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Lo spettacolo pirotecnico di San Silverio

foto di Biagio Vitiello;
testo e citazioni a cura della Redazione

B.V. Prima [1]

 .

Domenica mattina. Festa finita. Le bancarelle di S. Silverio hanno smobilitato e gli spazzini sono al lavoro sul piazzale delle banchine che le avevano ospitate.
Stanno rimuovendo anche, a tempo di record, le luminarie per il Santo e i festoni di bandiere e mortella che le univano.
Approfittiamo dell’invio, da parte di Biagio Vitiello, di una serie di fotografie dei fuochi d’artificio della sera del 20, per rinnovare ancora per un po’ il ricordo della Festa… Uno spettacolo “Ligths & Sounds” – Luci e Suoni” che inizia con l’accensione di una serie di fiaccole rosse al bordo dell’acqua, alla punta della scogliera, e su musiche che riuscivano ad arrivare molto lontano, riprese da opere dei Queen (come We are the Champions e Bohemian rhapsody) e dal musical “Evita”…

Forse nessun evento come i fuochi d’artificio – al pari di straordinari fenomeni atmosferici, i lampi, gli arcobaleni – presentano quella natura così improvvisa ed evanescente che sembra essere refrattaria ad ogni tentativo di fissarla. Si fanno dei tentativi di trasmettere l’impressione per via visiva – ci sono dei video e foto eseguite con tecniche diverse – ma la scrittura ha le sue difficoltà a raccontare le immagini senza sostanza che vivono in un lampo e poi svaniscono…

Prova a farlo Daniele Del Giudice, uno scrittore italiano contemporaneo, in un suo scritto da “Atlante occidentale” (Ed. Einaudi; 1985).
l. R.

B.V. Moby [2]

Nella scena (parzialmente riportata), due amici, Brahe e Epstein, si trovano a guardare insieme i fuochi seduti in un giardino che affaccia su un lago…

«Ci furono due botti secchi, senza luce, e i fuochi sono cominciati».
«Linee traccianti esplodevano in alto con un boato perfo­rante, si divaricavano in un punto dove la materia di­ventava luce, probabilmente il sodio luce gialla, il bario luce verde, il rame luce azzurra, il magnesio luce bian­ca, lo stronzio luce rossa, e il calomelano… Lei conosce il calomelano? …»

B.V. Dipolo [3]

Brahe fece cenno che no, ma che non importava.

«…il calomelano luce celeste. Linee di luce si dira­mavano concentriche e riscendevano giù, smorzandosi, nei piccoli fuochi d’apertura, non troppo intensi, per catturare l’occhio senza offenderlo e disporlo a una gradualità. Subito dopo, senza che loro due avessero il tempo di voltarsi e di fare apprezzamenti, altre salve portarono in quota raggiere di lance bianche da cui na­scevano raggiere di lance azzurre da cui nascevano rag­giere di lance verdi, luci rapidissime e fulminanti, alle quali probabilmente i nitrati e i dorati, veri magazzini di ossigeno, davano velocità di combustione, e così l’a­ria si trasformava in luce…»

B.V. Classic [4]

Epstein parla con una misura costante di respiro, senza un tono particolare né accelerazioni, ma con pic­cole pause tra agglomerati di parole:

«… E fuochi, poi, più lenti e duraturi, ritardati dal carbone di salici e di pioppi che i pirotecnici tagliano apposta in primavera, quando il flusso della linfa scioglie i sali minerali, o ri­tardati dall’aggiunta di gomma arabica sgorgata dalle acacie, e in questo modo gli alberi si trasformavano in luce, giustificando almeno in parte la forma a fiore dei fuochi successivi, fiori luminosi con lunghi stami rossi proiettati in cime ombrelliformi come gli eucalipti, fio­ri con petali raggiati deflagranti in una corona di appe­ndici a stella, dal blu al porporino al bianco come la passiflora, fiori dal calice allungato che scoppiava in una corona doppia e tripla di sfumature viola, come la granadilla, fiori con un grosso piumino di stami rab­buffati al centro della corolla giallo oro come l’iperico, fiori che esplodevano in terminali oblunghi lasciando fuoriuscire petali filiformi bianchi e rossi e rosa e viola­cei come il papavero da oppio, fiori scagliati nel cielo in dense pannocchie luminose viola, formate a loro volta da infinite efflorescenze come la buddleia, e fiori a due colori soltanto, semplici, dove un androceo di massima potenza si divaricava all’indietro di fronte a un gineceo aspettando il momento, e fiori che allo zenit delle loro traiettorie ricadevano in calici lunghi, tubulosi, eh sì, non potrei che dire tubulosi, viola come le fucsie, si spe­gnevano e chiudevano quella parte dei fuochi…»

