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L’ameno luogo di confino
Gent. Redazione, Al riguardo, ho scritto un pezzo dal titolo “L’ameno luogo di confino”, inserito nel volume edito dal Rotary Club di Formia-Gaeta “Le città sul Golfo di Gaeta – arte, natura, storia e tradizioni”, presentato il 24 maggio 2014 presso il Teatro Paone di Formia. In tale volume sono inseriti scritti di autori vari, tra i quali anche quello dell’amico Giuseppe Mazzella, redattore di Ponza Racconta. Trattando della colonia dei confinati politici di Ponza, un mio amico, conquistato dall’isola, mi ha scritto: “è davvero paradossale che Ponza sia stata scelta come un luogo ove sopprimere la diversità di pensiero e ogni altra; un’isola che con i suoi faraglioni multicolori esalta la diversità insopprimibile, la variegata eccentricità della natura che prelude a quella della cultura: le colate gialle di zolfo, quelle bianche di caolino, le striature rosso di ferro e le scogliere scure di basalti e quelle chiare di calcari. E le venature rosate che attrassero il Dolomieu, i ricami del vento sulle pareti di Chiaia di Luna, i muri bugnati ai faraglioni sotto gli Scotti, le colonne gotiche della cattedrale di pietra a Palmarola, e le maschere mostruose dei calcari bucati, e il cuore sanguinante del gigante innamorato…”. Nel famoso discorso dell’Ascensione, pronunciato alla Camera il 26 maggio 1927, dedicato ampiamente alla portata delle conseguenze derivanti dalle leggi eccezionali del 1926, Mussolini, alla previsione della deportazione di tutti i cittadini “sospetti di antifascismo” o “dediti ad una qualsiasi attività controrivoluzionaria”, aggiunse la raccomandazione ai prefetti di non procedere con eccessive assegnazioni al confino, perché ciò avrebbe dato luogo ad un duplice effetto: da una parte, avrebbe creato dei “falsi martiri” e dall’altra, avrebbe accreditato all’estero l’idea di un antifascismo ancora piuttosto vivo e consistente. Non deve destare scalpore, pertanto, se a Ponza, alla notizia dell’imminente istituzione della colonia di confino, si levò una generale levata di scudi, considerato che la vocazione turistica dell’isola era, ormai, una convinzione largamente condivisa nella popolazione. Per fare posto ai confinati politici, nel dicembre del 1927, fu disposto il trasferimento della Compagnia di Disciplina e dei militari condannati da Ponza a Forte Ratti di Genova. Il Direttorio della locale sezione del PNF, che inizialmente l’aveva avversata, pur di scongiurare l’istituzione del confino, si pronunciò per il mantenimento della cennata Compagnia, dopo aver fatto rilevare la perpetuazione “dell’immeritata nomea di residenza tetra e terrorizzante” a fronte di “sentimenti di tradizionale patriottismo e di esemplare fedeltà di Ponza, appellata dallo storico Tito Livio: fedelissima Romae”, che, per questo, avrebbe meritato, invece, di essere valorizzata. Il 29 luglio 1928, con l’arrivo del piroscafo “Garibaldi”, proveniente da Ustica, che sbarcò a Ponza 168 confinati, 60 militi della M.V.S.N. e due ufficiali, fu di fatto dato seguito all’apertura della colonia di confino decretata, come abbiamo visto, da Mussolini. Fu da quel giorno che il regime cominciò a far circolare l’idea del confino – villeggiatura lasciando intendere, come scrisse Corvisieri, che si doveva alla magnanimità del Duce se tanti oppositori non venivano sterminati ma soltanto mandati a soggiornare in isole dall’invidiabile e indiscussa bellezza. In quel “soggiorno” ponzese si svilupparono storie che ineluttabilmente legarono i destini dei residenti, dei confinati e dei carcerieri, in una sorta di triangolazione dove il bene e il male, l’amore e l’odio, la carità e l’egoismo, l’umiltà e l’arroganza, la lealtà e la furbizia, giocarono la loro parte per la costruzione di una vicenda umana speciale, che si svolgeva all’interno dei dinamismi, anche psicologici, indotti da un microcosmo qual è quello di una piccola isola. Storie di persone, i confinati, sottoposte alla legge della carota e del bastone: la carota costituita dalla bellezza e dalla piacevolezza dei luoghi, dalla “mazzetta”, dalla possibilità dell’alloggio privato, dalla possibilità di studiare e finanche di sposarsi; il bastone costituito dalle continue, arbitrarie ed intollerabili vessazioni e punizioni. Una vicenda umana, però, vissuta all’interno della cinta confinaria e dominata dall’atroce contrasto costituito dall’amenità intrinseca dell’isola, la cui forzata “fruibilità” fu lasciata intendere dalle sirene fasciste come atto di umanità e di bonarietà nei confronti dei confinati, e il reale e triste stato esistenziale che Carlo Rosselli definì, metaforicamente, “vita da pollaio”.
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