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L’equilibrio idrostatico

ambiente pelagico [1]

di Adriano Madonna

 

Gonfiando e sgonfiando la vescica natatoria, i pesci regolano il proprio assetto idrostatico. Nella seppia, invece, il regolatore di assetto è il suo famoso osso, un bel “pezzo di ingegneria” di Madre Natura.

Nel mondo acquatico ci sono, com’è noto, organismi bentonici e organismi pelagici. I primi vivono a contatto con il fondo o, almeno, hanno con esso uno stretto rapporto. I pesci bentonici, come lo scorfano, il rombo, la tracina e molti altri, non hanno necessità di effettuare grandi spostamenti: sono, infatti, prettamente stanziali e percorrono brevi tratti a nuoto, quindi non hanno bisogno di librarsi in acqua in assetto idrostatico neutro. Al contrario, se i pesci che vivono nella colonna d’acqua non avessero un equilibrio idrostatico, proprio come un subacqueo con il suo jacket, dovrebbero impiegare una quantità enorme di energia per affrontare un continuo nuoto di sostentamento. In pratica, dovrebbero alimentare una continua attività muscolare per tenersi in equilibrio lungo la colonna d’acqua.
Madre Natura ha affrontato questo problema e lo ha risolto, ovviamente, nella maniera più brillante, “inventando”, per i pesci che ne hanno bisogno, la cosiddetta vescica natatoria.

In queste ultime considerazioni siamo stati un po’ sommari e frettolosi: avremmo dovuto dire, infatti, che, secondo le leggi dell’adattamento all’ambiente, molti pesci si sono evoluti elaborando un organo in grado di regolare l’assetto idrostatico, definito vescica natatoria.

A questo punto, dunque, e in questa ottica, sorge spontanea una domanda: “Come e da che cosa ha avuto origine la vescica natatoria dei pesci?”

Origini della vescica natatoria

Sulle origini della vescica natatoria chiediamo lumi a uno dei più grandi studiosi di anatomia comparata, Emanuele Padoa, che ci offre preziose informazioni in tal senso dalle pagine del suo famoso “Manuale di anatomia comparata dei vertebrati”, confermandoci che la vescica natatoria è una evoluzione dei polmoni, più precisamente delle cosiddette sacche polmonari, di cui erano dotati i pesci primitivi.E’ probabile che tutti gli osteitti (i pesci con scheletro osseo) arcaici, che abitavano le acque dolci, avessero sacche polmonari con la funzione di coadiuvare le branchie nella respirazione durante i periodi di siccità: quando, infatti, nei periodi più caldi stagni e torrenti si essiccavano, i pesci si rifugiavano sotto il fango, dove trascorrevano questo momento critico in una sorta di letargo, oppure nelle pozze d’acqua, dove il tasso di ossigeno era minimo. In questi frangenti, le sacche polmonari costituivano una riserva di ossigeno.
Il Padoa riferisce che in alcuni fossili di placodermi (tra i primi pesci nella storia del mondo, subentrati agli ostracodermi e con la caratteristica del capo ricoperto da placche di tessuto dermico ispessito) è stata osservata l’esistenza di due sacche polmonari.

Nell’ambito di un discorso evolutivo, è facile giungere alla conclusione che quei pesci che dai torrenti e dagli stagni passarono ai grandi laghi, ai grandi fiumi e al mare, dove non esiste il problema della penuria d’acqua, le sacche polmonari persero la loro funzione coadiuvatrice della respirazione e ne assunsero un’altra: quella di regolazione dell’assetto idrostatico.

