigi, Aniello, Antonio, io, Ciccillo, Silvano.

Ebbene il 17 gennaio poteva anche tempestare la bufera non avrebbe impedito un incontro desiderato e preparato dagli abitanti del vicolo. Questo era il miracolo di Sant’Antonio abate.

Il culto si perde lontano giacché albergava presso i contadini ai quali quella devozione assicurava che nonostante la rigidità dell’inverno, i semi, protetti dalle zolle, stavano operando la trasformazione che presto si sarebbe concretizzata nei germogli.
Il suo rituale si consumava all’imbrunire nella strada presso la grande catasta di legnacci, tirata su nei giorni precedenti dai ragazzi.

Luigi la accende. Il falò crepita e sprizza bagliori, arrossando il viso dei presenti. Un vecchio fra i denti biascica la strofa:

Sant’Antuone, sant’Antuone,
pigliate ’u viecchio e damme ’u nuovo,
e dammillo tanto forte
ca scasse feneste e porte .

’U fucarazze spande folate di caldo, accende l’incipiente notte, mentre i ragazzi si scuotono dall’ipnosi delle faville e gridano e giocano e si divertono.

Via Umberto si arrossa, si scalda. Urania, zia Lucia aprono le finestre dei balconi , Rosinella e la sorella, mamma Martina, zia Angelina e noi, tutti lì ad officiare un rito che sa soltanto di affetto e di vicinanza. Affinché l’inverno sia meno freddo e tocchi i cuori.

E’ un miracolo che non si ripete.

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Immagine di copertina. ‘Fuoco a S. Antonio’, di Gaia De Luca