Ambiente e Natura

Sabir. La lingua del mare

di Alessandro Romano (Sandro)

 

La prima volta che sentii parlare dell’esistenza di una lingua dei marinai ero un ragazzo. Preso dai racconti degli anziani, ascoltandoli, rivivevo le loro esperienze avvolgendo quelle incredibili storie nella fantasia dell’età.
Infatti nei bar e lungo i muretti del corso, non era raro assistere a veri e propri confronti tra quegli uomini con la faccia segnata dal sole, dal sale, dalla fatica e dalla “saggezza della paura”, come amava definirla zi’ Tatonno Aversano (marito di Urania Bonlamperti).

In una di quelle sere al centro dell’attenzione c’era un marinaio d’eccezione, forse uno dei pochi, se non l’unico a quel tempo, ad aver assaporato anche il sale dell’oceano: Salvatore Mazzella, il famoso ed indimenticabile Tore ‘u luong’.

Salvatore Mazzella
Nei suoi meticolosi racconti, veri e propri acquerelli fatti di parole ed infarciti di moniti ed insegnamenti, c’era di tutto: dalle tempeste infinite, alle similitudini somatiche delle donne asiatiche con quelle sarde, dai “fondali senza fondo”, alle spiagge di sole conchiglie, dai mercati orientali galleggianti, alle boe di fiaschi e damigiane piazzate chissà da chi nel bel mezzo del Mediterraneo.

Quella sera, però, l’oggetto del racconto di Tore ‘u luong’ fu veramente molto particolare, tanto da richiamare l’attenzione anche di chi, di solito, mal celava la propria insofferenza di fronte a racconti di mare ritenuti (spesso a torto) poco credibili.
Quella sera, quell’uomo di mare dall’altezza insolita per un ponzese, raccontava di un “linguaggio dei marinai” che, come una vera e propria lingua internazionale, gli  aveva consentito di dialogare nei porti e lungo le coste non solo del Mediterraneo, ma anche del Mar Rosso e persino della Cina. Tunisi, Cipro, Grecia, Malta, Alicante, Casablanca, Aden: ovunque capiva ed era capito. Compresi che quel racconto, benché eccessivamente enfatizzato e colorito, aveva dei presupposti di verità proprio dalle domande e dai nessi che gli altri marinai presenti facevano accavallando ‘sentito dire’ ad esperienze dirette.

A distanza di oltre quarant’anni, avendo finalmente avuto la possibilità di infilare il naso tra carte nautiche e portolani antichissimi, senza volerlo ho trovato la traccia di quanto in quella lontana sera invernale avevo ascoltato dai marinai ponzesi.

Nel XIII secolo, dopo l’affievolimento della potenza islamica, si svilupparono i traffici, attraverso la navigazione, delle quattro repubbliche marinare che, in breve, estesero la loro influenza ed il loro dominio commerciale in tutto il mare conosciuto.

Compasso dei venti 1504

‘Rosa dei venti’ datata 1504

Compasso rosa dei venti

Oltre alla indispensabile bussola di dubbia provenienza cinese ed alle necessarie carte nautiche, allora piuttosto approssimate, i marinai di quel tempo fecero un largo uso di un altro strumento utilissimo e molto preciso: il portolano.

Portolano del 1489

Un portolano del 1489

Esso era un vero e proprio manuale di istruzione, un vademecum che descriveva nei minimi particolari le coste, gli scogli pericolosi, le rotte da seguire e, naturalmente, le baie ed i porti dove ripararsi o fare rifornimento di acqua e di viveri.
Il più antico portolano che ci è giunto quasi integro è il “Compasso da navegare” che fu redatto nel 1296 grazie all’assemblaggio di decine di altri portolani parziali anche di epoche antecedenti.
Ebbene, la lingua con la quale tale manuale del mare è stato scritto è il “sabir”: una miscellanea linguistica di bizantino, arabo, volgare (italiano), provenzale, catalano, greco, siciliano, napoletano antico, sardo. Tenuto presente che un libro di tali dimensioni e finalità non può essere scritto in una lingua nuova, è certo che il sabir sia stato per quel tempo “una lingua franca” [(*) – v. in Appendice) già abbondantemente diffusa e consolidata in tutto il Mediterraneo.
Probabilmente l’origine di questo idioma esclusivamente orale e, pertanto, riscontrabile solo nei pochi portolani a noi giunti, sta nella lenta metamorfosi dell’antichissima lingua radice di tutte le derivazioni linguistiche dell’intera area che va dall’Asia Minore, all’Europa marittima: il Proto-Indeuropeo parlato oltre 6000 anni fa. E’ chiaro, quindi, che tutte le tracce di lingue che appaiono nel sabir sono da esso derivanti e non aggregate per realizzare l’idioma.

Ciò che in una prima valutazione lega questa singolare lingua a quanto descriveva Tore ’u luong’, è che l’antico portolano aveva un’appendice che riguardava anche il Mar Rosso e le coste del Corno d’Africa, luoghi dove il nostro grande marinaio insegnò la pesca ai nativi e dove apprese nuove tecniche. Con quale lingua avrebbe potuto dialogare se non quella lingua “strevs”, come lui stesso definiva quell’idioma?

Di fatto il sabir non era una vera e propria lingua con precise regole grammaticali, ma un modo di dialogare frutto della combinazione di suoni e gesti di cui, molto probabilmente, Tore conosceva solo una minima parte, quella strettamente marinaresca che, comunque, gli consentiva di assicurare un primo contatto, di instaurare un canale di comunicazione senza intermediari.

