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Un’Aliena all’isola di Ponza

di Luciana Figini
Costa a Le Forna.1 [1]

 

La prima volta che arrivai all’isola di Ponza era il 1977, cioè una vita fa.
Con Sandro stavamo già insieme da un anno, ma l’impatto con la sua cultura d’origine per me fu abbastanza traumatico.
A Milano lui si comportava esattamente come noi e quando si andava in vacanza assieme con il gruppo di amici anche lui dava una mano, come tutti,  a preparare da mangiare e a lavare i piatti.
Le cose cambiarono quando arrivammo a Ponza.

Mia suocera all’epoca era una vigorosa donna di mezza età con tutte le sue certezze ben stampate in testa, io ero una vigorosa femminista con tutte le mie certezze altrettanto ben stampate in testa.
Potete immaginarvi lo scontro, soprattutto quando vide il figlio lavare i piatti!

Ricordo con molto affetto le parole che Nannina diceva al figlio a bassa voce per non farsi sentire da me: – Tu sì scemo! Solo i femmine lavano i piatti!
Per qualche tempo non seppi come comportarmi con questa donna meridionale orgogliosa e attaccata alle proprie certezze.
Poi, con l’andare degli anni ci avvicinammo e cercammo entrambe di smussare i nostri angoli troppo appuntiti e di comprenderci.
Quando Nannina morì soffrii quasi come se fosse morta mia madre.
Io forse le avevo portato qualcosa di nuovo ed inatteso in casa; lei mi aveva insegnato a rapportarmi con un mondo completamente diverso dal mio.

[2]Un albero di limone tra i vigneti

Ci sono tanti aneddoti di quegli anni, ma ovviamente non posso raccontarli tutti.
Un ostacolo terribile era il dialetto: non so le volte in cui ho fatto delle figure di m…. perchè non capivo o travisavo.

– Lucia’! (Luciana) chesta zuppa è nu poco sciocca! …Perchè non ci hai messo il sale doppio?
Che una minestra potesse essere stupida o che il sale potesse essere “doppio” non me lo sapevo proprio spiegare.

– Dimane è l’onomastico di Nannina; amma fa’ ‘a pizza!
Strano paese, dove si festeggia l’onomastico (a Milano non si festeggia) e per di più con la pizza, non con la torta… poi arriva Lina con una torta ed io rimango ancora più confusa: – Ma non dovevi fare la pizza?
– E chesta è ‘a pizza!
– E va beh, allora la pizza come la chiami?
– E chella è ‘a pizza napulitana!

E poi il ‘u mellone ‘i pane e ‘u mellone ‘i acqua, i friarielli e ‘a petrusina …a volte non sapevo cosa avrei visto nel mio piatto…

Una volta mio nipote Davide è stato da noi per qualche mese ed è capitato che ascoltasse della gente parlare in milanese.
Ovviamente lui non capiva nulla, allora si è girato verso di me e mi ha detto: “A zi’ , mo aggie capito come ti sentivi, le prime volte che venivi a Ponza!”

E poi le urla.
Io ero abituata alle urla di mio padre in famiglia, ma se urlava voleva dire che era arrabbiato.
Qui urlavano tutti senza motivo ed io ogni volta mi spaventavo.
Una volta mio cognato Livio si era messo ad urlare con un cugino ed io ero convinta che sarebbero venuti alle mani, così chiamai Sandro preoccupatissima.
– Ma quelli stanno solo discutendo, non ti preoccupare!

A parte gli aneddoti simpatici il mio rapporto con l’isola di Ponza è sempre stato abbastanza controverso.
Da una lato la mentalità meridionale mi piaceva un sacco; in casa mia gli ospiti erano rari e accuratamente selezionati, in casa di mia suocera si allungava la tavola; appena arrivava una persona, che fosse un parente, un amico o un semplice passante era sempre il benvenuto.
E questo per me era sorprendente; da Nannina si respirava sempre aria di famiglia, di comunità, cosa piuttosto sconosciuta sulle tavole delle famiglie brianzole.
D’altro lato, però, soffrivo della mancanza di spazi privati e di riservatezza.
In casa poteva capitare chiunque a qualsiasi ora e questo era divertente ma a volte anche un po’ scocciante.

Ricordo una passeggiata solitaria un pomeriggio di agosto di tanti anni fa, da Calacaparra alla Chiesa; ad ogni angolo c’era qualcuno che mi salutava, che mi chiedeva che facevo, come mai ero da sola, e come mai non c’era Sandro e dove andavo a quell’ora e perchè non prendevo la corriera… ecc, ecc…

A volte mi sentivo un po’ schizofrenica: a Milano i rapporti con i miei parenti e con i miei concittadini erano spesso formali o a volte distaccati; a Ponza venivo catapultata in un mondo in cui la famiglia era al centro di tutto e nel quale l’ospitalità, ma anche il “farsi gli affari degli altri” erano degli imperativi.

Con il passare del tempo i rapporti con i miei parenti ponzesi divennero via via sempre più cordiali; spesso alcuni di loro venivano da noi in inverno oppure passavano dei periodi più o meno lunghi in casa nostra e questo mi aiutò a comprenderli e a scoprire il loro grande potenziale di umanità e di solidarietà.

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Nota di Redazione
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Orto a Le Forna.2 [4]