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Il funerale della “Concordia”

di Sandro Vitiello –
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Sto guardando in televisione la diretta dell’arrivo della “Costa Concordia” nel porto di Genova.
E’ un funerale.

Chi ha passato un po’ della sua vita su una barca sa quanto fa male vedere un mezzo, piccolo o grande che sia, andare a morire.

Mi si dirà che quella nave è morta due anni e mezzo fa quando fu portata a sbattere contro uno scoglio, nei pressi dell’isola del Giglio; dovrebbe essere morta quella notte insieme alle trentadue persone che non ce la fecero a trovare una via di salvezza.
Eppure non è così: in questi due anni e mezzo le tivù e i mezzi di comunicazione ci hanno raccontato di tutto e di più di quella nave e di quello che si è fatto per farla di nuovo galleggiare per portarla a Genova dove sarà smantellata.
Questo lungo racconto ci ha fatto credere che la Concordia avesse ancora tanto da dirci come se fosse ancora viva.
Non era così: viveva nelle parole di chi raccontava cosa si stava facendo al Giglio, ma tutte quelle chiacchiere non avrebbero permesso a quella nave di riprendere il mare spinta dai suoi motori e guidata dal suo timone.
Era come un malato in coma a cui si apprestavano tante cure che non sarebbero state comunque in grado di riportarlo in vita.
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Le navi sono una cosa viva.
Sono vive perchè hanno la possibilità di farci vivere storie affascinanti sia che viaggino nei mari lontani sia che ci permettano di godere di un’alba dalle parti di casa mentre prepariamo la lenza per pescare.
Stare in barca è un’altra cosa, è un altro vivere.
Non hai i piedi per terra e sai che tornare a terra è possibile solo se sai capire fino a dove ti potrà portare e con quale mare potrai misurarti.
Chi sta al timone di una barca piccola, seduto sulla poppa, spesso tiene la mano libera sulla murata e questo gesto è molto di più dell’appoggiarsi per stare comodi.
E’ un atto di unità molto forte con quel mezzo, con cui si dividono i destini di quelle ore.
Chi ha provato a riposare sotto alla prua di uno scafo di legno, in navigazione, ricorderà sicuramente i rumori e le vibrazione del fasciame colpito dalle onde.
Ti raccontano di un corpo vivo a cui ti affidi in quel tuo viaggio.
Quando le barche se ne vanno a fondo, nel mare in tempesta, se si portano dietro anche le vite di chi ci stava sopra, ci si ricorda soprattutto di questi e la scomparsa dall’orizzonte del mezzo navale passa in second’ordine.
Oppure si pensa allo scampato pericolo.
Ma quando vedi una nave enorme rimessa in galleggiamento per andare verso la sua demolizione viene in mente il corpo di una persona accompagnata verso la sua ultima dimora.
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Come in certi funerali si celebra un rito che a volte può anche essere rilassato e conviviale, ma quando ci si avvicina all’ultima dimora e capisci che quella storia è giunta al capolinea, ti cade addosso tutta la tristezza per quello che c’è stato e che poteva ancora esserci.
Questo è il mio stato d’animo mentre vedo la Concordia entrare nel porto di Genova.
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