di Adriano Madonna
Da qualche anno, l’estate dei nostri lidi costieri vede una massiccia presenza di meduse. Che cosa ne determina l’abnorme proliferazione? Le meduse: che cosa sono e “come sono fatte”.
Le meduse sono ormai i primi attori delle nostre stagioni estive: da diversi anni, infatti, invadono le acque costiere del Mediterraneo, presentandosi con pericolosi “amici oceanici”, come la caravella portoghese (che viene genericamente indicata come una medusa, ma che in realtà è un sifonoforo), scientificamente nota come Physalia physalis e altrettanto nota per la sua capacità di provocare addirittura il decesso per shock anafilattico (una reazione allergica che, nelle sue massime espressioni, è addirittura letale), se si ha la disgrazia di incappare nei suoi lunghissimi e invisibili tentacoli.
Queste sinistre presenze sono giunte nel Mare Nostrum a causa del global warming e, da come abbiamo appreso dagli organi di informazione, sono andate a rallegrare, in special modo nell’estate 2010, le acque della Liguria e di altre regioni in piena stagione balneare, seminando il panico tra i bagnanti. Il telegiornale, proprio nell’ormai lontano 2010, mostrò più volte le immagini di solerti bagnini che raccoglievano meduse “a cofane” con il coppo.
Ovviamente, tutti si chiedono quale sia il motivo di questa abnorme invasione di meduse. La spiegazione non è difficile: stiamo assistendo a una delle prime e più evidenti risposte del mare ai nostri maltrattamenti nei riguardi di Madre Natura (e troppe altre ce ne saranno!). In sintesi, è avvenuto questo: la rottura di qualche anello nella rete alimentare ha fatto sì che sia diminuito il numero dei competitori delle meduse, cioè di quegli organismi che si nutrono di meduse. Inoltre, manco a farlo apposta, il riscaldamento delle acque ha ampliato il periodo di riproduzione di questi organismi. In poche parole, le meduse vengono mangiate meno e “fanno più figli” e tutto ciò spiega perché siano aumentate vertiginosamente di numero nel nostro Mediterraneo.
Forte presenza della cassiopea
Esamineremo in seguito il delicato argomento delle meduse di altri mari che sono giunte qui da noi. Occupiamoci, adesso, delle meduse di casa nostra.
Da quanto mi è stato dato di verificare, nel centro Italia la presenza di meduse davvero importante è relativa in particolare alla cassiopea, per la scienza Cotyloriza tuberculata, di bell’aspetto, con l’ombrella gialla e le braccia corte costellate di tubercoli coloratissimi. La cassiopea, una delle più vistose meduse del Mediterraneo, peraltro innocua, negli anni passati si è presentata forte di numerosi eserciti.
Il mio amico Paolo mi scriveva in una mail: “Mia moglie ed io siamo usciti in canoa e ci siamo trovati a incrociare una schiera di meduse di colore giallo. Abbiamo cominciato a contarle, poi, a cento ci siamo fermati…”
Un bell’incremento ha avuto anche Pelagia noctiluca, alias medusina viola, di certo la più pericolosa delle meduse nostrane, perché davvero i suoi tentacoli trasparenti lasciano il segno sulla pelle, come frustate, ma l’invasione della Pelagia non è stata una novità, perché già in anni passati questa medusina era stata protagonista di sgradite invasioni delle acque costiere, a volte causando addirittura la chiusura di numerosi stabilimenti balneari.
Proprio riguardo ai competitori delle meduse, mi piace ricordare come durante una mia sortita a Stromboli, ospite del mio grande amico Daniele Dallago, titolare del diving la Sirenetta, abbia potuto verificare che la tanuta (Spondyliosoma cantharus), quel bel pesce argentato simile al sarago, è un vero e proprio divoratore di meduse del genere Pelagia. Sulla Secca di Scirocco, uno dei più bei punti d’immersione di Stromboli, ho visto branchi di tanute fare scempio di medusine viola: le aggredivano e le beccavano, sbranandole letteralmente.
Anche le tartarughe marine, si sa, mangiano le meduse, tant’è che a volte confondono sacchetti di plastica con meduse e muoiono soffocate.
Personalmente, sono dell’avviso che, forse, più della diminuzione del numero dei competitori, sulla forte proliferazione delle meduse giochi l’ampliamento del periodo riproduttivo, di cui può essere responsabile in prima battuta il riscaldamento delle acque, ma non si può escludere che vi sia anche qualche altro motivo attualmente sconosciuto e riconducibile alla rottura di equilibri biologici.
Le “nuove” meduse
Mi trovai per la prima volta davanti alla cubomedusa Carybdea marsupialis durante un’immersione notturna, un paio di anni fa, in compagnia delle mie amiche biologhe Donatella Chiota e Floriana Carannante. Guardai quello strano ombrellino squadrato con quattro lunghe code a guisa di sottili tentacoli e pensai: “E che è stà cosa?”. Del resto, il plancton gelatinoso è pieno zeppo di roba strana, quindi osservai bene il marziano.
Si trattava di Carybdea marsupialis, specie della classe dei cubozoi (Cubozoa), di origine atlantica e da diverso tempo presente in Mediterraneo (in particolare in Adriatico), che sommariamente annoveriamo tra le meduse, anche se, in realtà, la moderna zoologia marina ha aggiunto, nel philum dei celenterati, alle già esistenti classi degli antozoi, degli idrozoi e degli scifozoi (a cui appartengono le “vere meduse”), la quarta classe dei cubozoi, costituita da organismi che possiamo definire tranquillamente meduse, essendo costituite da sostanza gelatinosa e possedendo, oltre a una specifica anatomia, quegli organi urticanti, detti cnidociti, tipici un po’ di tutti gli cnidari.
