Attualità

Giovedì pomeriggio al ‘Winspeare’ con Raffaele Zocchi

 di Rosanna Conte
Pinzillacchere. Copertina. Resized

 

Giovedì pomeriggio, ai tavoli del Winspeare c’è stata la presentazione del libro di Raffaele Zocchi, un evento molto gradevole e ricco di spunti.

Silverio Lamonica, come da programma, ha introdotto Pinzillacchere con puntualità, facendo le sue osservazioni (la recensione di Silverio è stata pubblicata sul sito: leggi qui – NdR); poi si è avviato il dialogo con l’autore che, opportunamente sollecitato, ha risposto volentieri alle curiosità che il libro suscita.

Pinzillacchere è una raccolta di racconti in cui la penna dell’ingegnere Zocchi si diverte a tratteggiare personaggi, situazioni, stati d’animo, paesaggi rielaborati con sagacia e ironia dal suo spirito critico e creativo, espressi con un linguaggio che restituisce la precisione con cui guarda la realtà.

Lo spirito che anima questo sguardo è sufficientemente distaccato dall’emotività che le incongruenze, le contraddizioni, le insipienze di questa società così altamente tecnologizzata e modernizzata, possono suscitare.

L’autore ha ben metabolizzato il contesto privilegiato da cui attinge gli elementi dei suoi racconti, la sua Napoli, ma ne ha assorbito anche la capacità di sorridere dei suoi difetti e di vedere la vita nella sua interezza senza soluzione di continuità con la morte, come era nello spirito greco delle sue origini.

E’ da questo mix che nasce il personaggio di Lo Turco, protagonista della prima parte della raccolta: osservatore, critico, beffardo nella sua protesta, serio e preciso nella risposta concreta che contrappone alle incoerenze di chi dovrebbe regolamentare con sagacia e misura le intemperanze di un popolo estroso, partecipe di quanto accade sotto i suoi occhi e sempre pronto a farsi travolgere dalle emozioni.

Di certo la parte analitica di Lo Turco è ereditata dalla sfera razionale del suo autore, ma quella operativa attinge alla sua fantasia che, sebbene sia debitrice verso tutto l’armamentario colto, dal classico al moderno, di Raffaele Zocchi, molto deve alla sua napoletanità. Pensiamo al “Votantonio” del grande Totò, ai travestimenti dei re magi in Natale in casa Cupiello, o agli innumerevoli cortei che hanno attraversato e attraversano Napoli – da quelli funebri dei racconti classici napoletani a quelli dei disoccupati degli ultimi decenni. 
Ma ci sono anche azioni che affondano nell’armamentario moderno come i giocattoli riciclati, la stazione televisiva con notizie standard o l’accompagnamento al seggio per raggiungere il quorum al referendum.

In realtà trarre fuori dalle difficoltà odierne quanto serve per sopravvivere è la lezione che ha appreso Lo Turco e nel racconto Il terzo trasportato l’estro napoletano gli suggerisce una reazione creativa che giunge alla rielaborazione del contrasto fra la sua logica e le regole amministrative di difficoltosa applicazione o proclamate e non applicate, evitando di giungere nuovamente a quei livelli di esasperazione che precedentemente erano sfociati nella follia..

Nonostante il rammarico per il povero Lo Turco, il lettore avverte il sorriso che accompagna le sue pazzie: il personaggio è la nostra anima travolta dall’illogicità di una vita compressa dai divieti che reagisce come noi non abbiamo idea o coraggio di fare. Siamo nell’ambito di quell’umorismo pirandelliano che poggia la sua specificità nel ridere dei difetti altrui per, subito dopo, penetrare in quell’animo, comprenderlo e provarne simpatia

La parte centrale della raccolta, Un’isola racconta, è la più breve. Sono solo cinque racconti, legati a Ponza, e fra essi troviamo l’aneddoto, il racconto realistico, ma anche personaggi di pura fantasia.

Proveniente da una realtà ‘altra’, Zocchi guarda da una certa distanza al mondo di questa piccola isola, riuscendo, però, a coglierne alcuni aspetti essenziali che l’hanno caratterizzata in diversi momenti della sua storia.

Nascondere i resti archeologici, prediligere l’abuso edilizio o dare fiducia alla guaritrice, sono tratti isolani che emergono nei suoi racconti come le punte di un iceberg, aspirando a restare solo delle pennellate di alcuni caratteri del ponzese senza la pretesa di voler sviscerare il tema, di emettere giudizi o di restituire l’isola nella sua complessità umana.

Ad esclusione dei due racconti, Il polpo e Il viaggio pericoloso, tratti da fatti realmente accaduti e sentiti narrare, e che si riferiscono chiaramente al contesto ponzese, gli altri tre attingono alla capacità creativa dell’autore che colloca azioni e personaggi non individuabili, nemmeno nel luogo, in un contesto di immagini e sensazioni che gli provengono dalla reale esperienza vissuta a Ponza in oltre quarant’anni di frequentazione.

