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Buongiorno, come mi devo chiamare? (3)di Gaetano Migliaccio Jr.
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La visita delle ombre Aveva ricevuto un telegramma da casa. La vecchia zia era malata, e non si sapeva se si sarebbe ripresa. Luigi voleva parlare con qualcuno dei suoi sentimenti, dei suoi pensieri, della sua nostalgia. Ma per qualche ragione, fosse per vergogna, per paura, o per orgoglio non si sa, aveva taciuto. Era tardi e Barbara si era già addormentata. Luigi era andato a coricarsi anche lui, sperando che nell’indomani sarebbe stato in grado di reagire a quella brutta notizia. Quella notte, Luigi fece un sogno. Almeno così credette benché trascorresse quella notte a girarsi violentemente nel letto, fissato sulla memoria della zia. Il sonno era leggero, benché fosse stanco, e le ore passarono mentre Luigi vacillava tra il dormiveglia e il pianto. Era estate, erano al panificio e sua zia gli aveva appena dato un sculacciata sul sedere perché aveva preso un pezzo di pane; lei diceva che era da vendere, non da mangiare. Mentre Gigì si sfregava dove era stato colpito per addolcire il dolore, la zia lo guardava con una malinconia che strappava il cuore, ma subito distoglieva lo sguardo dal nipote per guardare altrove. Poi c’era stata la guerra, e le difficoltà erano aumentate. Non si sprecava niente! La zia ricordava un giorno in cui con uno schiaffo che le aveva reso il viso rosso per la giornata intera venne rimproverata per aver cominciato a buttar via la farina andata a male, in cui si erano fatti dei vermi. Sua madre poi l’aveva messa a setacciare quei sacchi di farina. La zia voleva che Gigì capisse la storia e la sofferenza della sua famiglia affinché potesse comprendere anche le cose che aveva vissuto lei. La zia nel paese era conosciuta come ‘la zitella’, anche se non lo era in realtà. Lo zio di Gigino era stato chiamato a combattere, lasciando la moglie speranzosa a casa con i lieti pensieri della loro felice riunione dopo che avrebbe dato alla luce il loro figlio, ancora in grembo. Questa speranza era l’unica cosa su cui contava la zia per addolcire il dolore che sentiva nel saper che il marito doveva allontanarsi così tanto. Un giorno di sole, arrivò la notizia che cambiò qualcosa, o nell’aria o nell’acqua forse, perché non si capì mai perché quel bambino aspettato così tanto avesse dovuto lasciare sua madre sola sola. Da quel giorno la zia si affezionò più che mai al suo Gigì, perché la speranza si trasferì all’ultimo uomo che era rimasto in famiglia. La famiglia era essenziale per lei, e si opponeva con tutte le sue forze al suo disfacimento. Quanto forte poteva essere allora il dolore che dovette sopprimere e trattenere per dire al suo carissimo Gigì, con il cuore in gola, un giorno qualunque, che era giunta l’ora che se ne doveva andare da quel paese. Gigì doveva scordarsi di quel posto, perché viver di ricordi lasciava la testa e la pancia vuote. Ogni volta che la zia finiva questi discorsi, seguiva un silenzio vuoto in cui guardava intorno a sé. In questi momenti, la realtà sembrava una cosa viva, ma aveva una sembianza non dissimile da quella di un animale che sapeva di morire. Tutti i sensi diventavano più intensi, senza capire il perché. Si sentiva il calore del sole sulla pelle abbronzata e i profumi forti della terra che faceva fatica a produrre abbastanza da mangiare, ed anche il profumo svolazzante di quella menta unica di quella terra. Si sentiva la salsedine del mare così azzurro e limpido che sembrava capace di sciacquare via ogni pensiero al mondo. Il sole tramontava in quei momenti, e si capiva che sarebbe tornato il giorno dopo, e tutto sarebbe stato uguale. Le cose non cambiavano mai, con la sola eccezione delle persone che invecchiavano. Poi, la zia cantava una canzone del paese finché Gigì non si addormentava. Un mattino presto, Gigì, ormai grande, prese il mezzo per voltar le spalle al suo passato e alla terra che aveva raccontato fino ad allora la sua storia, per prendere la sua vita tra le mani, per fare qualcosa di importante: le cose che sapeva di essere capace di fare. Il giorno dopo, arrivò un altro telegramma con la notizia che la zia non avrebbe sofferto più.
Luigi voleva ora tornare a vedere i suoi cari; a quel punto aveva già lavorato tanto nella sua vita e si poteva permettere qualche giorno libero per vedere la famiglia recentemente privata della zia. Barbara non poteva venire. Anche a lei faceva piacere sentire i racconti di suo marito, ma andare nel suo paese sarebbe stato strano per lei. Durante i suoi studi all’università avevano fatto qualche accenno a quel posto in mezzo al mare, e benché trovasse la sua storia interessante, non le pareva così affascinante da andarci di persona.
Il sole tramontava sulla città meneghina, e Luigi si trovava di nuovo davanti a quella grande struttura littoria che lo aveva accolto tanto tempo prima. C’era già tornato qualche volta, ma sempre per andare in altri posti, come il Piemonte, la Svizzera, l’Austria, e la Francia. Era l’unica cosa che non gli piaceva di questi viaggi: rivedere il posto dove era arrivato tanti anni prima dal suo paese senza poterci tornare. Era come vedere una porta di un armadio vecchio, avere un’idea di quello che c’era dietro, e posticipare sempre di più il giorno della sua apertura per l’incertezza. Finalmente le porte della stazione gli parvero come dei magnifici portali di tele-trasporto che aveva visto in tivù qualche volta insieme a Peppe. Peppe ormai aveva quattordici anni, era un bel ragazzo come il padre, e gli assomigliava tanto. Studiava molto, e accoglieva i racconti di suo padre con entusiasmo, ma non quello che sprona i grandi pensatori a scrivere e a far ricerche.
Era molto faticoso raggiungere quella terra del padre, e non era avvezzo né al vento, né al calore, né all’aria salata che incontrava. Questi stessi elementi accesero nel padre una nostalgia e un’eccitazione così forte che stentava a trattenere il pianto. Luigi e Gigino si trovavano per la prima volta dopo tanti anni in conflitto. Luigi riconosceva il suo dovere alla famiglia bisognosa, mentre il cuore di Gigino pativa con la consapevolezza del prezzo della partenza. Il posto era bellissimo – uno scoglio in mezzo al mare del Sud, selvatico e tranquillo, pacifico anche se disturbato da un passato difficile e dalla partenza di tanti suoi figli.
Alla fine di quel soggiorno di dolce dolore, ripartirono alla volta della casa di Milano. Luigi capì che il luogo del suo sogno era una fotografia conservata nella sua memoria – un’immagine da guardare di tanto in tanto per trovare un po’ di rassicurazione anche se associata alla malinconia.
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