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I poteri forti continuano a distruggere l’ambiente marino. All’Italia il semestre di presidenza europeo

a cura di Erminio Di Nora
Peschereccio [1]

 

Hanno voluto decimare la pesca del pesce spada, cambiare un mestiere che non potevano conoscere seduti dietro una scrivania, favorire le grandi industrie del nord, accontentare Stati lontani, aiutare pochi imprenditori che “sperimentano nuove” tipologie di pesca, e hanno fallito.

Toccherà all’Italia, durante il semestre di presidenza europeo, lavorare per l’approvazione del nuovo Regolamento sulla pesca, e in particolare di quella parte che riguarda la pesca di profondità. Un’azione da portare avanti senza indugi per salvare quello che è rimasto dei fondali marini, sempre più depredati da pratiche di pesca distruttive.

La revisione del regime di accesso che regola la pesca di profondità nell’Atlantico nord orientale è, infatti, in forte ritardo.

Perché ancora una volta due pesi e due misure? La UE, in alcuni casi, adopera il detto del “divide et impera”?
Nel Compartimento Marittimo di Gaeta i risultati di tale Politica Comunitaria sono sotto gli occhi di tutti: pescherecci in attesa di essere demoliti, diminuzione degli investimenti legati all’innovazione tecnologica, mancanza di personale specializzato, aumento della pesca abusiva, utilizzo per scopi commerciali della pesca sportiva.

Cosa hanno fatto i nostri rappresentanti a Bruxelles?
Dopo che il Parlamento europeo ha votato ormai da 7 mesi in Plenaria, il processo legislativo è nelle mani del Consiglio. Da qui il ruolo determinante dell’Italia.

La pesca di profondità distrugge infatti il fondale marino, facendolo somigliare sempre più a un deserto. L’impatto sulla biodiversità e sul funzionamento degli ecosistemi profondi è devastante, con conseguenze anche su scala globale.

Una pesca che spazza via anche organismi marini alla base di terapie fondamentali per la cura di gravi malattie, come tumore, Alzheimer, malaria e tubercolosi. Parliamo infatti di circa 15.000 prodotti naturali estratti da alghe, invertebrati (spugne), microbi e dalle numerosissime specie che abitano gli abissi e che sono stimate fra le 500.000 e i 10 milioni.
Insomma, ancora una volta, un vero danno per l’uomo e per la qualità della sua vita. La battaglia è politica ed economica perché alcune lobby della pesca industriale esercitano una forte pressione sugli stati europei e i membri del Parlamento europeo per evitare che tale metodo di pesca venga vietato.

Forse in passato sul piatto della bilancia il peso di alcuni Paesi è stato maggiore, e forse alcuni nostri rappresentanti erano amici di altri amici, e forse hanno preferito investire insieme altrove. La merce di scambio? La parte più “povera” degli addetti.
La battaglia è epocale perché si tratta del futuro del mare, un elemento che alimenta tutti noi e che ha un ruolo centrale nell’equilibrio climatico e ambientale del Pianeta.
Nel Golfo di Gaeta siamo in attesa che vengano resi noti i risultati del progetto di ricerca dell’Università La Sapienza di Roma. Lo studio, coordinato dal Professore Loreto Rossi, attraverso il posizionamento di sessanta boe, ha lo scopo di verificare la bontà delle acque del Golfo e eventualmente i maggiori fattori inquinanti.

E’ necessario un Regolamento che:
– contenga limiti severi alla cattura di specie vulnerabili di acque profonde,
– richieda la chiusura alla pesca distruttiva di aree d’alto mare dove sono presenti ecosistemi vulnerabili,
– garantisca valutazioni d’impatto per tutte le attività di pesca in alto mare e ponga fine alle attività di pesca più distruttive.

Il nostro augurio è quello che la Presidenza italiana si impegni in questa direzione, terminando un processo legislativo fermo ormai da 2 anni e contribuendo in maniera sostanziale a questo ambizioso obiettivo.

 

www.erminiodinora.com [2]