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Sapore d’antico. – Troppo tardi… sono già passati! – dice lei, Sono le 7,30, il rosa dell’aurora sta svanendo in questo mattino di settembre, e già lui e lei stanno sopra i Conti a cercare di cogliere i fichidindia. Si inerpicano per un sentierino che porta ad alcune piante di fichidindia. Le catene mostrano di non essere curate, anzi… lo accerta il fatto che sono luogo di pastura di qualche asino, vista la presenza di feci. Catene abbandonate ai rovi, ai fichidindia, alle ginestre, a ’u paliere. – Troppo tardi – ripete lei – mostrando i frutti già abbondantemente caduti e spappolati. Lui ha un arnese di alluminio con due coppette all’estremità di un lungo bastone. Armeggia per cogliere i frutti sulle palette in alto. E’ vero. Dai filari l’ uva ancora non mostra il biondo degli acini. Ci vorrà qualche settimana. I due stanno riempiendo il secchio, ma dalle movenze maldestre s’arguisce che non hanno dimestichezza con la terra: sono del Porto. L’aliscafo suona e annuncia la partenza, poi il rumore dei motori dice che sta solcando il mare, oggi disposto a far scivolare su di sé ogni chiglia. Il secchio è pieno, lei e lui sono appagati. Ancora c’è da lavare i frutti, metterli a cuocere per poi spremerli onde trarne il succo che, insieme al semolino e al vino cotto, daranno l’impasto. Tagliato a tocchetti e seccato si farà gustare nelle mostarde. Con esse si ritorna agli albori della cultura isolana, quando il sapore lo davano anche la famiglia, la fatica, l’attesa.
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