Attualità

Il 2 giugno

di Rosanna Conte
2 giugno

 

Ci avviciniamo ad un nuovo 2 giugno, anniversario della nascita della Repubblica italiana, cioè della nostra Italia riorganizzata e regolata dalle leggi fondamentali che sono scritte nella Costituzione repubblicana.

È  un atto di nascita, il 2 giugno 1946, a pieno titolo, visto che gli italiani scelsero contemporaneamente la forma dello Stato e le persone che avrebbero scritto la nuova Costituzione.

Come ci ha ricordato Gino Usai (leggi qui), a Ponza il referendum diede la vittoria alla Repubblica.
Fu la voglia di cambiare tutto dopo aver “assaporato la libertà” o fu un ben misurato atto contro una forma di stato che a Ponza aveva solo e sempre mandato coatti e perseguitati politici, senza porgere mai orecchio alle lamentele degli isolani e al loro giusto desiderio di riorganizzarsi inventandosi una nuova prospettiva economica?
Probabilmente le due motivazioni coesistevano e, forse, ce n’erano anche altre collegate all’esperienza vissuta nel periodo fascista, quando la figura del re era rimasta molto in ombra, lasciando che si imponesse la dittatura e che il duce trascinasse la popolazione in una guerra tremenda.
Come sempre, non c’è un unico motivo, ma resta che a Ponza ci fu la vittoria della Repubblica contro la Monarchia.
A distanza di 68 anni, le speranze e i sogni che si volevano far germogliare e fiorire nella nuova forma di stato esistono ancora?

Nei decenni immediatamente dopo l’inizio del periodo repubblicano abbiamo imparato a godere delle diverse libertà – pensiero, parola, religione ecc. – anche se nello scontro sotterraneo della guerra fredda e dell’influenza della chiesa.
Abbiamo costruito un welfare, dalla salute alla cultura, alla casa che ha fatto fronte largamente ai bisogni della popolazione.
Abbiamo avuto la possibilità di una gestione democratica e partecipata delle dinamiche socio-economiche, con la difesa dei ceti più deboli e le opportunità di cambiamento di status sociale.
C’è stato nel concreto anche il riconoscimento del valore umano ed economico del lavoro per l’individuo, persona portatrice di diritti.
Insomma, abbiamo provato l’ebbrezza di essere “cittadini” grazie a quanto scritto nella Costituzione.

Purtroppo, tutto ciò, una ricchezza per cui i nostri padri costituenti  avevano prima combattuto e poi lavorato perché diventasse il fondamento della nostra Costituzione, oggi giace nelle parole scritte – e forse solo per poco ancora -, lì nella Carta, ma non è più riconoscibile.

I livelli di welfare sono ridotti al minimo, la partecipazione dei cittadini alle decisioni si è prima trascurata e poi lasciata da parte tanto che pensiamo sempre più a delegarle ad altri, il diritto all’istruzione pubblica si è andato assottigliando e quello al lavoro non esiste più.
Sarà perché si è creato questo iato fra la vita quotidiana e quanto scritto nella Costituzione, che si tende a pensare che la nostra Carta sia “vecchia”, superata.
Eppure, viste le condizioni in cui siamo, con la marea di bisogni che emergono quotidianamente, bisognerebbe andare a leggerla e invocarne  l’applicazione.

Ricordiamo che molti principi e dettami in essa così chiaramente affermati ed enunciati non sono stati realizzati, altri sono stati continuamente violati, e ciò sempre nel silenzio della maggioranza della popolazione che non si è accorta di quanto veniva espropriata.

Roberto Benigni nella sua serie televisiva sulla Costituzione, usò spesso la frase molto diffusa ed usata da chi l’apprezza: “E’ la più bella del mondo!”: E non è un modo di dire.
La sua articolazione è più complessa delle altre Costituzioni perché i padri costituenti, che avevano vissuto la distruzione delle leggi del Regno d’Italia fatta dal fascismo, pensarono di porre paletti e garanzie perché non ci fossero in futuro altri facili colpi di mano per imporre nuove dittature.

Come già detto altrove, gli estensori della nostra Carta appartenevano alle più diverse ideologie politiche e rappresentavano tutti i partiti allora esistenti, ovviamente non quello fascista per il quale fu previsto l’art XII delle norme transitorie e finali che dice: E’ vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. Questo divieto è stato confermato come norma finale, cioè valida per sempre, nel 1988.

