Ambiente e Natura

Pubblicità! Il faro di Rumiz

proposto da Sandro Russo

 

Chiedo scusa per l’intrusione personale. Vorrei invitare alla lettura di un giornalista scrittore che mi piace molto, tratta spesso temi a noi consoni e che non per la prima volta incrocia queste pagine di Ponza racconta (leggi qui).

Il Guardiano. Vign. di Altan

.

Inizia a partire da oggi sul quotidiano “La Repubblica” la consueta avventura estiva di Paolo Rumiz. Si può trovare on-line su www.repubblica.it

Il racconto sarà pubblicato in 26 puntate (!), tutti i giorni (domeniche escluse).
Il 10 settembre sarà in edicola il dvd con il video reportage.

Il Guardiano di Paolo Rumiz su La Domenica di Repubblica. Immagine di Altan

Un’isola disabitata. Un fascio di luce sul mare in tempesta. E un segreto da custodire Inizia qui il racconto estivo di Paolo Rumiz.
Come casa un faro e come patria uno scoglio, senza radio, internet, telefono, tv.
Il diario di un mese vissuto molto silenziosamente.

“Ieri, per due volte, esplorando l’isola prima della pioggia, mi sono voltato per capire di chi erano i passi dietro di me. Ma non c’era nessuno, se non forse il mio angelo custode…” (di Paolo Rumiz)

 

Nota.
Immagine di copertina di Altan
Immagini nel testo, di GIPI, da “Repubblica”

Aggiunte successive, man mano che vengono pubblicate le altre puntate:

di Sandro Russo

Avevo scritto che con Paolo Rumiz ci eravamo spesso incrociati sul sito: per interessi, sensibilità, modalità di scrittura, intendo.
A conferma, leggo nella seconda puntata del suo reportage “Il guardiano del faro”, di lunedì 4 agosto che conosce e apprezza un Autore che abbiamo anche noi recensito su queste pagine (leggi qui).

Scrive Rumiz:
Ma forse dovevo la scelta anche a un grande narratore di mare, Antonio Mallardi da Bari. Difficilmente conoscerò un’anima più omerica della sua. Pescatore, contadino, violoncellista, consulente editoriale, aveva inseguito dentici e murene dalle Tremiti alle Jonie e oltre ancora, fino al mare infuocato di Haifa. Con Fosco Maraini aveva circumnavigato Itaca sott’acqua, una settimana a caccia di pesce di scoglio, con una barca d’appoggio.
Antonio mi manda ogni tanto a sorpresa lettere dattiloscritte dense di dettagli preziosi, e sono fogli sfolgoranti di indignazione per l’arroganza e le ladrerie del tempo presente, ma anche profumati di fichi d’india e salsedine, di vento e di mito. E la mia isola, mi disse un giorno, tanto tempo fa non ricordo, era un posto giusto per ubriacarsi di vento e di mito.
Eolo rinforza, ma non piove più e il cielo si riempie di luce. In pochi minuti passa dalla Cornovaglia all’Egeo, e il Levante si mostra in tutta la sua magnificenza. E’ «un vento carico di luce e riflessi, che ravviva il mare di onde frequenti e ricche di schiuma, che riempie di colore le nostre scogliere, che porta i semi di mirto e di rosmarino, che matura i fichi d’India e l’uva, e insanguina di papaveri i campi di grano, che cuoce la fronte e la nuca dei pescatori, che feconda il mare di nuovi pesci… il vento della nostra civiltà antichissima, su cui si aprirono le vele di Ulisse e Diomede, soffia sempre su di noi, anche se sono passati i millenni, se la Grecia è solo rovine. Da Levante continueremo ad attingere calore e vita».

Leggere il libro di Antonio in questo faro, su quest’isola e con questo vento, è decisamente un’altra cosa.

Levantazzo

Nella IV puntata
di Sandro Russo

Altro tema ricorrente in Rumiz è il Mediterraneo. Lui, triestino, conoscitore e cantore della Mitteleuropa, eppure irresistibilmente attratto dal mare, da ‘quel’ mare, con l’idea che sia legame tra le genti, non elemento di separazione.

Come un altro nume tutelare e riferimento del nostro sentire, sul Mediterraneo: Predrag Matvejević, nato a Mostar (città di fiume, ma non di mare), da padre di etnìa russa e madre jugoslava, di etnìa croata.

