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Ponza e la sua natura geologica. (8). Considerazioni finali sul PAI a Ponza

a cura della Redazione
Lato di Capo Bianco della Rada [1]

 

Per gli articoli precedenti sul tema digita – natura geologica – nel riquadro CERCA NEL SITO, in Frontespizio

 

Poiché l’argomento che stiamo trattando è piuttosto complesso e va a toccare diversi ambiti che si intersecano tra di loro, per rendere le considerazioni finali le più comprensibili e lineari possibili, procediamo adottando uno schema in tre punti:
– Cenni sul modificato rapporto dei residenti con il territorio isolano e conseguenti effetti sulla sua salvaguardia
– Il PAI: mitigazione ed adeguamento
– La gestione del rischio

Partiamo dal primo punto.
Se si va fare una passeggiata sul piazzale di Chiaia di Luna e si volge lo sguardo verso la collina sulla propria destra (guardando il mare), si può vedere il canale di scolo delle acque piovane che segue tutta la cresta della parete.

Veduta falesia e canale soprast [2]

Veduta d’insieme della falesia di Chiaia di Luna e del canale soprastante. Sotto: particolari dell’opera

Canale di derivaz. acque [3]

Canale. Part. [4]

Canale. Part.2 [5]

Quando saranno eseguiti i lavori a Frontone, anche lì è previsto qualcosa di simile, almeno per la parete alta. Non solo, fa già parte dell’appalto anche la canalizzazione delle acque che arrivano dalla valletta del Poliambulatorio, mentre il lavoro di risistemazione delle catene nella stessa area è da attribuire successivamente.

Per i geologi, il dilavare dell’acqua piovana e la  sua impropria infiltrazione negli strati sottostanti, vanno ad influire sulla tenuta del territorio.
Negli ultimi anni la situazione è diventata critica per effetto di precipitazioni sempre più violente e concentrate in pochi minuti, che comportano veri e propri torrenti d’acqua che tutto travolgono.
A ciò si aggiunge il cambio dello stile di vita degli isolani e l’abbandono dell’attività agricola; la massa d’acqua meteorica che una volta era utilizzata per usi domestici ed agricoli, oggi non solo non è più raccolta ma non è nemmeno convogliata in altro modo.

Canali non più puliti, sentieri, pozzi e pantani abbandonati, consentono all’acqua di scorrere  liberamente ed infiltrarsi come e dove può, accelerando il processo di erosione del territorio isolano, ovunque, anche lungo le pareti delle coste.

È quindi evidente la necessità di una diversa gestione del territorio.

Le modalità vanno cercate e sarebbe opportuno discuterne, ma pensare di poter continuare a fare unicamente gli operatori turistici per tre mesi l’anno e poi abbandonare l’isola per tutto il resto del tempo è il modo migliore per accelerare il processo di sfaldamento del territorio, con tutte le negative conseguenze anche sulle attività turistiche.       

Il PAI: mitigazione ed adeguamento
In rapida sintesi i punti essenziali della delicata problematica PAI a Ponza:

L’attuale Piano di Assetto Idro-geologico (PAI) è stato redatto in tutta fretta sull’onda emotiva della tragedia di Ventotene del 2010;

I successivi interventi di riduzione del rischio idro-geologico sono stati elaborati sull’assunto iniziale  che l’intero arcipelago sia a livello di rischio R4; l’attuale gestione del territorio in larga parte è condizionata dal Piano del 2010;

Le due amministrazioni che si sono succedute negli ultimi quattro anni si sono e si stanno dimostrando poco incisive e propositive rispetto all’importanza che il problema riveste per la sopravvivenza economica e la stessa qualità della vita della comunità locale.
Queste considerazioni scaturiscono dall’analisi dei documenti e da quanto sta avvenendo.

