





|
|||
Racconto di Nataledi Vincenzo Di Fazio (Enzo)
Era la vigilia di Natale ed avevamo fatto orario ridotto. L’appuntamento per gli auguri e per un brindisi era sotto la Galleria a piazza Duomo davanti il bar Centrale. Saremmo stati in dieci, io di Ponza ed altri nove colleghi originari di Napoli e dintorni. Vincitori di concorso assieme ad altri novanta, in dieci eravamo stati destinati a Milano agli inizi di giugno dell’ anno prima, il 1969. Non era, perciò, trascorso ancora abbastanza tempo perché ci sentissimo abituati al clima nebbioso della città ed al “freddo” carattere dei milanesi. I napoletani ogni fine settimana raggiungevano le loro famiglie correndo il venerdì pomeriggio verso il primo treno utile per il sud. Destino diverso, invece, il mio dovendo arrivare a Ponza. In quei diciotto mesi vi ero tornato solo un paio di volte, in primavera; vigeva a quei tempi la regola che solo dopo due anni di servizio si potesse aspirare a fare un po’ di ferie in estate. Non ne sentivo comunque il peso; la condizione di “isolano” che, con i suoi pregi ed i suoi limiti, avevo cominciato a conoscere fin da ragazzino mi aveva temperato nel carattere portandomi a cercare di cogliere sempre ciò che di buono poteva scaturire dallo stare da solo. Erano quelli anni difficili, fatti di contestazioni e di tensioni. In galleria su un grande schermo dell’Agenzia Ansa scorrevano, ogni sera, le notizie di cronaca e di politica aggiornate continuamente, e la loro lettura rappresentava uno stimolo per essere informati degli accadimenti quotidiani ed un’occasione per conoscere gente ed idee ed approfondire fatti ed opinioni. Almeno una volta al mese andavo a teatro, al Piccolo o al Manzoni, circostanza che mi ha portato ad assistere alla rappresentazione di commedie di grandi autori, come Shakespeare, Balzac e De Filippo ed a conoscere interpreti prestigiosi come Tino Buazzelli, i De Filippo, Giorgio Albertazzi, o grandi artisti come Aznavour, Ray Charles, Georges Moustaki in occasione dei loro concerti. Vivevo la vita con interesse e ho sempre pensato, in quegli anni, che se facevo certe cose non dipendeva solo dall’essere a Milano, una città viva, stimolante, in continuo movimento, ma anche dall’avere qualche difficoltà in più rispetto agli altri di raggiungere casa, nei giorni di festa o nei week-end. Un’opportunità, quindi, che mitigava il limite derivante dalla mia condizione di “isolano”. Quell’anno, il 1970, Natale veniva di venerdì; avevamo, perciò tre giorni di festa continui. I più anziani di servizio avevano chiesto ed ottenuto qualche giorno di ferie per allungare la vacanza, privilegio che a noi neoassunti era inibito. Nel corso della settimana appena trascorsa era capitato che qualcuno, sapendomi di Ponza, mi avesse chiesto “Ma riesci ad andarci a Ponza? Il tempo com’è? Certo tutto dipende dal mare” Eh sì, è sempre il mare che ha fatto e che fa la differenza, ieri come oggi, tra “un isolano” ed “un continentale” L’anno prima avevo tentato di raggiungere Ponza in occasione della festa dell’Immacolata che cadeva di lunedì. Ma una forte mareggiata di ponente impedì, quel sabato, per ben due volte alla nave di raggiungere Ponza; la prima vietandole di salpare, la seconda costringendola addirittura a tornare indietro appena fuori Gaeta dopo essere rimasta per alcuni interminabili secondi inclinata su di un fianco durante l’inversione di rotta. Partì la domenica mattina, mentre io… riprendevo il treno per far ritorno a Milano. Avevo accantonato, quindi, l’idea di passare il Natale a casa. In cuor mio confidavo nell’invito di qualche collega milanese che avevo cominciato a conoscere. L’avevo dato per certo anche a mia madre con la quale mi ero sentito il giovedì pomeriggio, appena dopo lo scambio di auguri con i colleghi di Napoli, dalla cabina telefonica del centro SIP della galleria. L’avevo fatto, nonostante l’incertezza, per tranquillizzarla e per rafforzare in lei il convincimento di sapermi a festeggiare in qualche famiglia. Un po’ triste mi ero così rifugiato nella confusione anonima della stazione ferroviaria dove un po’ si perde l’identità per quella mescolanza di storie, di volti, di vicende e di sentimenti che la caratterizza. Fui catturato, pur nello stordimento provocato dal rumore del via vai di gente e dalla confusione propria del giorno di festa, dalla voce dello speaker che annunciava la partenza di un treno per Bruxelles, prima in italiano, poi in francese, infine in inglese. Il pensiero andò d’istinto a mia sorella che da anni viveva in Belgio, in un paesino non molto distante da Bruxelles. E fu un tutt’uno associare quell’annuncio alla possibilità di farle una sorpresa per il giorno di Natale. Quel pomeriggio misi insieme poche