Così Rumiz ne parla nella sua quarta puntata del reportage “Il guardiano del Faro” che stiamo seguendo, per piacere personale e per parteciparne ai Lettori di Ponza racconta:

“E il mare sterminato riapparve, a precipizio, dopo una gola da eremiti. Svelò altri arcipelaghi percorsi dai Greci, i Fenici, i Veneziani, e mostrò sulla costa anche i segni formidabili della dominazione romana. La città ai piedi della montagna aveva l’impianto squadrato delle legioni e degli imperatori e un grande mercato fuori le mura, dove rugose Parche vestite di nero orchestravano un mirabile vocìo che poteva benissimo essere slavo, turco, greco, ma anche veneto, in mezzo a ceste di pomodori, gabbie di polli e gatti dall’aspetto egizio.

Come sulle scogliere dei Liburni, sulle coste rocciose della Catalogna e in molti paesi della Dalmazia, anche lì le barche dei pescatori venivano parcheggiate a quote impensabili. Salendo per le calli mi accorsi di una prua in rovere che mi sovrastava da una terrazza e di una vecchia alberatura tra i fiori di un giardino pensile. Poi, da un cimitero ebraico alto sul mare, vidi davanti alla città una grande isola che portava il nome stesso di Faro, avanguardia del mio sperduto capolinea. Nel pomeriggio del Venerdì Santo, con mare tempestoso di Scirocco, un traghetto pieno di femmine mi portò molto al di là della grande isola, per sbarcarmi in un porticciolo simile alle fauci di uno squalo. Nella chiesa maggiore del paese, dove avrei pernottato, un chierico impugnò la Croce come una spada davanti a pie donne genuflesse mentre sul sagrato decine di bambini agitavano girandole di legno, come un frinire di grilli, in attesa della processione.

Quando dentro finirono bordoni e litanie, fuori cominciò il canto. Maschile, potente, in mezzo a una folla di ceri.
Era Sardegna, Baleari, Grecia, mondo ebraico Sefardim: la voce stessa del Mediterraneo”.

 

Il Faro e gli uccelli. Di GiPi

Nella VI puntata

Da Il Guardiano del Faro di venerdì 8 agosto. Estratto dal reportage di Paolo Rumiz

Gli Uccelli
(…) Verso le 22 dei colpi sordi sui vetri della cucina ruppero il silenzio della notte senza vento. Guardai fuori: erano grosse cavallette, e annaspavano sul davanzale mezze tramortite, in uno sfarfallio di falene. Due ore prima avevo visto una squadriglia di rondoni formare una nube attorno alla torre del faro e alla stazione meteo. Non ne avevo mai incontrati fino a quel momento. Per mezz’ora avevano sparato i loro trilli di fame nella sera. Poi erano scomparsi nel nulla, così come dal nulla erano arrivati.

Uscii. C’erano poche stelle, ma quelle poche parevano di fuoco. Qualcosa stava succedendo. Presi una torcia e salii in cima alla torre. Per capire, la lanterna era il più perfetto dei punti d’osservazione. Mi sedetti sotto la lampada rotante, per non esserne accecato, e aspettai. Dopo dieci minuti ci fu un altro colpo, ma molto più forte. Un uccello era finito contro i cristalli, feci appena in tempo a vederne la massa scura afflosciarsi e cadere. Avrà avuto la grandezza di uno storno. Nell’ora che seguì ne arrivò un secondo, ma non ne indovinai la sagoma. Di certo erano migratori esausti, imbambolati dalla fata Morgana. Non potevano essere isolani: quelli conoscevano il faro.

Pare che un tempo, nei fari, ci si cibasse degli uccelli schiantati sui vetri della lanterna. Al mattino si raccoglievano, si spennavano e si salavano per i momenti di magra. Era, si dice, l’equivalente aeronautico della lampara. Il faro faceva ai volatili quello che il rogo di legna resinosa sulle barche faceva al pesce azzurro migrante. Ma qui non accadeva nulla di simile. Sul tetto dell’edificio sotto la torre non avevo visto segni di piume o scheletri di animali. Forse gli uccelli riuscivano a riprendersi dal botto e a ripartire. Ma quella notte restava strana. Sembrava che l’isola navigasse. E gli uccelli, come gli insetti, da qualcosa dovevano pur scappare. (…)

E questa è la testimonianza dell’amico Biagio Vitiello, alla serata del Faro della Guardia, del 10 agosto 2012 (leggi qui):

“A proposito delle foto del fanale e della lanterna, ricordo qualche episodio simpatico da riportare… Una volta mio padre fu allarmato da strani rumori che venivano dalla lanterna; accese qualche luce e guardò giù nel cortile: ebbe l’impressione che ci fossero centinaia di topi stesi per terra. Quando scese a vedere, trovò invece centinaia di quaglie, un stormo che si era perso nella nebbia e erano andato a sbattere contro l’ostacolo del Faro. Quella volta mangiammo quaglie per molti giorni!