B.V. White [5]

 

(…) «… Poi cominciò l’ultima parte dei fuochi, con una salva di granate che scoppiarono a una quota più alta, con più profondità di dimensioni, più molteplicità di di­mensioni, più intense di luce, più sonore nel botto; granate a serpentelli che tracciavano nel buio ellissi lumi­nose, e del resto in geometria anche l’ellisse ha i suoi fuo­chi, granate raggianti che esplodendo striavano il cielo di linee parallele convergenti o divergenti a partire dalla concentrazione di un fuoco, granate a pioggia con un’in­finità di punti luminosi ciascuno secondo la propria traiettoria, granate a paracadute le cui particelle lumi­nose decadevano in parabole lente e sparivano, granate a girandolette deflagranti in vortici luminosi e curve e spirali perfettamente simmetriche nello spazio, pura for­ma, e interi lembi di spazio e di buio che si inarcavano in enfiature di luce o si piegavano in voragini oscure, secondo altre geometrie più complesse, comprendenti nella simmetria anche il tempo, fino alla perfezione cir­colare delle granate a sfera che cominciarono a esplode­re in successione, enormi globi di stelle gialle che gene­ravano enormi globi di stelle verdi che generavano enor­mi globi di stelle violette, o stelline rosse come il rosso verso cui nello spettro si sposta la luce delle galassie in allontanamento, probabilmente infinito, se l’universo è aperto, o globi di stelline azzurre come l’azzurro verso cui nello spettro si sposterà la luce delle galassie, se l’u­niverso sarà chiuso e quelle rimbalzando contro il bor­do estremo torneranno indietro; e ogni globo prima an­cora di spegnersi ne originava un altro per via delle mic­ce che nel cartoccio raccordavano le diverse granate co­me un cordone ombelicale, ogni globo si proiettava ve­locissimo in avanti e in giù e poi frenava di colpo, totalmente avvolgente, come se volesse risucchiare la città e il lago e le barche e il pontone e la chiatta dove in un ri­verbero acido si vedevano gli omini dei fuochi correre ai comandi, e perfino i due nel giardino, un po’ protesi nel­le poltrone, e col viso all’insù…»

B.V.53 [6]


«… Gli ultimi fuochi, poi, furono così incalzanti che in pratica non c’era mai un intervallo di buio, ma solo un’infinitesima porzione di secondo in cui le sfere pun­tiformi spegnendosi restavano nei loro occhi, e gli occhi le riproducevano istantaneamente, nei colori comple­mentari, in verde se erano state rosse, in arancione se erano state blu, in giallo se erano state porpora, dato che l’occhio è custode e garante dello spettro. Lo sape­vano anche gli uomini dei fuochi d’artificio, e alterna­vano i colori a un ritmo sempre più infernale ma in mo­do da sfruttare anche i colori che l’occhio secerne come una ghiandola sollecitata; alternavano il rosso al giallo e il blu al porpora, colori che esplodevano con dentro soltanto colore, colore senza più dentro né fuori, colo­re fuori e colore dentro, forse perché l’essenza è sempre volatile, come la canfora che in polvere rende più bril­lanti i fuochi artificiali e in quadratini completamente esalati la si ritrova negli armadi alla fine dell’estate, co­lori sempre più luminosi, fuochi sempre più alti, botti sempre più forti, blu e porpora e arancione e verde e anche il bianco, che non lo si pensa mai come un colo­re ma soltanto come luce, e luce e luce e luce e luce-­buio».

B.V.63 [7]

B.V. Classic.2 [8]

 

[Daniele Del Giudice, da: “Atlante Occidentale” – 1985;  Einaudi ed.]