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Elucubrazioni di Pasquale (12b)

di Pasquale Scarpati
La-creazione-degli-animali [1]

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Da bambino, ricordi, anche tu prendevi al laccio un esserino che ritemprava le sue forze al Sole. Lui distratto, gli cingevi il collo con il cappio realizzato all’estremità di un robusto filo d’erba e, mentre le cicale incessantemente frinivano, lo facevi roteare per aria, come un astronauta, per stringere vieppiù la morsa intorno al collo e poi, lui riluttante, lo trascinavi per ogni dove fino alla fine dei suoi giorni.
Così molti non se ne accorgono e vengono tirati dove altri vogliono.
Qui di nuovo stette zitto, mentre l’Essere vivente guaiva. Veruccio, allora si rivolse a lui e: “Stai zitto- rimproverò – questo non lo puoi dire nei nostri confronti”.
Ciò suscitò la mia curiosità e chiesi cosa volesse.
“Adesso – disse – si è preso troppa confidenza ed ha oltrepassato ogni limite. Va dicendo, infatti, che noi, Esseri viventi dalla schiena eretta, spesso, ci pieghiamo; sono loro che, invece, la tengono sempre diritta”.

Credendo di aver capito l’ingarbugliato discorso,non potetti non replicare, con fare saccente: “Pieghiamo la schiena per due motivi; il primo per  amore: amore della terra, amore per i bimbi, amore per lo studio, per sollevare i più deboli di noi, per alleviare le sofferenza, per fare una semplice carezza, per asciugare una lacrima di chi soffre o di chi sta per lasciare questa Terra”.

Poi, alzando leggermente la testa, come in atto di sfida, aggiunsi: “Vedi tutti quelli che si chinano o, naturalmente, si protendono in soccorso degli altri, senza contropartita, diventano Giganti. Sono talmente Grandi che neppure l’immensità del Cielo riesce a contenerli”.
Mi sovvenne, poi, l’enigma della Sfinge per cui continuai: “Il secondo motivo per cui siamo costretti a chinarci è il dolore anche morale che spesso fiacca la tempra più forte, ancor più di quello fisico”.
A questo punto, ritenendomi pago, tacqui e guardai il mio interlocutore con  fare tronfio e pettoruto. Quello, questa volta, fece un risolino ironico, scosse la testa, inarcò leggermente le sopracciglia: “Non sempre avviene come  dici tu…” – disse e non aggiunse altro.

Riprendemmo il cammino insieme a quell’essere protestante e alla sua padrona fino che giungemmo davanti ad un bar.
Un po’ stanco, dissi: “Entriamo e prendiamoci qualcosa da bere”.
Ma l’Essere vivente, una volta arrivato davanti alla porta, cominciò, di nuovo ad abbaiare furiosamente. Con lo sguardo mi rivolsi a Veruccio, come per conferma  anche se avevo già capito il motivo di questa nuova protesta: un  quadratino di plastica ben aderente al vetro della porta. La signora si diede a calmare l’amato Essere, lo accarezzò, gli parlò nell’orecchio anche se lui sente a grande distanza, trasse dalla borsa un osso di plastica o di altro materiale e glielo diede. Quello subito di acquietò,cominciò a rosicchiare quella cosa fittizia, poi scodinzolò, si sedette e non si mosse più.
La signora legò il guinzaglio ad un paletto ed entrammo.

Nell’aprire la porta un  Esserino nero, svelto svelto, si intrufolò, beffeggiando il quadrupede che era rimasto fuori la porta, come in castigo. Ma ben presto rimpianse  quello che era stato costretto a stare fuori ai rigori del freddo. Il poverino, infatti, mentre cercava, probabilmente, il suo nutrimento – non avrebbe potuto far altro – o di riposarsi un po’, fu avvolto da un’odorosa nuvoletta scaturita da una bomboletta. Immediatamente si immobilizzò, si rovesciò sul dorso e, come se scalciasse, rese la vita.
A me che trangugiavo un succo di pompelmo, tutta la scena non sorbì nessuna sensazione. La signora, invece fu presa da raccapriccio e non faceva altro che ripetere” “Che schifo!”.
Veruccio sorseggiò con calma il suo caffè, poi guardandomi fisso con occhi divenuti all’improvviso gelidi, di ghiaccio, come se mi avesse letto nel pensiero esclamò: “Ma questa non è una vita innocente che è stata uccisa!”
Al che mi sentii in dovere di replicare: “E’ vero, ma questi sono insetti nocivi e quindi vanno eliminati!”
“Lo vedi – disse- che hai i paraocchi come quelli che si mettono ai cavalli. Quell’Esserino non era entrato né per diletto né per stuzzicare gli altri Esseri, ma soltanto per cercare il suo cibo, come tutti.
Tutti gli Esseri viventi, ad eccezione di quello dalla schiena eretta non fanno nulla a caso né per diletto, lo fanno solo per necessità. Solo che l’Essere dalla schiena eretta, sempre lui, effettua una cernita: alcuni, anche se con mille smancerie, spesso non volute, li mantiene in vita, ad altri, invece,  propina la morte. Per alcuni c’è una manipolazione violenta, per altri c’è la distruzione violenta.
Ma questi ultimi sanno come resistere e tenacemente restano attaccati alla vita nonostante tutti gli stratagemmi messi in atto contro di loro.
Questi stratagemmi poi, si possono ritorcere contro lo stesso l’Essere dalla schiena eretta che li ha ideati, causando ogni tipo di inquinamento da cui è difficile sfuggire sia perché sono subdoli sia perché dietro di loro ci sono enormi interessi economici. La manipolazione fisica e morale è la causa di tutti i mali. Ha prodotto, infatti,  ogni genere di brutture. Allorché, purtroppo, sono coinvolte le masse si alza dalla Terra un gran rosso fuoco che raggiunge il Cielo siderale.
Inorridisce il Creatore e si rattrista, perché nonostante ogni Suo sforzo – e tu mi capisci a Chi mi riferisco – non è riuscito a preservare ciò che ha creato con grande Amore.”  Detto questo si chinò, prese, delicatamente tra il pollice e l’indice un Esserino che nel tentativo di arrampicarsi lungo il piede di una sedia, si contorceva tutto e sembrava facesse la fatica di Sisifo, lo portò fuori e lo appoggiò su un mucchietto di terra. Quello, liberato, se ne andò quanto più velocemente possibile, ma senza ringraziare.
A quella scena, la signora, precipitosamente aveva guadagnata l’uscita e si era dileguata con il cane senza nemmeno salutare.
Anch’io ero rimasto interdetto sia dal discorso sia dai modi di Veruccio e sbiancai.

