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Maurino Di Lorenzo: gli archi e le frecce

di Silverio Guarino
Piccoli pescatori subacquei [1]

 

Era d’estate e volevamo andare a caccia subacquea.

Di fucili a molla o ad aria compressa (…di là da venire) non se ne parlava proprio e allora i giovanissimi rampanti pescatori subacquei (età 8-10 anni) s’industriavano ad utilizzare sott’acqua gli archi e le frecce.

Per avere gli archi, non c’erano grossi problemi; era sufficiente individuare qualche ombrello un po’ fatiscente, sottrarlo agli occhi della nonna di turno (che avrebbe potuto e voluto continuare ad usare) e voilà, con l’uso di fili di lenze robuste, si otteneva l’oggetto del desiderio: l’arco per pescare sott’acqua.

 

Ma poi bisognava avere le frecce (o meglio, la freccia, poiché ne bastava una sola da riutilizzare). E qui bisognava disturbare ed intenerire il burbero e imponente Maurino, l’unico fabbro che, nella sua officina posta nella banchina del porto (che sembrava, ai nostri occhi, l’antro di Vulcano), poteva fornirci tale arma “impropria”.

Dopo averlo avvisato per tempo, essere tornati e ritornati per essere ricevuti (aveva sempre qualcosa di importante da fare), ecco che, con maestria, ci forniva la freccia, con tanto di punta affilata e d’idoneo punto d’inserimento della corda (della lenza dell’arco), dalla parte opposta.
Il costo era, ovviamente “zero”, ma in cambio Maurino voleva una tregua di richieste almeno per il resto dell’estate (cosa che regolarmente non avveniva).

E i pesci li pescavamo davvero. Era più facile colpire con la freccia quelli che rimanevano fermi sulla sabbia o sugli scogli (della Caletta dietro il lanternino, dove facevamo il bagno con maschera, tubo e anche pinne) come i “mazzoni” e le bavose; anche le triglie, le sogliole e le seppie non sfuggivano alla cattura. Quelli più bravi riuscivano anche a colpire le marmore, le salpe ed anche i cefali, con tiri al volo.

Ma la cosa più complicata, che richiedeva agilità e sveltezza (doti di cui non ero particolarmente fornito) era il catturare subito con le mani la preda colpita che, altrimenti, si sarebbe divincolata e magari, ferita non mortalmente, sarebbe scappata per diventare cibo di altri abitanti del mare.
La preda più insidiosa da catturare una volta colpita era la seppia che, con movimento rapido, una volta presa in mano, riusciva a “mollare” un morso, con il suo becco nascosto tra i tentacoli (a me capitava spesso).
La punta della freccia si rovinava tra gli scogli e spesso la freccia stessa s’incurvava, diventando così inutilizzabile.

Di nuovo da Maurino che ci accoglieva sorridendo e bofonchiando sotto i baffi e che si riattivava (…con molta calma e fair play) per ripristinare l’efficienza delle armi o per fornircene delle nuove. Poi vennero i “Saetta A”, i “Saetta B”, i “Bess D”; tutti fucili a molla.
Tutta un’altra storia.