Si ricorderà su quali presupposti fu approvato il Decreto 6 dicembre 2010 n. 3 (riportato nella terza parte di questa serie: leggi qui [6]):
“ (…) tenuto conto che, rispetto all’aggiornamento del prospetto di PAI in oggetto, potranno essere comunque introdotte ulteriori  modificazioni… sulla base di eventuali approfondimenti argomentati…”

Ed ancora se si va a leggere il comma 1 dell’art. 14 delle Norme di Attuazione del Piano stralcio per l’assetto idrogeologico, approvato con Deliberazione del Consiglio Regionale n. 17 del 04/04/2012 (B.U.R.L. n. 21 del 07/06/2012 – S.O. n. 35)

Allegato file .pdfPiano stralcio P.A.I. Lazio. Norme_di_attuazione [7]

…troviamo scritto:“Il Piano, per sua definizione, possiede una natura dinamica che esige un continuo adeguamento alle nuove realtà territoriali, in termini sia di conoscenza, sia di approfondimenti specifici, tramite successive adozioni ed approvazioni del Piano in versioni più aggiornate”.

Adeguamento, il senso di tutto è concentrato in questo termine. Proviamo ad esplicitarlo con maggior chiarezza.
Abbiamo già più volte ripetuto che il PAI 2010 relativo a Ponza è grossolano come gli stessi estensori del piano hanno pubblicamente confermato, per la rapidità con cui è stato predisposto e l’approssimazione delle indagini.

Inoltre il PAI del 2010 considera un’unica categoria di rischio: la R4 – la più alta – e soprattutto sulle mappe catastali dell’isola non è mai stato riportato graficamente dove cade la linea di rischio dei 50 metri, con importanti implicazioni pratiche (v. avanti).
Sappiamo d’altronde che la stessa generosa natura che ha reso le nostre isole così uniche per varietà di colori ed articolazione e bellezza della costa, è il motivo della loro fragilità.
Ma viene naturale chiedersi. siamo proprio sicuri che per il 97% delle nostre coste ed ovunque per la stessa profondità di 50 metri, tutto sia a rischio massimo?

Fino ad oggi, e con grave carenza, il Comune – ente deputato alla tutela degli interessi locali, a meno che la Regione non voglia sostituirsi ad esso – non ha mai richiesto uno studio geologico dettagliato per verificare se effettivamente quanto stabilito in urgenza nel 2010 avesse riscontro nella realtà dei fatti.

Anzi, piuttosto che avviare uno studio in quel senso, sta tentando di far passare gli interventi di mitigazione del rischio idro-geologico – quelli avviati in forza dell’Accordo di Programma del 2010 ed affidati fino a pochi giorni fa al Prefetto Santoro, in sostanza gli interventi illustrati sin qui – come interventi volti “a ridurre la gabbia PAI a Ponza”, mentre sarebbe necessario fare un passo indietro: rivedere se la diagnosi è giusta e solo successivamente prendere le decisioni conseguenti.

Un concetto è la mitigazione del rischio idro-geologico. Dichiarato un livello di rischio R4, la Regione sta  intervenendo per renderlo meno incombente/imminente, ma la sua classificazione di rischio, nella quasi totalità dei casi, sempre R4 è destinata a rimanere. Altro è richiedere l’adeguamento del PAI 2010.

Anzi, va aggiunto che – restando al concetto di mitigazione  –  se si parte dal rischio massimo, – esempio Frontone –  l’intervento di riduzione conseguente ha buona probabilità di diventare invasivo e addirittura deturpante per l’ambiente; mentre era opportuno – con un adeguamento del PAI in vigore – prima accertare se veramente il rischio è tutto R4 e poi procedere con il relativo progetto.

Perché non si è proceduto in questo senso? Perché questo approfondimento e relativa richiesta di adeguamento avrebbero dovuto essere svolti per iniziativa e a cura del nostro Comune.

Il compito dei Commissari Straordinari non era la verifica/adeguamento del PAI, ma di far funzionare la complessa macchina tecnico-burocratica per gli interventi di mitigazione del rischio, partendo dal  presupposto che tutto il resto fosse già stato ampiamente verificato e valutato.
Adesso che sarà la Regione a gestire la mitigazione del rischio, cambierà qualcosa?