Ma non solo quaglie venivano a sbattere contro la lanterna: un volta furono due ‘parlanti’ (Berta maggiore – NdR) che in tempi di penuria alimentare come erano quelli, mia madre provò anche a cucinare. Però erano immangiabili; fecero una tale puzza che mamma voleva buttare pure le pentole che erano servite per la cottura! Al che mio padre ebbe l’idea di proporle ad un certo ‘signor Allegretto’, un confinato (credo non politico), comunque un poveraccio che abitava in una grotta vicino allo sbarcatolo e faceva piccoli lavori occasionali. Ebbene il sig. Allegretto gradì moltissimo, tanto che ringraziò mio padre con molta enfasi: “Signor Vitiello, con questo pranzo lei non mi ha fatto fare solo Natale, ma l’Epifania e anche Pasqua!”

Gabbiani. Mare

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Appendice alla IX puntata

Sull’aggressività dei gabbiani dell’isola, scrive Rumiz:
“In un primo momento pensai che il resto del pollame se lo fossero arrostito i faristi. L’assistente soprattutto, che non ne poteva più di pesce e non cucinava che bistecche. Così non osavo chiedere. Ma un giorno il custode anziano chiarì il mistero. “Le altre se le sono mangiate i gabbiani”, disse, e mimò la scena di un micidiale attacco concentrico ad ali spiegate”.

Commenta e ne scrive Mimma Califano, nel suo articolo “Gabbiani” (leggi qui)

Gabbiani. BN

 

Appendice alla XIII puntata

Un gioco ulteriore, nel gioco più grande costituito dalla scrittura, è la complicità che l’Autore instaura con i suoi Lettori, come nel capitolo iniziale di questo “Guardiano del faro” in cui Rumiz sfida – e al contempo vuole scoraggiare – i suoi lettori a localizzare precisamente il luogo fisico dello scoglio in mezzo al mare in cui ha scelto di isolarsi per un mese; perché – si immagina – vuole che trascenda la sue coordinate geografiche e rimanga il più possibile ‘luogo della mente’ in cui l’uomo resta solo con se stesso…

Ma ora che, al 13° episodio, lui stesso ne fa un accenno, possiamo anche noi – che ovviamente fin dall’inizio non abbiamo resistito a cercarlo con ogni mezzo, fino a sapere dov’era – divulgare, almeno in immagini, il faro sperduto, alto sul mare, sul crinale al centro di un’isola che somiglia a una salamandra…

L'isola misteriosa.

Palagruza lighthouse was built in 1875 under Austro Hungarian Monarchy on the island of the same name

Così infatti scrive Paolo Rumiz nella prima puntata del suo reportage:

“Ora dovrei dirvi dove sono. Per esempio che questa è un’isola lontana da tutto eppure al centro di tutto. Uno scoglio che, nonostante la distanza, è impossibile mancarlo. È microscopica, ma sulle mappe nessuno la dimentica, perché è un punto nave fondamentale. È segnata anche sulla mia carta del Mediterraneo, scala uno a due milioni, e la scritta che la identifica è dieci volte più grande di lei. Dovrei darvi le coordinate, latitudine e longitudine, ma non lo farò. Non vi dirò neppure la nazione cui appartiene, perché detesto le nazioni e il mare non ha frontiere. Sappiate solo che di qui sono passati un po’ tutti. Greci, Latini, Slavi, Turchi, Veneziani, genti di lingua tedesca, Inglesi e pirati saraceni. Persino Napoletani.
Un’unica informazione: qualche millennio or sono gli antichi l’hanno battezzata col nome del mare, perché ai loro occhi essa ne rappresentava la quintessenza. Non chiedetemi altro. Troppo facile, con i motori di ricerca. Bastano due-tre nomi e anche un bambino distratto ci arriva. Voglio che fatichiate a trovarla, che la navigazione sia ardua, che vi perdiate nei libri prima che negli arcipelaghi. La mela rosicchiata ci ha già fregato abbastanza: prima con Eva e poi con la Rete. Vi prego dunque, nel caso la trovaste, se siete affezionati alla mia scrittura e non volete che un luogo benedetto sia invaso dall’orda degli infedeli, non ditelo a nessuno. E se doveste rompere il patto e dire forte quel nome, vi maledirò come Long John Silver per l’Isola del Tesoro e farò di tutto per smentirvi”.

