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Cronache dallo Stracquo. (12)di Rita Bosso . Ci sono luoghi che costituiscono lo scenario neutro su cui si svolge una vicenda e che potrebbero essere sostituiti senza alcuna modifica sostanziale della narrazione; ci sono luoghi che impregnano la narrazione; ci sono luoghi che hanno il ruolo di protagonisti, sono insostituibili e restano dentro allo spettatore (o al lettore) più della vicenda o dei personaggi “umani”; mi viene in mente “Fiesta mobile” di Hemingway, letto decenni orsono: non ho il più vago ricordo delle figure e delle vicende che animano le pagine, ma il profumo di Parigi è incancellabile. Direi allora che Parigi sta a Fiesta Mobile come Ponza sta a Lo Stracquo (l’arte che viene dal mare): cambiare set è impossibile. Me ne convinco ulteriormente conversando con Carlo De Meo, artista formiano all’opera a Ponza nell’ultimo fine settimana di marzo, insieme a tre suoi colleghi. Carlo, al pari di tutti gli artisti intervenuti sinora a questa rassegna, è partito per Ponza con un bagaglio leggero: nessuna idea su cosa avrebbe realizzato, nessun progetto; il “qui ed ora”, per tutti, è stato imperativo categorico; si sono avviati con mente aperta e libera, sarebbero stati i pezzi recuperati a dettar legge. Poi, su quest’idea, bisogna lavorare: le foto mostrano l’artista alle prese con i disegni preparatori, tanto più accurati quanto maggiori sono le dimensioni: nel caso del Tuffatore, lungo quasi tre metri, una volta individuati i punti fermi dettati dalla curvatura della scocca, sono state definite le dimensioni e i rapporti, in modo da non perdere l’anatomia. Contribuiscono alla composizione alcune assi erose dall’acqua ed elementi neri (tappi, catrame), tutti raccolti sull’isola. che formano il ginocchio, l’ascella, parte della testa e le mani. Al centro delle opere di De Meo – non solo di quelle realizzate a Ponza- è un corpo, intorno al quale è organizzato lo spazio; spazio che non è un contenitore vuoto nel quale l’opera è immersa, ma è integrato nell’opera stessa, come appare dalla foto seguente, in cui la striscia di travertino del pavimento della sala del Museo incornicia la piattaforma dello stesso colore su cui il Tuffatore è adagiato. A proposito: il titolo dell’opera non è “Il Tuffatore”, ma “Bevo parole salate mentre guardo uno specchio di mare”. Carlo De Meo si definisce “spazialista, concettualista ironico”; lavora in genere con materiali di recupero, quindi il concetto dello stracquo (non la parola) gli era noto già prima di partecipare a questo evento. In passato ha utilizzato oggetti di produzione industriale deformati, schiacciati per ribaltarne la visione. Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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