Con e senza vescica natatoria

E’ certo che la vescica natatoria è presente solo nei pesci che “ne hanno effettivamente bisogno”. Ecco perché sogliole, rombi, tracine, scorfani e tutte le specie ittiche “fortemente” bentoniche non ne sono dotate o, meglio, alla nascita la vescica natatoria è presente, ma scompare in fretta, prima che il pesce abbia raggiunto lo stadio adulto. Un esempio in tal senso è la sogliola, così come il rombo, che alla nascita è normalmente dotata di vescica natatoria, tant’è che conduce questa prima frazione della sua esistenza muovendosi lungo la colonna d’acqua.

rombo 2 [2]

sogliola [3]

Tracina 2 [4]

scorfano 3 [5]

Poi, la vescica scompare e il piccolo pesce atterra sul fondo. In questa fase, per quanto riguarda in maniera specifica sogliola e rombo e altri pleuronettiformi, come la suacia e la linguattola, si assiste anche alla migrazione dell’occhio del lato pallido (quello poggiato sul fondo), che va a stabilirsi accanto a quello situato sul lato dorsale.

Al contrario della maggior parte dei pesci bentonici, quasi tutti gli altri pesci sono in possesso del proprio regolatore di assetto idrostatico.

Non ci soffermiamo sul principio secondo il quale funziona la vescica natatoria, poiché ci sembra superfluo: funziona, infatti, tale e quale all’equilibratore di un subacqueo e nei pesci di mare occupa circa il 5% del volume corporeo. Nei pesci di acqua dolce il volume sale al 7%. Questo 2% in più è necessario perché in acqua dolce il rapporto tra peso del pesce e peso del volume dell’acqua spostata è più penalizzante ai fini della spinta idrostatica: l’acqua dolce, infatti, è meno densa (meno pesante) dell’acqua di mare.

Grazie alla vescica natatoria, i pesci mantengono un galleggiamento passivo e spendono pochissima energia per conservare una determinata posizione nella colonna d’acqua.

Il riempimento e lo svuotamento della vescica natatoria viene attuato con afflusso e deflusso di gas, che nella maggior parte dei pesci è costituito da ossigeno, ma alcune specie possono usare anche anidride carbonica o azoto.

Ancora il Padoa, a tal proposito, dice testualmente: “La vescica natatoria è piena di gas, e nei fisiostomi, che vengono in superficie ad abboccare l’aria, ne ripete all’incirca la composizione. Ma nei fisioclisti il gas è secreto dall’emoglobina del sangue, e l’ossigeno, che può essere facilmente ceduto e riassorbito, prevale sull’azoto, fino oltre il 90%”.

Da quanto dice il Padoa, si evince che ci sono due tipi di vescica natatoria: una che comunica con l’esofago (attraverso il dotto pneumatico) e, quindi, può essere riempita anche con aria atmosferica, che il pesce ingurgita attraverso la bocca, e un’altra che non comunica con l’esofago e viene riempita solo grazie all’ossigeno del sangue. I pesci in cui la vescica natatoria comunica con l’esofago sono definiti fisiostomi, gli altri, in cui la vescica natatoria non comunica con l’esofago, sono detti fisioclisti.

Dove si trova

Com’è disposta la vescica natatoria nel corpo del pesce? Si tratta di una vera posizione “strategica”: innanzitutto, è disposta in posizione centrale, al di sotto della colonna vertebrale. In questa posizione, insieme con le pinne pettorali, tiene il pesce in equilibrio e scongiura movimenti di beccheggio e rollio.

vescica_natatoria [6]

Soffermiamoci un attimo a riflettere sul fatto che un pesce può avere la vescica natatoria solo perché possiede una cavità vuota in cui essa possa prendere posto. Questa cavità, che contiene anche i visceri e gli organi vitali, la chiamiamo comunemente “ventre”, ma il suo vero nome è celoma (da keotas, cavità) ed è una caratteristica degli animali più evoluti, come i vertebrati, che, in ragione della presenza del celoma, vengono definiti celomati.
Il successo dei celomati nella storia evolutiva (filogenesi) degli organismi viventi è da ricercare nel fatto che una cavità vuota ha consentito, nel tempo, lo sviluppo e l’ingrandirsi di alcuni organi, la formazione di un apparato digestivo ed escretore complesso, con il lungo condotto dell’intestino, un fegato di giuste proporzioni ecc. Inoltre, una grande cavità come il celoma rende i movimenti dell’organismo più agevoli, con un corpo meno rigido, più flessibile e più facilmente adattabile all’ambiente.
Nel celoma della maggior parte dei pesci trova posto anche la vescica natatoria e ne occupa una buona parte del volume.