L'isola misteriosa.2

L'isola misteriosa. L'arcipelago

L'isola misteriosa.3

 

Appendice alla XIV puntata (del 19 agosto 2014)

“La cultura dei segnali”
Scrive Rumiz: 

“(…) Scopro così che su questo scampolo di terra deserta non c’è pietra che non abbia un nome e i toponimi sono più fitti dei numeri civici del rione di una metropoli.
Non vuol dire solo che questo posto in mezzo al nulla è stato abitato da cavatori di selce, monaci, marinai, faristi e chissà quali altre persone. Vuol dire che per i pescatori riconoscere alcuni punti esatti dell’isola è stato ed è essenziale per traguardare i fondali migliori. Nella sua parte sommersa, in alcuni punti precisi, la montagna del ciclope pullula di pesci, e per riconoscere quei punti nel vasto mare devi guardare bene la terraferma. Per esempio quando lo scoglio x si allinea con la chiesa di San Michele e nello stesso tempo lo scoglio y si piazza davanti al faro, allora vuol dire che la triangolazione è perfetta e puoi buttare le reti. Cose che non puoi capire se dipendi dal Gps.

Ne consegue che, senza antidoti, la navigazione satellitare finirà per distruggere i nomi di luogo e la memoria che contengono, rubandone l’anima. (…)”

“(…) Avere la visione d’insieme: è questo che significa per me la percezione pelagica del mondo. A Berlino non possono capire, e nemmeno a Roma o a Parigi, perché la loro è una cultura di terraferma. Non hanno visionari ma solo analisti nei loro fottuti uffici studi. (…)”.

 

E questo è quanto scriveva il ‘nostro’ Enzo di Fazio in una lettera datata 2010, poco prima che nascesse Ponza racconta:

A proposito di pesca e termini marinari, mi è capitato la scorsa settimana, mentre ritornavo a Ponza, di fare il viaggio con Peppe Sandolo (più o meno della nostra età), fornese figlio di pescatore. Mi ha raccontato diverse cose sulla pesca “a castaurielle” (pesce non più reperibile – mi diceva – nei mari di Ponza) che, da ragazzo, faceva con il padre. Penso che Peppe debba essere coinvolto, per i ricordi che ha, in occasione del prossimo incontro.

Mi ha raccontato, tra l’altro, di come erano gli scandagli primordiali.
All’estremità di una lunga corda veniva legata una pietra bella liscia, del diametro di 15/20 cm, cosparsa alla base  di tanto “sive”. Il grasso a contatto con il fondale tratteneva quello che toccava: se, una volta tirata su, c’era la sabbia significava che il fondale era sabbioso, adatto, quindi, per prendere tracine, rombi, seppie, etc; se rimanevano pezzetti d’alghe o di gorgonie, o addirittura nulla, significava che il fondale era roccioso e, quindi, adatto per pescare saraghi, gronchi, pezzogne, scorfani etc.
A quel punto il luogo veniva memorizzato pigliann’ i signàl’, attraverso cioè l’individuazione delle coordinate topologiche fatte di punti di riferimento a terra (non meno di due, meglio tre per sicurezza) rappresentati da faraglioni o da scogli che dovevano combinarsi e vedersi, a destra e a sinistra del pescatore, sempre in quella, e solo in quella, determinata posizione. Ad esempio: “a punta d’u faraglione d’a Guardia miezze i faragliuni d’a Madonna a sinistra, ca punta ‘i l’isiGave dritte p’i  faragliuni ‘i Parmarola, a destra.

Il faro dell'isola misteriosa

Il Faro dell’isola misteriosa: a quale faro che conosciamo somiglia (un po’)?

Faro dall'alto

Appendice alla XVI puntata

La Flora dell’isola

Scrive Rumiz nella untata odierna – su La Repubblica ” del 21 agosto 2014:

“Intanto ho cominciato a ravanare nella brughiera e ho trovato un bel po’ di roba. Il finocchietto di mare, con le sue foglie grasse lanceolate, perfetto con la cipolla nelle insalate. Gemme di cappero già belle turgide sul lato sud dell’isola, un piccolo tesoro verde smeraldo che ho già messo sotto sale. Aglio selvatico, che lo trovi dappertutto e quasi ti ubriaca se lo sfreghi. E poi gli asparagi. Ieri, accanto ai resti di una cisterna romana, ne ho trovato un giacimento e ne ho fatto incetta, spaventando parecchi serpenti, poi li ho cucinati con uova strapazzate, contorno di pomodorini, cipolla rossa, olive nere e formaggio greco.
Ho cenato alle sei e sono crollato alle nove, al primo buio… (…)” 