Lui, con gli occhi divenuti di nuovo dolci ma fermi, mi disse “Ti ho fatto stancare. Scendiamo”.
Prendemmo la vecchia strada che da Sopra Giancos, porta a Giancos dove una nera striscia di asfalto faceva da spartiacque tra le case da una parte, uno sterrato, una spiaggia ed il mare dall’altra. Scendendo, il mio passo divenne più veloce e, questa volta ero io che precedevo Veruccio.
La strada, in discesa, era piatta e larga abbastanza da far passare un piccolo veicolo motorizzato.
Ad un tratto mi sentii afferrare alle spalle. “Dove vai? – mi disse Veruccio – Non ricordi più qual è la strada giusta; sei proprio stralunato. Non è questa quella da percorrere, questa porta altrove”.
Lo guardai un po’ indispettito: “Vuole insegnarmi la strada che devo percorrere “ – pensai – Non c’è bisogno: la conosco benissimo”.
Invece mi fece imboccare alcuni vecchi scalini posti vicino ad un vecchio muro sulla destra; solo allora mi accorsi che erano proprio quelli che portavano alla meta verso cui tendevo. Lungo la discesa, con quelle scalette che serpeggiavano e sembravano quasi voler passare nelle case, ci fermammo, per riposare, sotto un albero di un frondoso limone. Non appena mi sedetti, stanco, mi addormentai.

Uno strattone mi svegliò. Veruccio, già in piedi, mi disse: “Alzati, presto, dobbiamo andar via”.
Assonnato risposi “Perché, sto  riposando così bene” “No, vieni – replicò – e, indicando un limone caduto dall’albero, aggiunse: “Questo qui ha cominciato a dire che anche lui è un Essere vivente, che non sopporta più di essere citato in detti poco edificanti per lui, come ad esempio “essere spremuto come un limone” specialmente quando si tratta di esosità  o peggio ancora che lo si paragoni a persone piuttosto “ acide”. Dice che non vuole più essere scorticato, come S. Bartolomeo, né tagliato a metà o a fettine ed affogato in liquidi caldi o freddi. Piange  perché, essendo rimasto solo, paventa per la sua vita poiché le acque divenute dilavanti provocheranno – prima o poi – movimenti franosi che lo trascineranno via nonostante le profonde radici. Aggiunge che gli Esseri dalla schiena eretta, che dicono di aver compassione e di tutelare ciò che li circonda, non hanno alcuna pietà per questo e continuano ad impastare un materiale piuttosto scuro, senza essere obbligati a ripopolare la zona con altri suoi fratelli, i quali, sicuramente, farebbero evitare simili catastrofi e cita un vecchio detto, valido sempre e dovunque, che afferma: “l’unione fa la forza”.
Giura, infine, senti questa, che loro sono gli unici esseri viventi che non tramano di nascosto ma, pur nelle oscurità delle viscere della terra, agiscono in modo da contribuire al benessere di tutto l’organismo vivente (l’albero) e così facendo migliorano tutto l’ambiente”.

Stanco per questi discorsi scriteriati, immediatamente mi alzai e mi accompagnai a lui, scendendo quanto più rapidamente possibile. Il Passeggero del cielo carezzava già lo Scoglio di Mezzogiorno e le ombre si allungavano, quando giungemmo alla fine della discesa e mettemmo piede sulla nera striscia pianeggiante.
Ci salutammo. Poi ognuno proseguì per la propria strada. Avvertivo una grande stanchezza nelle gambe.
Attraversato il “ruttone” di Giancos, incontrai alcuni amici. Ci sedemmo ad un tavolino del bar di “ Veruccio u’ Chiattone”, e, davanti ad una tazza di caffè cominciammo a discutere di politica, di calcio e di economia. Il violento rombo di un motore, non attenuato dalla marmitta, non solo ci distolse da quei discorsi ma frantumò, nella mia mente, tutto ciò che mi era accaduto e per molto tempo lo dimenticai.

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[Elucubrazioni di Pasquale (12b) – Fine]