Il termine Cubozoa è dato dalla forma a cubo bombato dell’ombrella. Dai quattro vertici posteriori di quest’ultima si dipartono lunghi filamenti sottili e trasparenti, dotati di pericolosi cnidociti in grado di scatenare shock anafilattico nei soggetti predisposti.
Alla classe Cubozoa appartengono specie con lunghezze comprese tra i 2 e i 30 centimetri e alcune sono estremamente pericolose: in Australia, diverse decine di persone sono state uccise dal cubozoo Chironex fleckeri.
La Carybdea che mi trovavo davanti si snodava come una cometa in un infinito nero e, di certo, non sarei riuscito a scorgerla se non l’avessi incontrata di notte: questi organismi, infatti, sono invisibili perché trasparenti, ma la luce artificiale dà loro corpo e li evidenzia. Solo una volta sviluppata la foto mi resi conto che le particelle di plancton illuminate dai lampi dei flash avevano completato l’immagine della “cometa Carybdea” con una sorta di “cielo stellato”.
Più serio è il discorso per quanto riguarda la caravella portoghese (Physalia physalis), un sifonoforo definito comunemente medusa nonostante non appartenga alla classe degli scifozoi (Scyphozoa), bensì a quella degli idrozoi (Hydrozoa). I sifonofori sono costituiti da una sacca piena di gas, lo pneumatoforo, che galleggia e, nel caso della Physalia, sporge sulla superficie del mare agendo come una vela.
Lo pneumatoforo sorregge un gran numero di tentacoli ricchissimi di cnidociti dalle attivissime nematocisti. Le punture di queste ultime inoculano delle proteine in grado di uccidere provocando shock anafilattico, tant’è che i subacquei che si immergono in acque dove l’incontro con la caravella portoghese è abbastanza frequente, hanno l’accortezza di dotarsi di particolari sostanze contenenti enzimi proteolitici, cioè in grado di spezzare i legami tra i vari amminoacidi costituenti le proteine e neutralizzare le tossine. Strofinando queste sostanze sulla cute subito dopo il contatto con la medusa, si può evitare il peggio.
Che cosa sono le meduse
Il philum dei celenterati o cnidari è costituito da quattro classi: Anthozoa, Hydrozoa, Scyphozoa, Cubozoa. Gli organismi che comunemente chiamiamo meduse sono presenti nelle ultime tre classi: ad esempio, la caravella portoghese appartiene agli idrozoi, il polmone di mare, la medusina viola, la cassiopea ecc. agli scifozoi e la Carybdea ai cubozoi.
Le cosiddette meduse sono costituite più o meno tutte nello stesso modo e cioè sono distinte in due parti: l’ombrella e le braccia. La bocca in genere si trova all’estremità di un tubo detto manubrio, è dotata di una corona di tentacoli atti a catturare il cibo e immette in una cavità gastrovascolare, così definita perché svolge sia funzioni digestive sia funzioni circolatorie.
Fra tutte e quattro le classi degli cnidari, quella degli scifozoi viene considerata la classe delle “vere meduse”. Benché questa classe sia piccola, nel senso che non annovera numerose specie, gli scifozoi sono presenti in tutti i mari e in tutti gli oceani. Alcuni si trovano a grandi profondità, altri nelle zone costiere. Inoltre, mentre la maggior parte degli scifozoi si nutre di piccoli invertebrati e pesci, alcune specie sono filtratici, come quelle appartenenti al genere Aurelia (Aurelia sp.).
In conclusione, una curiosità: non tutti sanno che le meduse, che noi vediamo avanzare lente in acqua con le contrazioni delle loro ombrelle, a volte di cospicue dimensioni (come il bianco polmone di mare, Rhizostoma pulmo, la medusa più comune del Mediterraneo), sono organismi dal ciclo vitale singolarissimo, diviso in due fasi: nella prima si assiste a una forma a polipo, nella seconda alla forma a medusa. In pratica, la medusa “viene fuori” da una sorta di organismo rassomigliante a un “fiorellino”, a cui si dà il nome di polipo.
Il ciclo vitale in dettaglio è il seguente: maschio e femmina della medusa emettono i gameti, quindi lo spermatozoo feconda l’uovo, da cui nasce una larva detta planula. La planula attraversa un periodo pelagico, cioè è libera e natante in acqua, poi atterra sul fondo, si fissa al substrato e si trasforma in un polipo (il polipo larvale), che si accresce e si sviluppa per gemmazione, formando una colonia di polipi. Da uno di questi fuoriescono le cosiddette efire, minuscoli dischi situati uno sopra l’altro come una pila di piatti. Le efire si liberano in acqua e si trasformano in meduse.
Tenendo conto che l’uomo è un vertebrato e che i vertebrati sono una evoluzione degli invertebrati, se Darwin non ha raccontato frottole anche le meduse, in un certo senso, possono essere considerate nostri antichi progenitori.
Dott. Adriano Madonna, EClab Laboratorio di Endocrinologia Comparata, Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Bibliografia
Mitchell, Mutchmor, Dolphin, Zoologia, Zanichelli;
Barnes, Invertebrate Zoology, Philadelphia, Cbs College Publishing;
O. Mangoni, Lezioni di biologia marina, Università di Napoli Federico II;
A. Madonna, Colori in Fondo al Mare, Edizioni Caramanica;
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G. Ciarcia e G. Guerriero, Lezioni di zoologia, Università di Napoli Federico II; C.
Agnisola, Lezioni di fisiologia degli organismi marini, Università di Napoli Federico II;
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