Ci siamo procurati un po’ di foto dell’isola del faro di Rumiz, e la vegetazione ci è sembrata straordinariamente simile a quella delle nostre isole. A parte il finocchietto marino (Crithmum maritimum – Ombrellifere) che a Ponza si fa sottaceto e si accompagna agli antipasti di mare, del cappero non parliamo neanche, ma sono questi cuscini compatti di Euphorbia dendroides (i nostri ‘cecauocchie’) che ci hanno fatto accendere gli ‘special’ del riconoscimento e della condivisione:

Crithmum. Da Omero

Flora.1

Faro e flora.2

Appendice alla  XVIII puntata

Rumiz racconta di alcuni episodi nella sua vita, in cui ha incrociato l’isola-faro dove poi è andato a passare un mese intero:

“A pensarci bene, il primo a parlarmi dell’Isola fu un capitano turco, una trentina d’anni fa”.
(…)
“Il faro tornò a chiamarmi una ventina d’anni dopo, a Marsiglia. Ero lì a farmi di profumi, aglio-menta-rosmarino (*), quando attaccai discorso con un giovanotto di nome Lionel, che serviva come cameriere in un ristorante dalle parti delle Calanques e aveva fatto il cuoco per una decina d’anni sulle navi da carico. Mi parlò delle mille ricette e contaminazioni culinarie che aveva rubato qua e là viaggiando per mare. Poi, non so come, il discorso cadde su un’isola. La chiamava “il condominio sommerso dei pesci”, per via della sua straordinaria pescosità, ma non ne ricordava il nome. Disse però che
“Il y avait un phare” a strapiombo, che — come uno scoglio di sirene — attirava tutti quelli che ci passavano accanto. Ne feci il nome, e lui rise: “Oui! Voilà nôtre île”.
(…)
“Da allora le chiamate si moltiplicarono, e il luogo mi crebbe dentro come mito e desiderio, finché non giunse il terzo incontro, quello decisivo. (…)
…Era un archeologo dalmata specializzato in storia del Mediterraneo, e si chiamava Branko Kirgigin. Era stato più volte su quello scoglio sperduto e negli anni Novanta vi aveva svolto una campagna di scavi. Quando lo cercai per saperne di più, mi invitò subito a cena nella sua casa di Spalato e mi riversò una montagna di storie. Era un visionario: tracimava di immagini più che di dati scientifici. Evidentemente l’Isola era per lui un luogo dell’anima (**), più che un oggetto di studio.

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(*) – In realtà il libro di Jean-Claude Izzo si intitola “Aglio menta e basilico” (leggi qui)

(**) – Esistono posti del genere! …eccome! Leggo per esempio su un opuscolo-guida per una piccola impresa ponzese di affitto gommoni (anno 2001, circa):
“Lasciandosi Palmarola alle spalle, sulla via del ritorno a Ponza in direzione del Faro della Guardia, quasi nessuno si accorge di aver contratto una malattia inguaribile, con una incubazione variabile, ma che sicuramente darà segni di sé, prima o poi.  Il fatto è che Palmarola “rimane dentro” come pochi altri posti al mondo.

20110323-4. Costa di ponente da Monte Tramontana

20110322-3. Scoglio di S. Silverio

20110412-16. Spiaggia di dx

E’ difficile stabilire la natura dell’infezione, perché ognuno ci mette del suo: sarà la natura selvaggia e inospitale dell’isola, la relativa esiguità degli insediamenti umani, la difficoltà di sopravviverci per un periodo appena un po’ più lungo se non si è fortemente motivati; saranno le grida dei gabbiani a primavera o le cascate di ‘rose marine’ che scendono dai dirupi; sarà la sensazione di libertà e di isolamento dal mondo, che di fatto è appena dietro l’angolo.

Sarà per ciascuno una cosa diversa, ma molti ci torneranno, di persona o con i pensieri, perché quest’isola perde ben presto le connotazioni fisiche di entità geografica e diventa luogo dell’anima e della memoria”.

20110412-23. Cattedrale.5

20110412-29. Suvace Vardella e Ponza

 

Appendice alla XIX puntata

Dove Rumiz racconta di una notte di tempesta in cui sembra che presenze demoniache – non solo i venti – siano scatenate all’interno del faro…

Il Mostro del Faro

L’illustrazione di GIPI all’articolo di Rumiz, su Repubblica di oggi 25 agosto 2014

E come se non ne abbiamo scritto anche noi sul sito..! (leggi qui).

