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Ritorno a Procida: la Tavola del Re

di Rosanna Conte
Chiaiolella.1 [1]

 .

Mancavo da Procida dagli inizi di gennaio, ma era parecchio che non vi restavo per un po’ di giorni.
Quest’anno mi è capitato di trattenermi nel periodo pasquale ed ho colto l’occasione per rivedere le stradine di campagna dell’altro versante dell’isola. Ricordavo le lunghe passeggiate fatte da bambina con la mano in quella di mio padre che, probabilmente andava alla ricerca di quell’atmosfera contadina che tanto gli piaceva perché era la sua, essendo cresciuto sui Conti lavorando la terra.

Ma non pochi sono i ricordi legati a questi sentieri anche per motivi scolastici avendo girovagato per l’isola, con i miei compagni di classe, dalla terza elementare fino al secondo anno del superiore, tanto che la lettura di Pinocchio mi rimanda alla quarta elementare fatta in una stanza a piano terra con un camino da cui ogni tanto usciva un topolino, mentre le poesia Novembre di G. Pascoli e Passero solitario di G. Leopardi, mi rimandano alla terza Media in un vecchio caseggiato dall’intonaco cadente e con una terrazza per l’intervallo a cui si arrivava dopo un paio di viottoli in piena campagna.

Avevo veramente il desiderio di rivedere quei luoghi; così, appena sono partiti gli ospiti, dal porto sono risalita  per la Via Nuova, dove, quando ero in quarta elementare, tornando a casa, con le compagne di classe facevo i camponi (1) di limoni saltando nei giardini stracolmi di agrumi; allora non c’era nessuna casa nei dintorni e potevamo scegliere il campo che più ci piaceva. Già da tempo la bella strada, una volta ariosa e lussureggiante, che si snodava dal porto al centro in alternativa a quella storica infossata fra le alte case,  è diventata una strada fittamente costeggiata da abitazioni, che siano villini o palazzi di due o tre  piani, e non lascia spazio all’immaginazione di un paesaggio campestre.

Mi son tracciata un percorso che tagliasse a metà l’isola per proseguire fino alla Chiaiolella, nella zona occidentale di Procida; da lì avrei ripiegato verso sud, la zona delle pasquette procidane di una volta, prima che fosse consentito andare a Vivara, l’isolotto oasi naturale e zona archeologica, collegato a Procida da un ponte costruito nel 1957 per far passare l’acquedotto diretto ad Ischia.

Vivara [2]

L’isola di Vivara ed il ponte

Ho rivisto così la Chiaiolella col suo porticciolo turistico oggi ornato di pontili, il Lido ormai pieno di impianti balneari e le parule (2) ridotte a pochi fazzoletti di terra da che erano una grande estensione di terreno coltivato da cui provenivano in abbondanza gli ortaggi procidani.

Lido di Procida2 [3]

Chiaiolella con scorcio delle antiche parule [4]

Chiaiolella con scorcio delle antiche ‘parule’

Ho pensato a quel punto che potevo ritrovare le zone campestri andando a Solchiaro, una collinetta dove un tempo i Borbone amavano cacciare, e scendere  poi verso la Tavola del re, uno spiazzo a livello del mare sulla punta estrema di Solchiaro e così chiamato in ricordo dei sovrani che avevano l’abitudine di riposarsi dalle fatiche venatorie bevendo qualche bicchiere di vino.

Procida. La Tavola del Re. Carpobrotus [5]

I resti della costruzione su Punta Solchiaro: la Tavola del re

Appena inoltrata per via Simone Schiano ho capito che anche questa zona era ormai compromessa e nel vedere, procedendo, le ville, i giardini, i segni dell’urbanizzazione, dall’illuminazione pubblica ai bidoncini per la raccolta differenziata, ho capito anche il perché della marea di macchine che con il loro andirivieni, anche a targhe alterne, ha stravolto l’isola.

In tutte le zone intensamente cementificate non ci sono negozi e gli abitanti dei villini disseminati sui costoni delle punte come sulle campagne pianeggianti dell’interno, per le loro necessità, devono spostarsi su un percorso che è piuttosto lungo per giungere ai negozi, agli uffici, alle scuole o semplicemente per andare a trovare amici e parenti.
Mi sono chiesta come si sia potuto costruire tanto.
Certamente l’abusivismo l’ha fatto da padrone, ma dello scempio venuto fuori chissà se i procidani se ne sono accorti. Si è parlato di abusivismo di necessità, vista l’alta densità di popolazione, ma quelle che ho visto non sono semplici abitazioni: la ricchezza non manca in questa piccola isola.

Alcune ville, in contrasto con la tradizionale edilizia locale di celare con alti muri e portoni serrati le bellezze naturali pertinenze della casa, mostrano ai passanti prati, viali, giardini e scale a cui il tocco estetico lascia un’impronta gradevole, ma estraniante. Altre sono rinserrate da cancelli schermati che  difendono la privacy degli abitanti e lasciano intravvedere solo le cime dei limoni cariche di frutti.

Molte costruzioni non appartengono agli isolani, ma agli amanti di Procida e fermandomi a parlare con un ultraventennale frequentatore dell’isola, intento a riordinare il suo giardino, apprendo che per accedere a La Tavola del re devo passare per un cancello semichiuso su cui c’è un divieto di accesso.
“Il cancello è sempre aperto e per scendere giù bisogna andare sempre diritto: ci sono degli scalini scavati nel terreno e bloccati da assi di legno…” .
E’ vero. Scendo fino al mare dove ci sono i resti perimetrali di un caseggiato che molto probabilmente ospitava il re Borbone nelle sue battute di caccia a Solchiaro, Succér’, quando desiderava riposare.
E’ l’unico tratto indenne: c’è solo un gatto che si intrufola fra le gambe, mentre scendo, e mi riaccompagna, quando risalgo, fino alla villetta dell’amante di Procida. Ho trovato finalmente un pezzo nature dell’isola. Spero soltanto che non sia l’ultimo lembo.

Chiaiolella anni '50 [6]