Come ogni anno per le feste ritorna a Ponza un amico d’infanzia. Lo trovo ogni anno più giovane, sempre pieno di gioia, mi racconta tutto quello che ha “sviluppato” quest’anno, dei suoi viaggi e delle sue avventure. Lui le chiama ‘avventure’ sia che parli di attività lavorative sia che parli di esperienze sentimentali. Lui dice “niente è definitivo su questa terra” quindi è sempre pronto a traslocare da un lavoro ad un altro, da una casa, da una città ad un altra o da una donna ad un’altra.
“Incredibile”- io dico – ma mi piace ascoltarlo, non so se esagera ma non mi interessa saperlo, perché i suoi occhi vispi e allegri parlano comunque di una vita vissuta alla ricerca della felicità sulla terra.
Gli ho detto: “Ti starai annoiando a Ponza?”
Mi ha risposto: “Se mi annoiavo ripartivo subito… A questa isola mi legano tante cose, non ti parlo di radici perché sulle mie labbra questa parola è una bestemmia, ti parlo di momenti di riflessione, di ricarica, di meditazione che solo questo posto riesce ancora a donarmi”
– E che cosa stai facendo in questi giorni a Ponza?
– “Niente, me la prendo comoda, mi sveglio tardi al mattino e infatti volevo dirti che ho notato nella mia breve esperienza notturna che le nuove generazioni anche se vivono con il corpo in questa isola, secondo me non sono più isolane.
Sono gli stessi giovani che io vedo nei locali cittadini sempre a ridere, che incontro nelle metropolitane sempre di corsa, sotto i ponti a volte ubriachi, nelle discoteche, agli stadi a seguire un concerto. Ma devo confessarti che solo nell’osservarli nei locali di Ponza, ho una sensazione strana: io mi sento vecchio. È veramente una sensazione strana, a volte gradevole a volte di meno, dipende dal mio stato d’animo.
Qui, in quest’isola, c’è una spaccatura tra generazioni secondo me incolmabile.
Ho riconosciuto gli stessi ragazzi di città in questi locali isolani che ballano, fumano, bevono, giocano a bigliardo a bigliardino, qualcuno a carte, molti chiacchierano ma soprattutto sorridono e si muovono con le loro bevute in mano e si danno pacche sulle spalle e poi si isolano con i loro telefonini.
Quello che ricorda l’isola è che fuori al bar, ci sono le barche da pesca che a seconda del mare a volte ondeggiano altre volte sono immobili, silenziose, invecchiate, quasi pronte anch’esse per andare in pensione; infatti nessuno di quei ragazzi si immagina un futuro da pescatore.
A tarda sera i ragazzi diventano sempre più numerosi, più diventa tardi e più questi escono da casa, non importa se fa freddo, se piove… loro dopo aver mangiato, fatta la doccia, si vestono di tutto punto con i loro abiti costosi, accompagnati dal loro telefonino e si ritrovano nei loro covi. I genitori dormono e loro escono di casa.
E’ strano, uno come me solo in quest’isola si sofferma a pensare a che cosa si nasconde dietro quelle maschere giovanili. Che cosa pensano del loro futuro e se pensano al loro futuro.
Fuori del locale c’è una panchina e lì a turno si siedono per fumare la loro sigaretta all’aria aperta A volte si innesca una discussione e li senti parlare dei loro desideri.
Sono desideri che non tengono in minima considerazione la fatica, il tempo intermedio per raggiungere il successo; l’oggetto desiderato arriva, o deve arrivare comunque senza fatica nelle loro mani. Io vorrei dire loro: – “Ragazzi state attenti che la vita non è un film” – ma poi mi offro un bicchiere di rosso e continuo ad ascoltarli.
Per questi ragazzi il lavoro non è lo scopo della vita. La famiglia è quella che hanno lasciato a dormire a casa. Lo studio serve per apprendere le complicazioni che il mondo ha costruito, quindi lo studio è una chiave d’accesso per accedere ai grandi magazzini della vita.
Questi ragazzi viaggiano, vanno all’estero e più volte l’anno. Questi ragazzi vestono con abiti griffati. Consumano in media cinquanta euro al giorno solo per i loro consumi notturni.