Chernabog

Da-Fantasia.-Notte-su-Monte-Calvo

Sabba

Nel sotto-finale di ‘Fantasia’ di Walt Disney (1940) è sceneggiato e trasposto in immagini il poema sinfonico ‘Una notte sul Monte Calvo’ di Modest Mussorgsky. La cima del monte prende vita e si trasfigura in  Satana (Chernobog) che raduna e eccita gli spiriti dei dannati al sabba

 

Scrive ancora Rumiz:

“I fari sono di tre tipi: il “paradiso”, che sta confortevolmente piantato in terraferma; il “purgatorio”, aggrappato agli ultimi promontori rocciosi; e l’“inferno”, perduto su qualche isolotto disabitato al largo.
Ebbene, si dice che chi ha vissuto la terza e più estrema delle esperienze diventi qualcosa di simile a un mago. I vecchi marinai sanno che il guardiano del faro ha una relazione privilegiata con l’Altrove, è un essere speciale che ha superato la soglia dell’indicibile. E siccome vede cose che gli altri non vedranno mai, spesso è un uomo chiuso, uno che si trincera nel silenzio.”

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Ar men.2

“Cosa si doveva provare in posti come Ar Men, al largo dell’Île de Sein in Bretagna, monolito tremendo, incubo di pietra eretto in mare aperto in anni e anni di lavoro, aggiungendo pazientemente pietra, ferro e cemento nei pochi giorni di bassa marea?”.

 

Appendice alla XXV puntata de “Il Guardiano del Faro” su ‘La Repubblica di oggi, 1° settembre 2014

Il brindisi d'addio. XXV punt.

 

Disegno a corredo dell’articolo odierno, di GIPI su La Repubblica del 1° sett. 2014

 

La permanenza di Rumiz al Faro volge al termine e siamo alle ultime puntate del suo reportage.
Fa i bagagli e porta via qualche ricordo dal suo soggiorno isolano.
Anche Rumiz ha scoperto quello che a Ponza chiamiamo “lo stracquo”, e così lo racconta:

“Preparai il bagaglio, poi allineai sul tavolo alcuni oggetti trovati sulla spiaggia. Pezzi di lamiera, cordami, legni, lampadine, bottiglie. L’abrasione del vento, del sole e del mare ne aveva svelato l’anima, trasformandoli in strepitosi soprammobili. Solo la plastica si imbruttiva, accentuava invece di perdere la sua essenza di immondizia.
Mi sarei portato via la pala di un remo. Pareva il fianco di una donna consumato da molte mani. Dicono i marinai che l’anima di una barca vecchia si rintana sempre più, man mano che lo scafo perde pezzi. E se la risacca, la pioggia e il vento, alla fine, portano via quasi tutto, lo spirito si aggrapperà all’ultimo pezzo rimasto.
Bevvi l’ultimo sorso. La notte grandinava di stelle.”.

Sul sito digita – Stracquo – nel riquadro CERCA NEL SITO, in Frontespizio: una cinquantina di articoli!
Per un video di Giuseppe De Santis su due opere di Giampiero Fantigrossi: ‘Il Profeta’ e ‘L’Ippocampo’: guarda qui su VIMEO

9 Comments

9 Comments

  1. Sandro Russo

    6 Agosto 2014 at 08:31

    Avevo scritto che con Paolo Rumiz ci eravamo spesso incrociati sul sito: per interessi, sensibilità, modalità di scrittura, intendo.
    A conferma, leggo nella seconda puntata del suo reportage “Il guardiano del faro”, di lunedì 4 agosto che conosce e apprezza un Autore che abbiamo anche noi recensito su queste pagine (leggi qui).

    Scrive Rumiz:
    Ma forse dovevo la scelta anche a un grande narratore di mare, Antonio Mallardi da Bari. Difficilmente conoscerò un’anima più omerica della sua. Pescatore, contadino, violoncellista, consulente editoriale, aveva inseguito dentici e murene dalle Tremiti alle Jonie e oltre ancora, fino al mare infuocato di Haifa. Con Fosco Maraini aveva circumnavigato Itaca sott’acqua, una settimana a caccia di pesce di scoglio, con una barca d’appoggio.
    Antonio mi manda ogni tanto a sorpresa lettere dattiloscritte dense di dettagli preziosi, e sono fogli sfolgoranti di indignazione per l’arroganza e le ladrerie del tempo presente, ma anche profumati di fichi d’india e salsedine, di vento e di mito. E la mia isola, mi disse un giorno, tanto tempo fa non ricordo, era un posto giusto per ubriacarsi di vento e di mito.
    Eolo rinforza, ma non piove più e il cielo si riempie di luce. In pochi minuti passa dalla Cornovaglia all’Egeo, e il Levante si mostra in tutta la sua magnificenza. E’ «un vento carico di luce e riflessi, che ravviva il mare di onde frequenti e ricche di schiuma, che riempie di colore le nostre scogliere, che porta i semi di mirto e di rosmarino, che matura i fichi d’India e l’uva, e insanguina di papaveri i campi di grano, che cuoce la fronte e la nuca dei pescatori, che feconda il mare di nuovi pesci… il vento della nostra civiltà antichissima, su cui si aprirono le vele di Ulisse e Diomede, soffia sempre su di noi, anche se sono passati i millenni, se la Grecia è solo rovine. Da Levante continueremo ad attingere calore e vita».

