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La Zattera della Medusa: il nemico dentro

di Sandro Vitiello
Il dipinto al Louvre [1]

 

Ho potuto finalmente vedere bene un quadro di cui avevo sentito parlare: “La Zattera della Medusa” di Géricault esposto al Louvre.

Ne avevo letto anche un capitolo dedicato alla vicenda in “Oceano Mare” di Baricco.
Nel libro si parla del naufragio della fregata francese Méduse andata a sbattere contro un banco di sabbia in pieno oceano Atlantico, il 5 luglio 1816, a centocinquanta chilometri dalle coste della Mauritania (Baricco cambia il nome della Méduse in Alliance).

Il quadro racconta la tragedia dei naufraghi abbandonati su una zattera in pieno oceano.
E’ una rappresentazione di forte impatto: l’autore aveva dedicato molto tempo alla preparazione di questo dipinto; aveva parlato con due sopravvissuti della zattera, aveva studiato le onde e le maree, osservato decine di cadaveri per immaginare lo strazio degli uomini che stanno per andarsene.

J.L.T. Géricault. (1818-19). La zattera della Medusa. Louvre [2]

E’ un quadro che tocca qualcosa dentro di noi.

Ci si arriva dopo aver visto quanto di meglio l’ingegno umano ha saputo produrre nella sua breve-lunga storia, attraversando le stanze del Louvre.
Eppure davanti a quella rappresentazione tante persone sentono il bisogno di fermarsi, di sedersi e fissare a lungo il quadro.

Su quella zattera si è consumata una tragedia nella tragedia.
La parte peggiore della bestia umana è venuta fuori perchè, alla fine, ad ognuno di quelli che rimasero vivi dopo la prima notte in balia delle onde, fu chiaro che per salvarsi bisogna sopprimere chi gli stava vicino e se questo non bastava – le scorte erano veramente poche per così tanti naufraghi – uomini avrebbero mangiato uomini.

Eppure quell’avventura era iniziata senza tante preoccupazioni.
Dopo i trattati di Parigi, seguiti alla prima sconfitta di Napoleone e il suo esilio all’Elba, la Francia ritornò in possesso del Senegal.
Il re Luigi XVIII inviò un nuovo governatore che prese posto sulla Méduse accompagnato da altre tre navi.
Il comandante della fregata era Hugues Duroy de Chaumareys, un uomo che non navigava da venticinque anni e che godeva di scarsa stima nel suo mondo. Non godeva neanche del rispetto dei suoi ufficiali.
Non sapeva “leggere il mare”. Non era in grado di interpretare i colori dell’orizzonte, del cielo, della superficie delle acque sconfinate.

Per arrivare in fretta in Senegal impose alla nave una forte andatura che distanziò di tante miglia quelle che la seguivano.
La Méduse andò a sbattere da sola contro il suo destino.

L'iscrizione sulla cornice del dipinto [3]
Scrive Baricco:

“L’Alliance era una nave forte e grande. Il mare non l’avrebbe mai vinta. Ci vogliono tremila querce per costruire una nave così. Una foresta galleggiante. A perderla è stata l’idiozia degli uomini. Il capitano Chaumareys consultava le carte e misurava la profondità del fondale. Ma non sapeva leggere il mare. Non sapeva leggere i suoi colori. L’Alliance finì nel banco di Arguin senza che nessuno sapesse fermarla. Strano naufragio: si udì come un sordo lamento salire dalle viscere dello scafo e poi la nave si inchiodò, leggermente piegata su un fianco. Immobile. Per sempre. Ho visto navi splendide lottare con tempeste feroci, e ne ho viste alcune arrendersi e scomparire in onde alte come castelli. Era come un duello. Bellissimo. Ma l’Alliance, lei non ha potuto combattere. Una fine silenziosa. C’era un grande mare quasi piatto, tutt’intorno. Il nemico ce l’aveva dentro, non davanti. E tutta la sua forza era niente, con un nemico così. Ho visto molte vite naufragare in quel modo assurdo. Ma navi, mai.”

Il nemico ce l’aveva dentro la Méduse.

Fu quello stesso nemico che la portò a morire su un banco di sabbia in pieno oceano a ordinare alla ciurma e a qualche ufficiale di costruire una zattera (di 20 metri per sette), perché sulle scialuppe non c’era posto per tutti.
Per qualche ora, dopo che la nave fu abbandonata, le scialuppe provarono a trascinare la zattera che ospitava centoquarantasette uomini e forse anche qualche donna.
Appena il tempo si mise al brutto qualcuno tagliò la cima che legava i destini di tutti quegli uomini e in pochi minuti la zattera scomparve dalla vista di quanti avevano preso posto sulle barche.
Loro si salvarono tutti approdando sulle coste africane.

La zattera andò alla deriva nella tempesta e quando questa finì ci si accorse che tanti suoi ospiti non c’erano più.
Era solo l’inizio: per giorni e giorni non ci fu che mare e fame.
Alla fine se ne salvarono solo tredici e non è detto che sia stato un bene.

Su quella zattera si consumarono le peggiori nefandezze che la specie umana sa tirare fuori.
In pochi di quei tredici sopravvissuti trovarono la forza per raccontare quello che successe.
Un giornale ne raccontò i dettagli; il governo a cui venne addebitata la scelta del comandante inetto dovette dimettersi e addirittura la corona ne ebbe a subire conseguenze.

Il quadro venne mostrato in pubblico quasi tre anni dopo i fatti narrati e in un qualche modo venne boicottato in Francia, per non aggiungere polemiche.
Un anno dopo venne portato a Londra ed esposto in una importante mostra.
Come diritti sui biglietti venduti guadagnò ventimila franchi: più di quanto gli aveva offerto il Louvre per acquistarlo.

Géricault morì pochi anni dopo (a trentatré anni, per i postumi di due cadute da cavallo) e solo allora il suo quadro trovò il suo giusto posto al Louvre.

Se passate da quelle parti fermatevi a guardarlo.
Ha tanto da raccontarci.

 

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