Così, se ne Il gabbiano d’argento, un racconto giallo, ci troviamo con l’isola di Eleuta, in Odisseo moderno e Le guaritrici, l’isola è senza nome.

Odisseo, personaggio dal nome emblematico si muove nelle stradine di quest’isola con la tipica mentalità ponzese, ma compie, come suggerisce il suo nome, un viaggio verso il cambiamento guidato dalla sua compagna ucraina Penelope. Così passa dal nascondere un’emergenza archeologica e una preziosa reliquia a dialogare con l’amministrazione e le istituzioni sulla linea della tutela, della fruizione pubblica, ma anche della concessione di un’attività lucrosa. Questo è un enorme passo avanti che a Ponza non è stato ancora fatto da nessuno.

L’ultimo racconto, Le guaritrici, riporta l’isola indietro nel tempo, ma è l’occasione per sottolineare le difficoltà per la popolazione isolana, ancora oggi, di ricorrere alle cure mediche.

Nella terza parte troviamo sei racconti con altre cornici, altre tematiche ed altri personaggi.

La New York dell’undici settembre, una Napoli col divieto europeo del forno a legna per la pizza, un immaginario campo di calcio sotto le mura di Troia, il sogno di una storia d’amore in una imprecisata città, un bellissimo giallo a Parigi, una simil-paraolimpiade con gli ostacoli quotidiani delle strade di Napoli.

Sempre nella sua prosa gradevole e senza sbavature, Raffaele Zocchi, in questa parte si diletta a giocare anche con le lingue mediante citazioni latine e greche, nonché espressioni in inglese.

Lo spirito con cui Raffaele Zocchi si è posto nei confronti della sua raccolta di racconti sta proprio nella scelta del titolo, Pinzillacchere, una parola coniata da Totò per indicare cose da poco – come le nugae di catulliana memoria – affiancata a quisquilie e bazzecole, quindi a voler dire “Non prendetemi troppo sul serio.”

E il sorriso sottende tutti i racconti, anche quelli che trattano tematiche serie, perché, come ha detto l’autore, giovedì pomeriggio, come puoi far capire che tanti problemi quotidiani si possono risolvere seguendo logiche semplici senza le arzigogolature delle disposizioni amministrative?

Aver vissuto molto tempo lontano da Napoli ha certamente influenzato il suo modo di guardare la realtà: andare lontano, fare nuove esperienze e riportarle con sé al ritorno, offre nuove chiavi di lettura e fornisce nuovi suggerimenti per dipanare la matassa delle contraddizioni della propria terra.

Zocchi, durante la chiacchierata, ha confermato che la poca incisività con cui ha affrontato il mondo isolano è stata una scelta consapevole: avrebbe potuto essere tacciato come l’ennesimo straniero che viene a criticare Ponza, pur non avendone le intenzioni.

Alla domanda più ovvia, come un tecnico ami la scrittura fino alla stesura di racconti, Zocchi ha risposto raccontando come l’amore per la scrittura sia nato in lui già alle elementari per puro caso, sia stato coltivato con gli studi classici, e lo abbia accompagnato sia nel percorso lavorativo da ingegnere meccanico, con trattati tecnici, sia nella sua vita privata con la stesura di poesia e racconti.

Lo spirito artistico non collima necessariamente col mestiere che fai, pensiamo a Primo Levi, a Italo Svevo, a Ottiero Ottieri nel campo letterario, ma anche a un Van Gogh nel campo della pittura e così via.

A conferma di ciò, Raffaele Zocchi, che scrive anche poesie, giovedì ce ne ha lette tre.

Il pomeriggio al ‘Winspeare’ si è chiuso con saporiti tranche di pizza e un frizzante brindisi.

 

 

1 Comment

1 Comment

  1. raffaele zocchi

    11 Agosto 2014 at 18:12

    Carissima Rosanna, ti ringrazio ancora per questa recensione, che conservero’ gelosamente, insieme con quella di Silverio, perché rappresenta con estrema chiarezza e perspicacia lo spirito che è alla base del mio libretto e lo spirito, si sa, è l’opera. Come giustamente hai notato, l’uso del castigat ridendo mores per Ponza è stato da me limitato, sia per la ragione che tu hai riportato , sia perché, avendo preso tanti anni fa “la rena di Palmarola”, non riesco a comportarmi con Ponza se non come si fa con una donna amata: privilegiandone le bellezze e minimizzandone i difetti. Ciò non toglie che proprio per l’amore che porto a quest’isola, non mi dispiaccia vederla spesso sfregiata, sfruttata, ingiuriata proprio dai ponzesi, da alcuni comportamenti che sono contrari alle loro stesse tradizioni, alla loro stessa cultura.
    Un piccolo grande sogno sarebbe quello di vedere l’isola conservata nella sua struttura storica e naturalistica, senza rinunciare al giusto guadagno che un utilizzo adeguato può offrire. Concludo dicendo che ho in cantiere altri racconti, compresi alcuni ancora sullo sfondo di Ponza. Ci risentiremo.

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