Per tornare alla profondità (buffer) di rischio di 50 metri, si può affermare che con si conoscano neppure quali siano esattamente le aree e quindi i soggetti interessati al rischio, a parte alcune situazioni del tutto evidenti; sottovalutando in tal modo anche gli effetti ed i costi per chi viene a trovarsi in zona ‘rischio’. Nell’approssimazione attuale, interventi edilizi anche banali, potrebbero trasformarsi in difficoltà enormi e molto costose anche per chi non dovrebbe essere sottoposto a vincoli.

Viene perciò da chiedersi, in mancanza di mappe precise: quali criteri vengono adottati, nel rilasciare i permessi, per stabilire se effettivamente un soggetto è ricadente o meno in zona PAI?

…E ancora non è stato adottato un piano regolatore generale!

Facciamo un esempio, nel settore pubblico, cui già si è accennato (leggi qui [8]).
L’approvazione del progetto per l’intera rete fognaria della Forna è stato sospeso per ulteriori approfondimenti, poiché l’area del depuratore – e di altri impianti fognari – cade all’interno del buffer, mentre con una buona probabilità in quella zona una profondità di 50 m è eccessiva.
Anche qui un adeguamento del PAI avrebbe potuto/potrebbe fare chiarezza.

È del tutto evidente, a questo punto, quale importanza rivesta per l’isola, investire in un piano di adeguamento del PAI, che da un lato fornisca una mappatura precisa sui luoghi interessati a rischi di natura geologica e ne accerti la gravità e nel contempo punti a liberare alcune aree che potrebbero impropriamente essere state incluse nel rischio massimo.

Solo un’ultima annotazione di carattere generale.  Una linea di rischio tutta uguale, seppure tutta rossa, potrebbe addirittura indurre ad effetti controproducenti: se tutto è proibito e quasi come se nulla fosse proibito. Potrebbe con ciò venire a mancare la giusta attenzione per qualche località ove effettivamente il rischio si potrebbe presentare concreto e imminente.

E giungiamo al punto finale: la gestione del rischio.
Il concetto è stato espresso nel modo migliore proprio dai geologi nel loro comunicato intermedio nei giorni in cui sono stati presenti a Ponza (leggi qui [9])

Ne riprendiamo alcuni passaggi con l’intento di sottolinearne l’importanza.

Il presidente dell’ordine dei geologi del Lazio, Roberto Troncarelli:  Da tecnico rilevo una mancanza di proporzionalità tra la ricorrenza del manifestarsi di eventi franosi e le forti limitazioni all’uso del territorio imposte dall’attuale regime vincolistico. Queste, invece, dovrebbero essere maggiormente calate nelle singole situazioni locali, tenendo conto dei beni esposti, della necessità di un’applicazione graduale dei vincoli e della reale propensione al dissesto dell’area”

Il segretario dell’Ordine Tiziana Guida: “a dispetto del tentativo che la nostra società fa, attraverso normative, divieti e ordinanze, di perseguire un utopistico obiettivo di sicurezza assoluta, ogni giorno ciascuno di noi inconsapevolmente e tacitamente si prende qualche rischio.  Alcuni di questi rischi sono socialmente accettati, in quanto fanno parte del costume comune e si ritiene che i benefici delle attività a cui sono connessi siano superiori ai possibili danni.
Bisogna quindi cambiare direzione
andando oltre la ricerca della sicurezza per approdare al concetto più ampio della gestione del rischio, rendendo il turista consapevole, ma contemporaneamente attuando il monitoraggio delle aree in dissesto e la manutenzione delle opere di difesa realizzate”.

Rendere il turista consapevole, ci sarebbe da aggiungere il turista che va al mare, perché la ricerca della sicurezza a tutti i costi non viene richiesta dal turista che frequenta le nostre splendide valli e montagne.

 

Controllo e gestione attenta del territorio, monitoraggio ed interdizione ove il rischio è conclamato e imminente, informazione costante anche attraverso gli stessi operatori turistici e condivisione – con chi arriva sulle nostre isole anche solo per pochi giorni – di come sia la loro stessa bellezza a renderle fragili, invitando con ciò ad assumere comportamenti prudenti ma nel contempo consentire di godere di quanto madre natura ci ha elargito.

Questo, per quanto non semplice, è l’unico percorso possibile per mantenere in vita queste isole e non farle diventare una gabbia di cemento, reti e divieti.