    Leggere il libro di Antonio in questo faro, su quest’isola e con questo vento, è decisamente un’altra cosa.

  2. Sandro Russo

    7 Agosto 2014 at 11:19

    Altro tema ricorrente in Rumiz è il Mediterraneo. Lui, triestino, conoscitore e cantore della Mitteleuropa, eppure irresistibilmente attratto dal mare, da ‘quel’ mare, con l’idea che sia legame tra le genti, non elemento di separazione.

    Come un altro nume tutelare e riferimento del nostro sentire, sul Mediterraneo: Predrag Matvejević, nato a Mostar (città di fiume, ma non di mare), da padre di etnìa russa e madre jugoslava, di etnìa croata.

    Così Rumiz ne parla nella sua quarta puntata del reportage “Il guardiano del Faro” che stiamo seguendo, per piacere personale e per parteciparne ai Lettori di Ponza racconta (segue nell’articolo di base)…

  3. La Redazione

    9 Agosto 2014 at 13:24

    Proponiamo dalla VI puntata di venerdì 8 agosto del Reportage di Paolo Rumiz “Il guardiano del Faro”, un episodio che riguarda gli uccelli che vanno a sbattere contro la lanterna, accecati dalla sua luce.
    …E in parallelo, il ricordo di Biagio Vitiello nella rievocazione che ne ha fatto alla serata del 10 agosto 2012 per il Faro della Guardia.
    Il tutto è stato annesso al testo dell’articolo base

  4. La Redazione

    18 Agosto 2014 at 10:22

    Un gioco ulteriore, nel gioco più grande costituito dalla scrittura, è la complicità che l’Autore instaura con i suoi Lettori, come nel capitolo iniziale di questo “Guardiano del faro”, in cui Rumiz sfida – e al contempo vuole scoraggiare – i suoi lettori a localizzare precisamente il luogo fisico dello scoglio in mezzo al mare in cui ha scelto di isolarsi per un mese; perché – si immagina – vuole che trascenda la sue coordinate geografiche e rimanga il più possibile ‘luogo della mente’ in cui l’uomo resta solo con se stesso…
    Ma ora che, al 13° episodio, lui stesso ne fa un accenno, possiamo anche noi – che ovviamente fin dall’inizio non abbiamo resistito a cercarlo con ogni mezzo, fino a sapere dov’era – divulgare, almeno in immagini, il faro sperduto, alto sul mare, sul crinale al centro di un’isola che somiglia a una salamandra…

    Testo e foto annessi all’articolo base

  5. La Redazione

    19 Agosto 2014 at 18:14

    Un ulteriore commento al reportage di Rumiz dove si parla di “segnali”, è in un breve scritto di Enzo Di Fazio in cui si racconta di un primitivo e geniale scandaglio marino fatto con una pietra spalmata di grasso, e dell’importanza dei “segnali” nella cultura marinara isolana del secolo scorso (…e ancor prima): per esteso in coda all’articolo di base.

  6. La Redazione

    21 Agosto 2014 at 16:33

    La Flora dell’isola

    Scrive Rumiz nella puntata odierna – su La Repubblica ” del 21 agosto 2014:

    “Intanto ho cominciato a ravanare nella brughiera e ho trovato un bel po’ di roba. Il finocchietto di mare, con le sue foglie grasse lanceolate, perfetto con la cipolla nelle insalate. Gemme di cappero già belle turgide sul lato sud dell’isola, un piccolo tesoro verde smeraldo che ho già messo sotto sale. Aglio selvatico, che lo trovi dappertutto e quasi ti ubriaca se lo sfreghi. E poi gli asparagi. Ieri, accanto ai resti di una cisterna romana, ne ho trovato un giacimento e ne ho fatto incetta, spaventando parecchi serpenti, poi li ho cucinati con uova strapazzate, contorno di pomodorini, cipolla rossa, olive nere e formaggio greco.
    Ho cenato alle sei e sono crollato alle nove, al primo buio… (…)”

