I tralci delle viti tagliati perché ritenuti superflui e dannosi venivano raccolti a fascine e disposti nelle parracine sia come riparo dal vento sia a rafforzare un confine o accatastati per essere bruciati alla bisogna.
Ecco, questo bisogno si rendeva impellente nella settimana santa perché il falò di venerdì santo doveva essere alimentato da legna. Da ogni tipo di legna. Possibilmente quella che i contadini decidevano che fosse superflua. I pennecille, appunto: legna di cui disfarsi.
La spiaggia di Sant’Antonio era il luogo prescelto per la catasta. Perché ? Perché lì, all’incrocio fra la strada principale e la Panoramica, la madonna Addolorata incontrava Gesù morto.
U fucarazzo era il segno tangibile della partecipazione corale al dolore che, oltre che cosmico, era carnale fra i due protagonisti.
Ma il fuoco doveva essere nutrito dalla legna. Frotte di ragazzi setacciavano le campagne. Sopra gli Scotti, sulla Dragonara, sui Guarini. Si cercavano ante di porte, rami, sediacce, tavoli ma… il grosso lo rendevano i pennecille. Fascine non pesanti. I contadini li davano volentieri, oppure se li trovavano mancanti se erano riottosi nel donare.
Perché collegata all’innalzamento della catasta, per istinto, c’era la gara a chi contribuiva di più a ingrandire il cono del falò.
Bande agguerrite erano quelle del Porto con Franco Francavilla, Titino Usai: veri razziatori di pennecille; quella di sant’Antonio con Remo Centineo, Aniello De Luca.
La contesa aveva fasi diverse. Alcune consuete come quella di trafugare le fascine di pennecille ai contadini conosciuti come avari epperciò da castigare. Altre fasi bisognava avere la prontezza di capirle e di decidere il da fare. Come quando si trovavano giacenti telai di porte dismesse. Occorreva procurare la manovalanza per portarli via, in fretta, altrimenti il padrone faceva scintille. La banda degli Scotti con Liberato, Leone, i due Semiscotte era quella sulla quale si poteva contare di più. Da loro soltanto pennecille.
Crepitavano alle fiamme, la sera del Venerdì santo, insieme ai lamenti dei canti. Un calore soffuso si spandeva e diventava quasi umano il dolore di quella donna vestita di nero al cospetto di quel corpo lacerato.
’U Fucarazz’ del venerdì santo è una tradizione che ogni anno viene ricordata sul sito.
Questi gli autori che ne hanno parlato (molti articoli hanno numerosi commenti – NdR):
2011 – Silverio Lamonica (leggi qui)
2011 – Gino Usai (leggi qui)
2012 – Polina Ambrosino (leggi qui)
2012 – Franco De Luca (leggi qui)
2013 – La Redazione (leggi qui)