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Il mito, o del raziocinio della fantasia (2)di Gabriella Nardacci . Per la puntata precedente, leggi qui . Nella sua opera Simbolismo e mitologia dei popoli antichi, in particolare dei greci (1810-12) G. F. Creuzer – esponente del romanticismo mistico di Heidelberg – ravvisa nel mito la veste esteriore dei simboli originari che racchiudono l’eterna verità dell’uomo e del mondo: a essi può accedere solo l’intuizione immediata, non la scienza e il pensiero razionale. Un cinquantennio più tardi, queste tesi trovano approfondimento in J. J. Bachofen, per il quale il mito incarna la lingua primordiale (e perciò eterna) dell’uomo: esso appartiene a categorie che trascendono la storia, come teorizzato poi nelle opere di Mircea Eliade (Il mito dell’eterno ritorno, 1949) e di R. Guénon. Di poco posteriore a Creuzer sono le opere di Buttmann (Mythologus, 1828) e di Karl Otfried Müller (1797-1840; Prolegomeni a una mitologia scientifica, 1825) che, nell’affermare l’autonomia del pensiero mitico, aprirono la via a una considerazione più strettamente storica del materiale mitologico. Notevole risonanza ebbe anche la concezione «naturalistica» sostenuta da Friedrich Max Müller (1823-1900) e dalla sua scuola, sulla base dello studio comparato delle religioni. Muller riteneva che le religioni dei primitivi tentassero di esprimere nel loro complesso il senso dell’Infinito, e cioè il mondo ultrasensibile. Tra le religioni dei primitivi e quelle dei popoli più evoluti non v’era grande differenza, poiché esse nascevano tutte per una medesima esigenza: esprimere, attraverso il linguaggio simbolico (il mito), un sentimento e un pensiero altrimenti inesprimibili. Lo scudo con la testa di Medusa del Caravaggio Su posizioni diverse E. Cassirer (in Linguaggio e mito; 1925) che illustra l’autonomia semantica del simbolismo mitico, al quale corrisponde un proprio mondo e una propria sfera di verità; questi prodotti della creatività dello spirito umano sono irriducibili alle categorie del pensiero e delle verità logiche. Il nesso tra pensiero logico e pensiero mitico è anche al centro degli studi psico-etnologici influenzati dal positivismo e dall’evoluzionismo. Di W. Wundt, in particolare, che ritiene il mito essere un prodotto dell’immaginazione e appartenere al mondo sentimentale e rappresentativo. Il mito, perciò, non contiene nessuna verità perché si forma soprattutto nella sfera psicologica dell’emozione (W. Wundt: Psicologia dei popoli, 1900-20). Già con le ipotesi di Wundt si affaccia il tema della «proiezione». Era questo uno dei problemi che si erano posti già diversi antropologi: la somiglianza e le analogie che si ritrovavano nei miti di popolazioni diverse e distanti fra loro, fino all’elaborazione di Jung che perviene all’archetipo come struttura psichica fondante dell’inconscio. E l’Eroe è l’archetipo che risale al mito per un percorso che fa e dentro del quale incontra ostacoli, nemici, forze oscure, sentimenti vari fino alla vittoria finale sul male. Abbiamo accompagnato Ulisse nel suo viaggio “tifando” per lui nella lotta contro giganti e altri mostri; ci siamo interrogati sul rapporto che legava Achille e Patroclo; abbiamo sperato che Orfeo riuscisse a non voltarsi verso Euridice. Ora che siamo diventati grandi, riscopriamo tutta la bellezza di questi ‘mitici’ personaggi e ne leggiamo avidi anche le numerose rivisitazioni: alcune sono fedeli e altre possono addirittura disturbare, talmente se n’è forzata l’idea originale. Recentemente l’argomento “mito” mi si è riproposto in due libri letti ed è stato interessante riscoprirne il valore e la versatilità… . [Il mito, o del raziocinio della fantasia. (2) – Continua] Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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