La bellezza della Costituzione e la sua articolazione molto strutturata non impediscono, però, che possa essere aggiornata. L’unico paletto inamovibile è la forma repubblicana, per il resto la stessa Costituzione, con gli articoli 138 e 139, indica il percorso da fare per eventuali cambiamenti.
Ma, se si opera sulla nostra Costituzione, bisogna farlo con molta attenzione perché in essa sono previsti molti pesi e contrappesi per rendere equilibrata la nostra democrazia parlamentare e se si cambia qualcosa, bisogna valutare le ricadute ed apportare i correttivi necessari perché non avvenga una perdita dei diritti democratici.

La democrazia non è un valore astratto: essa si incarna nelle procedure di partecipazione alle decisioni (in campo politico-amministrativo come nelle assemblee di ogni tipo…) e, col variare della peso decisionale dei partecipanti, varia anche il livello di democrazia.
La nostra Costituzione prevede un alto tasso di democrazia ed è per questo che la legge elettorale detta ‘porcellum’ è stata dichiarata incostituzionale ed è stata abrogata: riduceva di molto il diritto di scelta dei politici da eleggere da parte dei cittadini.

Oggi, quando si parla di riforme istituzionali, ci si riferisce ad interventi separati fra loro che riguarderebbero la riforma del Senato per superare il bicameralismo perfetto, il rafforzamento dei poteri dell’esecutivo per consentire governabilità e una non ben chiara riforma della Magistratura, il tutto mentre si sta riformando anche la legge elettorale che non rientra nella Costituzione, ma che è molto rilevante nel concorrere a determinare il livello di democrazia esercitato dai cittadini.
Se questi interventi vengono fatti singolarmente e a colpi di leggi e decreti legge senza ribilanciare poteri e competenze, si corre il rischio di non conservare nel cambiamento gli equilibri democratici, con grande danno per la nostra Costituzione e, ovviamente, per noi

Nella confusione comunicativa dei politici e dei mass media si sente dire che gli italiani attendono le “riforme” perché si aspettano che migliorino l’Italia, ma non si collegano mai le riforme che si vogliono fare alle esigenze degli italiani.
Intanto stiamo attenti alla parola “riforma” perché di per sé significa solo “cambiare forma”, ma non è detto che questa nuova forma sia positiva.
Ciò che negli anni si è succeduto in nome della parola “riforma”, dalla trasformazione del Titolo V che ha dato molte competenze – dalla Sanità alla Scuola – alle Regioni, alle riforme della scuola e delle regole di accesso ed uscita dal mercato del lavoro, alla legge elettorale ed altro ancora, non ha prodotto miglioramenti, ma solo cambiamenti spesso disastrosi con perdite di tutele e di partecipazione democratica.
Davanti al disastro morale, oltre che economico, in cui è stata portata l’Italia, non possiamo pensare di calmare gli italiani inferociti dicendo che facciamo le “riforme costituzionali”. Basta fare delle leggi normali, anzi sono queste le leggi che servono a contrastare i nostri problemi socio-economici ed il malcostume imperante.

Vorremmo sperare che queste leggi ordinarie rispettassero i ‘valori’ (come la solidarietà, la democrazia, l’uguaglianza, la pace) ed  i diritti costituzionali (all’istruzione pubblica, alla salute, alla casa, al lavoro…) in modo che dagli articoli scritti dai padri costituenti possano entrare nella nostra vita di tutti i giorni.

Come nel sogno di Tano Pirrone (leggi qui), di vedere sfilare il due giugno non le forze armate, ma i cittadini nella loro qualità di lavoratori che producono e agiscono in armonia per questo stato democratico, rifiutando l’esaltazione delle armi. Questo  non è un sogno avulso dalla Costituzione: Tano l’ha recepito dall’articolo 11 e l’ha alimentato con la sua coscienza civile.

Leggiamola, la nostra Costituzione, forse leggendola, vi potremo ritrovare valori che pensavamo dimenticati e diritti della cui applicazione chieder conto ai politici, agli amministratori, ai magistrati… a chi gestisce comunque un potere.

Leggi qui la Costituzione della Repubblica Italiana.

Purtroppo abbiamo perso l’abitudine a chiedere il rispetto dei nostri diritti, accontentandoci delle scorciatoie dei favori personali, ignorando che una società che fa a meno delle leggi e in cui l’individuo non è cittadino, ma legato al potente dal beneficium, appartiene non alla modernità, ma al Medioevo.

Le costituzioni sono state il primo passo verso la modernità e quasi sempre sono state conquistate col sangue.
Non dimentichiamolo!

2-giugno 1946

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