Da ciò è possibile articolare una serie di altre deduzioni, naturalmente tutte da verificare, circa la colonizzazione ponzese della “Jalita”, la famosa Galite, oppure sulla veridicità dei racconti che Francesco Spigno – più comunemente conosciuto come “Chicchiness’ ” – faceva circa i suoi dialoghi con gli “abissinesi” (somali) o i “turcomannesi” (arabi) [digitare – La Galite – nel riquadro CERCA NEL SITO, per gli articoli concernenti il tema]
Ma anche in merito alle scorrerie barbaresche a Ponza, quando i marinai – e, attenzione, solo i marinai – riuscivano a dialogare e quindi a mediare con gli uomini dalle immense scimitarre e dagli enormi baffi, affinché non venisse fatta violenza alle donne in cambio di cibo e vino.

Nell’epoca del globalismo appare veramente sorprendente scoprire l’esistenza di una lingua mondiale che, al contrario dell’inglese, non era calata dall’alto, ma nasceva dal popolo del mare e, cosa ancora più sorprendente, che alcuni ponzesi fino a qualche decennio fa, ancora conoscevano ed utilizzavano con disinvoltura.

A mio avviso occorrerebbe ricercare anche nelle sopravvivenze culturali ponzesi, sia scritte che orali, le tracce dell’antica lingua del mare, cercando di capire quanto essa abbia condizionato le scelte della comunità isolana come, ad esempio, le emigrazioni della nostra gente di mare verso la Sardegna e le isole della Toscana dove, è provato, al contrario della Sicilia e della Calabria, l’utilizzo del sabir era molto radicato.

 

Appendice

Kottak. Albero delle lingue proto-indoeuropee

L’albero delle lingue. Questa ricostruzione è il frutto del lavoro di una scuola internazionale di antropologi che è durato oltre 100 anni, pubblicato di recente da Conrad Philip Kottak, “Antropologia Culturale”, University of Michigan (USA) – 1a prima ediz. 2008; 2a ediz. 2012 –  adottato dall’Università La Sapienza di Roma, Facoltà di Storia, Antropologia e Religioni.

Carta Pisana

Nel 1947 Bachisio Raimondo Motzo pubblicava il testo di un Portolano medievale custodito presso la Biblioteca dello Stato Prussiano di Berlino, il codice Hamilton 396; un testo anonimo, data­to 1296, intitolato Compasso da Navegare. Si tratta del più antico portolano relativo alla totalità del Mediterraneo che sino ad oggi sia stato rinvenuto (cliccare per ingrandire)

Notizie da Wikipedia – (sintesi a cura della Redazione)
La lingua franca mediterranea, detta anche sabir, fu un idioma “di servizio” parlato in tutti i porti del Mediterraneo tra l’epoca delle crociate e tutto il XIX secolo, anche se probabilmente dovettero esistere lingue franche in epoche precedenti.
Il primo documento in lingua franca risale al 1296 e si tratta del più antico portolano relativo alla totalità del Mediterraneo, intitolato Compasso da Navegare (v. sopra).
Nel 1830 viene pubblicato il Dictionnaire, manuale scritto in lingua francese in occasione della spedizione francese in Algeria per la conquista di Algeri; doveva servire ai soldati francesi per imparare e conoscere la lingua sabir.
Ne riporta un esempio anche Molière, nel Borghese gentiluomo (1670):

« Se ti sabir
ti respondir,
se non sabir
tazir, tazir. »

Nella terminologia marinaresca di tutto il Mediterraneo sono ancora oggi presenti parole appartenenti a questa lingua, come per esempio vira e ‘maina.

 

(*) – Altre informazioni (ibidem, a cura della Redazione)
La “lingua franca” fu in origine la lingua usata dai pirati musulmani per farsi capire dai “franchi”, come essi chiamavano indistintamente gli europei.
La conquista francese dell’Algeria nel 1830 segnò anche l’inizio della fine di questo idioma. A causa dello stabilizzarsi dell’occupazione francese e al termine del periodo di maggior prestigio dell’italiano a favore del francese, vennero meno le condizioni che ne avevano decretato il successo.
Il sabir continuò ad esistere per almeno un’altra cinquantina d’anni per inerzia, andando però sempre più “francesizzandosi” sino a modificare profondamente il suo lessico.
Il francese  parlato nel Maghreb può considerarsi come il vero continuatore della lingua franca mediterranea.

 

In questo sito
–  Cerca nel sito digitando  – sabir – nell’apposito riquadro;
 leggi qui la nota di Simone Perotti;
 leggi qui la nota di Sandro Russo a commento della canzone di Fabrizio de André “Creuza de ma'”

 

 

1 Comment

1 Comments

  1. silverio lamonica1

    6 Ottobre 2014 at 11:25

    Nel 1979, in primavera, mi trovavo al porto di Terracina e stavo per salire sul Maria Maddalena per raggiungere Ponza. Proprio di fianco al traghetto c’era Salvatore ‘u luongo sul suo gozzetto e mi disse: “Prufessò, pur’io vaco a Ponza. Vulite venì cu mmé?” Gentilmente declinai l’invito, perché avevo fretta di raggiungere l’isola per motivi di lavoro ed amministrativi (ero vice sindaco). Leggendo quanto ha così ben illustrato l’amico Sandro Romano, sono ora consapevole di ciò che mi sono perso! Avrei anche rivissuto l’esperienza dell’infanzia, quando – nel 1947 – raggiunsi Terracina da Ponza con il gozzo a motore di “Sciammereca”. Un vero peccato.

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