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La mia esperienza africana. Un ricordo, in tema di libertà

di Sandro Russo
Mogadiscio nel 78 [1]

 

Vorrei raccontare anch’io un storia minimale, di parecchi anni fa.

Nel ’78 stetti per tre mesi a Mogadiscio, in Somalia, con un incarico di insegnamento per la Cooperazione con i Paesi in via di Sviluppo gestita dal Ministero degli Esteri, cui partecipava anche l’Università di Roma: fu l’esperienza dell’Università Nazionale Somala, voluta da Craxi come politico e da Paride Stefanini, il chirurgo, come cattedratico.

Craxi. Barre [2]
Per me la prima volta in Africa: un continente tutto da scoprire e un’esperienza indimenticabile; ma anche un mondo alieno, la negazione sistematica di una vita sociale e di garanzie cui – semplicemente come occidentale – ero abituato.

Per caso la mia permanenza coincise con una delle periodiche riaccensioni della storica ostilità tra la Somalia – dove comandava il ‘colonnello’ Siad Barre – con l’Etiopia di Menghistu: una puntata come altre della lunga guerra dell’Ogaden.

Nei giorni più caldi dei combattimenti, che non toccarono per fortuna la capitale dove eravamo noi, dall’Ambasciata ci avvisarono di non uscire, che le lezioni erano sospese. La notte si sentivano colpi di mitra, dalla collina in cui c’erano le case in muratura di noi della Cooperazione; sotto, uno sterminato slum di baracche.

Nei giorni successivi vidi cataste di morti ammazzati come in seguito avrei visto solo al cinema; lì, pure, scoprii il significato della libertà di pensiero: dalla sua negazione!

Il mercato di Mogadiscio nel '78 [3]

Quando tornai in Italia, dopo Roma, la prima visita fu a Cassino, a casa dei miei che mi avevano dato quasi per perso.
Per caso quella sera – l’8 settembre – c’era una festa in un paesino là vicino. Il posto si chiama Cervaro ed è famoso nei dintorni per essere un’enclave di poche migliaia di abitanti dove si è conservata una lingua quasi incomprensibile, derivata dai coloni pugliesi che vi si erano insediati per traversie storiche troppo lunghe da raccontare (tutto intorno infatti si parla il tipico dialetto ‘ciociaro’, che pure non è raffinatissimo). Ma diciamo che i ‘cassinesi’ li guardano – glie cervaruòle – con una certa aria di superiorità (!).

Festa Cervaro.1 [4]

Festa Cervaro.2 [5]

Festa Cervaro.3 [6]

Alla festa di Maria Ss. de’ Piternis (in dialetto: “La feschta re’gli Petierne”) c’era tutto quello che c’è in una festa di paese: la processione, la banda sul palco in piazza, i tavolini all’aperto per mangiare mentre intorno la gente passeggia; bambini che giocano, girandole e zucchero filato…
Io (il reduce) ad occhi sgranati mi meravigliavo di tutto e continuavo a dire: – Che partecipazione… che civiltà!

Mio padre mi guardava perplesso, ma stette zitto.
Poi in macchina al ritorno, alla mia ennesima manifestazione di entusiasmo, sbottò: Ma che malatia t’ha pigliato? Ma qua’ civiltà? …a Cervare? …agli Petiérne!?