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Porto di Trieste, di Egon Schiele

di Veronica Mondelli
Porto di Trieste di Egon Schiele [1]

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su Egon Schiele, leggi anche qui [2]

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Il vero uomo di mare ama il mare d’inverno.
Ama i piccoli anfratti dei porti, quelli in cui la risacca si ingabbia tra una nave e la banchina.
Ama i rumori degli ormeggi, degli alberi che si muovono al vento.
Ama il porto fermo e silenzioso, quello dopo l’arrivo dei pescherecci e prima dello loro partenza, al tramonto, quando tutti sonnecchiano.
Ama il mare che sa di solitudine.
Ama il mare che si lascia guardare, che si fa contemplare – sono io, il mare, mi vedi, sono enorme, senza confini e tu sei lì, minuscolo.
Minuscolo a cercare di cogliere il particolare del mare.
E come si può cogliere il particolare del mare, se il mare è una distesa infinita, se tocca mondi e terre agli antipodi, se imperversa nella tempesta e si alza col suo vagone di alghe e pesci e inonda le strade?
Come si può cogliere il particolare di tanta maestosità?

Si abbandona il già visto. Si abbandona il minimo comune denominatore. Ci si scrolla di dosso quell’idea di mare spiaggia-caldo-bikini-pallone-chiasso-cremasolare-ombrellone-birrafresca.
Si prende questo mucchio di parole, le si accartoccia, le si incenerisce.

Perché il vero uomo di mare sa che il mare è altro.
È la spiaggetta che non conosce nessuno, piccola, con la rena che fa male ai piedi, in cui è ormeggiata una barchetta sverniciata e in cui un vecchio lupo di mare col mondo negli occhi si siede a guardare, prima di passeggiare sugli scogli.

Egon Schiele non era proprio un uomo di mare. Sul mare non ci era nato. Lo ha visto, di sicuro – questo dipinto ne è la prova. Non era un uomo nato sul mare, né un lupo di mare. Eppure il mare doveva avercelo dentro, se è riuscito a cogliere nel misero spazio di venticinque per diciotto centimetri tutto quello da cui un vero uomo di mare si lascia cullare.

Il mare silenzioso e quasi invisibile del porto, con la sua acqua che non ha nulla di blu o di azzurro ma rispecchia i colori della città – e del mondo. Le ancore gettate e le navi e le barche che dondolano, in un concerto di alberi e sartie, vento alberi e sartie, voci lontane vento alberi e sartie. Persino il cielo – di un colore assurdo e silenzioso tra il rosso e il rosa – trova spazio nel mare.

Schiele ha colto il particolare del mare. L’ha fermato in uno specchio d’acqua che vive del mondo effimero sopra e intorno, ma che ha il sapore dell’eterno, con quelle onde che si aggrovigliano, circolano, girano e tornano a se stesse per ricominciare.

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Immagine di copertina: Egon Schiele, Porto di Trieste; 1907

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