cose. In una valigetta, una ventiquattrore, sistemai lo stretto necessario per un viaggio breve. In un bustone riposi una scatola di marron glacé avuta in regalo dal mio capoufficio cui aggiunsi un trenino di legno per la mia nipotina ed un panettone per mia sorella. L’aria era propria quella caratteristica di Natale, gelida da neve. Feci gran parte del viaggio in una carrozza semivuota, nello scompartimento ove mi sistemai eravamo appena in due. Per il freddo non tolsi mai il cappotto. A Bellinzona rimasi da solo. E così restai fino alla stazione di Zurigo dove salì una donna con un bambino. L’aiutai a sistemare la grossa valigia nell’apposito vano. Il bimbo, infreddolito, si raggomitolò tra le braccia della madre e dopo un po’ si addormentò. Scambiammo qualche parola in francese. Erano di origine turca e raggiungevano i familiari a Gent, un po’ oltre Bruxelles. All’alba eravamo in Lussemburgo. Il bambino, ormai sveglio, si mostrò incuriosito dalla scatola di marron glacé che fuoriusciva appena dal bustone di carta. Bisbigliò qualcosa, in turco, guardando la madre mentre con il dito indicava la scatola. Non ebbe risposta se non un cenno di diniego con la testa accompagnato da uno sguardo severo. Si ritrasse il bimbo fin quasi ad annullarsi tra le braccia materne. Negli occhi la curiosità amputata ed un velo di tristezza. Non esitai ad aprire la scatola. Il bimbo, autorizzato dalla madre, prese due pezzi di castagne glassate, lei nulla e per tre volte mi disse “merci”. Con grande meraviglia mi accorsi che stavamo per fermarci nella piccola stazione di Farciennes, cosa non prevista ma, ovviamente, gradita. Mi affrettai a prendere le poche cose che avevo e feci appena in tempo a scendere. Non erano ancora le otto. In stazione non un’anima viva. Neve e stalattiti a forma di ghiaccioli dappertutto. Che non fosse un luogo abbandonato lo capivi dal fumo di un tubo collegato ad una stufa accesa nel locale del capostazione. Raggiunsi la piazzetta antistante: uno scenario spettrale, con le auto parcheggiate sommerse di neve ed i pochi negozi presenti sbarrati, qua e là qualche comignolo fumante. Conoscevo quel posto per esserci già stato in tempi migliori e dei tassisti dovevano comunque starci… ma era anche la mattina di Natale. Seguendo l’indicazione che portava ad un garage, in una viuzza trovai una grossa targa penzolante con su scritto “Taxi”. A fianco una grande finestra attraverso la quale si scorgeva una luce accesa. Mi girai più volte senza scorgere ancora nulla fin quando da un angolo semibuio comparve un omone con una grande barba, una sorta di vero “Babbo Natale”. Mi ritrassi un po’ impaurito ma lui mi porse la mano chiedendomi “Qu’est ce que vous voulez?” Il resto lo lascio all’immaginazione di chi avrà avuto la pazienza di leggermi. Fu un Natale unico, speciale, mai dimenticato, fatto di poche cose ma ricco di sentimenti, reso possibile probabilmente anche dalla mia condizione di “isolano”. 2 commenti per Racconto di NataleDevi essere collegato per poter inserire un commento. |
|||
Ponza Racconta © 2021 - Tutti i diritti riservati - Realizzato da Antonio Capone %d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: |
Appena terminato di leggere il “Racconto di Natale” di Enzo Di Fazio mi è venuta la domanda: isolano ? Nativo… o… residente?
L’episodio narrato da Enzo è avvincente e insaporito da quel sentimento “proprio” degli isolani. Enzo possiede in grande dote questo sentimento perché è “un ponzese” che si è cucito addosso i tratti di chi è nato a Ponza e si identifica con la sua terra.
Non è “isolano” soltanto… è più… è ponzese.
Qualcuno può sogghignare perché coglie in questa specificità una retorica superata. Lo fa chi dell’isolanità ha soltanto la facciata.
Qualche altro può storcere il naso perché ritiro in ballo una questione trita: chi è isolano? Chi nativo? e chi verace? Chi d’occasione?
Lascio le battute ai burloni. Io so cosa significa essere ponzese e so che altri condividono questo stesso sentimento di appartenenza.
E’ un sentimento e nel razionalizzarlo perde di sapore.
Ringrazio Enzo per il suo “dono” di Natale, agli uni e agli altri. A tutti.
Ho letto, e tutto d’un fiato, il bel racconto di Natale di Enzo di Fazio.
Bravo Enzo! Hai la capacità di lasciare qualcosa in chi ti legge, qualcosa che ti fa pensare, o, meglio, che ti fa riflettere.
Di questo racconto mi è piaciuta la cadenza, cioè quel ricordo di giovinezza un po’ malinconico che passo passo ti porta indietro a rinverdire cose che, seppure velate di sottile malinconia, lasciano tanta dolcezza.
È un po’ la saudade portoghese, che qualcuno ha magistralmente definito come “la felicità di essere tristi”.
Bravo Enzo! Vogliamo leggere ancora cose tue, cose così.
Buon Natale!