Questi ragazzi quando s’incontrano la sera si salutano dandosi due baci, uno a sinistra e l’altro a destra, poi forse, nella serata non si guardano neanche, anche perché la musica è alta, la luce è soffusa, c’è la nebbia del fumo delle sigarette e l’alcool inumidisce la vista e tutto diventa un parco giochi.
Un parco giochi. Una notte qualcuno mi ha detto, dopo avermi chiesto una sigaretta, che prima di entrare in casa si provoca il vomito, in modo da svuotarsi e potere dormire tranquillamente e quando nel pomeriggio successivo si sveglia è di nuovo pronto per una nuova notte.
Dopo avergli offerto un caffè dico al mio amico: “Ma come fai a meravigliarti di questi ragazzi proprio tu che sei riuscito a fare della tua vita veramente un parco giochi permanente”.
Lui mi risponde: “È vero, ma in quest’isola io ho riflettuto, anche perché credo che questi ragazzi in un modo o nell’altro siano figli dei miei coetanei, gente che forse ho conosciuto e frequentato, e di questi miei amici io conosco la cultura, il modo di pensare… Invece guardando i loro figli mi chiedo: Ma che aria hanno respirato, quali parole hanno ascoltato, quali esempi hanno seguito?
Incredibile, questa isola mi fa diventare moralista, mi responsabilizza, sarà questo mare che circonda tutto, sembra che questa terra possa essere immune da tutto e invece tutto è omologazione.
Poi rivolgendosi a me mi dice: “Ma tu non cambi mai? …riesci a stare fermo a guardarmi senza rinfacciarmi le mie contraddizioni! …forse per questo ti ammiro”.
Ci siamo lasciati e l’ho visto di spalle che si allontanava veloce con il suo corpo ancora agile; da lontano si è girato e mi ha salutato facendo un inchino come un vecchio attore che termina la sua recita.
Mi sono messo a pensare come è possibile che un uomo che conosce il mondo e del mondo ha scelto di vivere solo la parte migliore mi abbia voluto parlare della mutazione genetica dei nostri giovani; forse voleva dirmi: “Ma tu che fai il docente, tu che fai il genitore, tu che ti occupi di società… ti sei accorto che le nuove generazioni non condividono più niente del mondo dei loro padri?
polina ambrosino
30 Dicembre 2014 at 11:15
Bisogna sempre che qualcuno ci guardi dal di fuori per farci capire cosa non va… Condivido tutto ciò che qui ha espresso il tuo amico. Tempo fa, sempre in una discussione sui giovani, mi permisi di dire che l’attuale generazione genitoriale ha fallito. Meno male che non sono la sola a pensarlo. Purtroppo questi ragazzi pensano davvero che tutto si risolve alla fine con un “game over”, arrivederci alla prossima partita. Invece nella vita vera i game over non ti danno un nuovo gettone e quello che è fatto è fatto. E’ brutto vedere che fanno tutto con il minimo sforzo, in modo approssimativo e pretendendo di essere elogiati solo per averlo fatto. Perché a casa ogni volta che fanno qualcosa vengono premiati ed elogiati, anche per cose ovvie, anche per cose assolutamente dovute. La scuola ottiene il loro minimo, le amicizie ottengono il loro minimo, gli hobby ottengono il loro minimo: ma il loro massimo, questi ragazzi sanno che esiste? sanno che farebbe la differenza? e soprattutto sanno che per ottenere il massimo c’è bisogno di sacrificio!? Ma no! il sacrificio (il FARE SACRO) non esiste nella loro nuova lingua. Come fa ad esistere il sacrificio in un mondo dove tutto piove dal cielo e ti fanno l’applauso anche se vieni rimandato in 4 materie e ti regalano l’i-phone!? ma su! poi ci meravigliamo… si può meravigliare il tuo amico che figli non ha, a quanto pare… chi ne ha, o chi ci lavora, non si meraviglia più: si avvilisce, perché non si può aprire loro gli occhi e fargli vedere che esiste il cielo mentre loro pensano che il mondo sia quello che entra nello schermo piatto di un telefonino.
vincenzo
30 Dicembre 2014 at 12:01
https://www.youtube.com/watch?v=e7LcQytWf0M