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San Martino, ogni mosto è vinodi Giuseppe Mazzella di Rurillo
Nello splendido Tenimento di Don Carlo Arcamone di Castanito in località Santa Maria al Monte a 300 metri circa s.l.m nel Comune di Forio nell’isola d’Ischia martedì 11 novembre 2014 si è festeggiato San Martino il giorno tradizionale dove “ogni mosto diventa vino”. Per secoli e secoli i contadini dell’isola d’Ischia – la più grande delle Partenopee con i suoi 46 Km2 – vivevano con la produzione del vino. Norman Douglas, che visitò Ischia agli inizi del ’900 raccontando il suo soggiorno nel suo “Isole d’Estate”, scrive che Ischia è “un enorme vigneto”. Questa economia agricola – imperniata sulla produzione vinicola – permetteva ad una popolazione che già era di 24mila abitanti nel secolo XIX di vivere. Non era solo un’economia di sussistenza ma un vero e proprio sistema economico e commerciale. Esisteva anche la figura del “sensale di vino” quello che andava a provare il vino nelle cantine e faceva da “mediatore” tra il produttore ed il compratore. Oggi la produzione vinicola è notevolmente è diminuita ma è aumentata la qualità . Ci sono almeno 16 case vinicole per la “strada del vino e dei prodotti tipici” che rafforzano l’economica turistica dell’ isola. È qui che festeggiamo San Martino. Carlo chiama i suoi amici più intimi – qualcuno è assente giustificato – per questo pranzo che deve essere esclusivamente “di terra” con la pasta e fagioli ed il coniglio alla cacciatora innaffiati dal vino novello bianco e rosso. Qui ogni anno – come accade da tanto tempo – mi viene alla mente la straordinaria osservazione di Fernand Braudel, il grande storico degli “Annales”, sull’attaccamento delle popolazioni mediterranee alla loro terra. “C’è più lenta ancora della storia della civiltà, quasi immobile, una storia degli uomini nei loro stretti rapporti con la terra che li nutre e li sostiene; si tratta di un dialogo che non cessa di ripetersi, che si ripete per durare, che può cambiare e di fatto cambia in superficie, ma che prosegue, tenace, come se fosse fuori della portata e sottratto ai morsi del tempo”. Abbiamo fatto la pasta e fagioli con la “commissione per il punto di cottura” – che è la cosa più difficile – e forse i fagioli erano un pochino troppo cotti. Il coniglio alla cacciatora cucinato dalla signore Arcamone era perfetto e forse il sugo avrebbe meritato una pennetta che sarà proposta l’anno prossimo. L’insalata di rinforzo era rafforzatissima con olive all’olio di oliva di Benevento, patate, pomodori ed acciughetta. Quattro qualità di formaggi – la ricchezza della tavola – dalla Campania alla Svizzera. Il Babà alla crema squisito. Frutta di stagione e frutta secca con noci di Sorrento. Per chi poteva anche la grappetta delle Alpi. Il sigaro Toscano alla fine del pranzo. Come il nostro pranzo se ne sono fatti a decine forse centinaia in moltissime cantine dell’isola d’Ischia e ci siamo dati appuntamento all’anno prossimo se riusciremo a sottrarre “i morsi del tempo” che se passa nella nostra carne non muta nel nostro animo. Giovani eravamo e giovani restiamo.
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