    Ci siamo procurati un po’ di foto dell’isola del Faro di Rumiz, e la natura ci è sembrata straordinariamente simile a quella delle nostre isole. A parte il finocchietto marino (Crithmum maritimum – Ombrellifere) che a Ponza si fa sottaceto e si accompagna agli antipasti di mare, del cappero non parliamo neanche, ma sono questi cuscini compatti di Euphorbia dendroides (i nostri ‘cecauocchie’) che ci hanno fatto accendere gli ‘special’ del riconoscimento e della condivisione.
    Alla fine dell’articolo di base si possono vedere le foto

  7. Sandro Russo

    23 Agosto 2014 at 23:35

    Appendice alla XVIII puntata – I luoghi dell’anima

    Rumiz racconta alcuni episodi della sua vita in cui ha incrociato l’isola-faro; il luogo dove poi è andato a passare un mese intero:

    “A pensarci bene, il primo a parlarmi dell’Isola fu un capitano turco, una trentina d’anni fa…”
    (…)

    “Il faro tornò a chiamarmi una ventina d’anni dopo, a Marsiglia… 

    (…)

    “Da allora le chiamate si moltiplicarono, e il luogo mi crebbe dentro come mito e desiderio, finché non giunse il terzo incontro, quello decisivo…
    (…).

    “Evidentemente l’Isola era un luogo dell’anima, più che un oggetto di studio…”.

    Esistono posti del genere! …eccome! Anche da noi, anche senza andare così lontano!
    Tutte cose pensate e scritte…
    Per richiami e foto, in coda all’articolo-base

  8. La Redazione

    25 Agosto 2014 at 23:23

    Appendice alla XIX puntata del 25 agosto 2014

    Dove Rumiz racconta di una notte di tempesta in cui sembra che presenze demoniache – non solo il venti – siano scatenate all’interno del faro…

    E come se non ne abbiamo scritto anche noi sul sito..!

    Scrive Rumiz:
    “I fari sono di tre tipi: il “paradiso”, che sta confortevolmente piantato in terraferma; il “purgatorio”, aggrappato agli ultimi promontori rocciosi; e l’“inferno”, perduto su qualche isolotto disabitato al largo.
    Ebbene, si dice che chi ha vissuto la terza e più estrema delle esperienze diventi qualcosa di simile a un mago. I vecchi marinai sanno che il guardiano del faro ha una relazione privilegiata con l’Altrove, è un essere speciale che ha superato la soglia dell’indicibile. E siccome vede cose che gli altri non vedranno mai, spesso è un uomo chiuso, uno che si trincera nel silenzio.”

    “Cosa si doveva provare in posti come Ar Men, al largo dell’Île de Sein in Bretagna, monolito tremendo, incubo di pietra eretto in mare aperto in anni e anni di lavoro, aggiungendo pazientemente pietra, ferro e cemento nei pochi giorni di bassa marea?”.

    Per gli approfondimenti e le immagini, vedi in coda all’articolo di base.

  9. Sandro Russo

    1 Settembre 2014 at 06:02

    Appendice alla XXV puntata de “Il Guardiano del Faro” su ‘La Repubblica’ di oggi, 1° settembre 2014

    La permanenza di Rumiz al Faro volge al termine e siamo alle ultime puntate del suo reportage.
    Fa i bagagli e porta via qualche ricordo dal suo soggiorno isolano.
    Anche Rumiz ha scoperto quello che a Ponza chiamiamo “lo stracquo”, e così lo racconta:

    “Preparai il bagaglio, poi allineai sul tavolo alcuni oggetti trovati sulla spiaggia. Pezzi di lamiera, cordami, legni, lampadine, bottiglie. L’abrasione del vento, del sole e del mare ne aveva svelato l’anima, trasformandoli in strepitosi soprammobili. Solo la plastica si imbruttiva, accentuava invece di perdere la sua essenza di immondizia.
    Mi sarei portato via la pala di un remo. Pareva il fianco di una donna consumato da molte mani. Dicono i marinai che l’anima di una barca vecchia si rintana sempre più, man mano che lo scafo perde pezzi. E se la risacca, la pioggia e il vento, alla fine, portano via quasi tutto, lo spirito si aggrapperà all’ultimo pezzo rimasto.
    Bevvi l’ultimo sorso. La notte grandinava di stelle”.

    Sul sito digita – Stracquo – nel riquadro CERCA NEL SITO, in Frontespizio: una cinquantina di articoli!

    Il richiamo, con foto e video, si trova in fondo all’articolo base.

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