Camere d’aria a pareti molli e a pareti rigide

La vescica natatoria in anatomia comparata è definita come una “camera d’aria a pareti molli”, per distinguerla dalle camere d’aria a pareti rigide, di cui un esempio tipico è l’osso di seppia.

Su questo particolare anatomico della seppia si parla molto e volentieri, però, in genere, ci si limita a dire che l’osso di seppia è il residuo di una conchiglia ancestrale, di cui, illo tempore, i cefalopodi erano dotati e che, avendo un grande volume e un peso esiguo, svolge funzioni di organo di alleggerimento coadiuvante la seppia nel trovare l’equilibrio idrostatico. Di solito, di più non si dice e, riferita così, la descrizione dell’osso di seppia sembrerebbe voler identificare qualcosa di poco meno che superfluo, un ammenicolo di scarsa importanza.

seppia 2 [7]

In realtà, l’osso di seppia è qualcosa di ben valido, con una sua “ingegneria” che ne esalta la funzionalità. In sintesi, l’osso di seppia, pur essendo un elemento rigido e indeformabile, riesce ugualmente a essere più o meno leggero, quindi a regolare la spinta idrostatica. Questo perché si tratta di una speciale “camera d’aria a pareti rigide”. Vediamo com’è fatta e come funziona.

L’osso di seppia in numeri

Innanzitutto, è interessante sapere che l’osso di seppia occupa il 10% circa del corpo della seppia e ha una densità compresa fra 0.570 e 0.630 kg/lt. Poiché il resto del corpo della seppia ha una densità di circa 1.067 kg/lt, la sua densità totale è di 1.026 kg/lt, che corrisponde all’incirca alla densità media dell’acqua di mare, quindi la seppia non ha alcun problema nel galleggiare. Inoltre, se ci fosse dato di osservare l’intima struttura di un osso di seppia, verificheremmo che esso è fatto di una sostanza porosa costituita da una serie di cellette con pareti di carbonato di calcio e chitina. Queste cellette, grazie a un complicato processo osmotico, possono riempirsi di gas o di acqua, rendendo l’osso più leggero o più pesante e aumentando o diminuendo il peso corporeo della seppia del 4% circa, consentendole di salire o di scendere lungo la colonna d’acqua con un esiguo dispendio di energia.

osso di seppia 2 [8]

Il polpo, anch’esso un mollusco cefalopode, non possiede un organo specifico come l’osso di seppia per raggiungere l’equilibrio idrostatico, ma è avvantaggiato dall’essere costituito sostanzialmente da acqua, quindi ha una densità (un peso) che supera di poco quella dell’acqua di mare, riuscendo, per ciò, a trovare l’equilibrio idrostatico con facilità. Inoltre, il polpo riesce ad aumentare e diminuire di volume con grande facilità, riuscendo a conferire quelle piccole correzioni ad hoc per raggiungere l’assetto idrostatico voluto: positivo, negativo o neutro.

polpo invertebrato dai grandi poteri [9]

 

Dott. Adriano Madonna, Biologo Marino, ECLab Laboratorio di Endocrinologia Comparata, Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Napoli “Federico II”

Bibliografia

C. Agnisola – Fisiologia degli organismi marini – Università di Napoli Federico II;
E. Padoa – Manuale di anatomia comparata dei vertebrati – Feltrinelli;
A. Poli – Fisiologia degli animali – Zanichelli;
O. Mangoni – Lezioni di biologia marina – Università di Napoli Federico II;
C. Motta – Lezioni di anatomia comparata – Università di Napoli Federico II;
G. Ciarcia e G. Guerriero – Lezioni di zoologia – Università di Napoli Federico II;
Hill, Wyse, Anderson – Fisiologia animale – Zanichelli;
Wehner, Gehring – Zoologia – Zanichelli.