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La Legge di Titius – Bode

di Francesco Piras
Orbite Astri Asteroidi [1]

 

Carissimi amici astrofili di Ponza,
dovendo scegliere tra i tanti capitoli della moderna scienza astronomica, uno con cui spero piacevolmente intrattenervi stavolta, ho voluto fosse la legge di Titius – Bode.

Quando Galileo iniziò a esplorare il sistema solare scoprendo nuovi astri come i satelliti di Giove, altri si preoccuparono di precisare matematicamente il tutto.
Questo dava agli studiosi del tempo una certa sicurezza al punto che cominciarono a porsi delle domande su questi nuovi contenuti.
Fatto sta che quando Newton pubblicò la legge di gravitazione universale alcuni studiosi si posero una domanda.
..

Una domanda semplice, ma, neanche troppo sciocca.
Assumendo che il Sole sia il perno del nostro sistema solare, le distanze dei pianeti dal Sole sono delle distanze casuali, oppure i pianeti si trovano lì perché lì devono stare?
In altre parole, i pianeti devono stare a quelle distanze oppure possono stare a qualunque distanza?
Oggi sappiamo che i pianeti possono stare a qualunque distanza dal Sole, basta dare la giusta spinta (non troppo forte da finire congelati  nelle fredde profondità dello spazio, né troppo piano da finir carbonizzati nell’ardente nucleo del sole) e questi gireranno intorno alla nostra stella per miliardi di anni.
Però alla fine del ’700 questa domanda non era affatto una sciocchezza.
Allora il fior fiore degli astronomi si ingegnarono a trovare una soluzione.

Due astronomi Titius e Bode, tra il 1766 e il 1772, trovarono una curiosa sequenza di numeri che senza alcun fondamento riusciva però, in maniera sorprendente, a prevedere le distanze a cui si trovavano i pianeti.
 Si scriveva la seguente successione di numeri::
 0 1 2 4 8 16 32 64.

Si scriveva la seguente successione di numeri:
0 1 2 4 8 16 32 64.
Si moltiplicava per 3.
Col risultato: 0 3 6 12 24 48 96 192 .
Si aggiungeva 4.
Ottenendo: 4 7 10 16 28 52 100 196.
Infine si divideva per 10.
0,4 0,7 1 1,6 2,8 5,2 10 19,6.

Ora se noi prendiamo come metro, cioè  come unità di misura la distanza che c’è tra la terra e il Sole, incredibilmente, i valori presenti su questa scala rappresentano le distanze dei vari pianeti dal sole.

Quindi secondo questi due astronomi, grazie a questi numeri, doveva esserci una legge sottostante.
 La cosa più curiosa é che all’epoca di Titius e Bode il pianeta Urano non era stato ancora scoperto.
 Sarà Herschel che di lì a poco lo scoprirà.
Ebbene, anche per questo pianeta funzionava questa “legge”.
 E fu allora che gli astronomi cominciarono a concentrarsi su un fantomatico corpo celeste, che mai nessuno aveva visto e che  si trovava a circa tre volte la distanza della terra dal sole.
 In altre parole, se la “legge di Titius Bode è in grado di prevedere la distanza di Urano, e se a 2,8 Unità astronomiche prevedo un pianeta e non l’ho mai visto, il problema è mio che non l’ho mai trovato.
Sembrerebbe che questa legge mi stia dicendo: “Guarda c’è un pianeta tra Marte e Giove che tu non hai mai visto”.

Un astronomo tedesco decise di formare una squadra investigativa celeste il cui intento doveva essere quello di andare alla caccia disperata di questo pianeta.
A trovare la risposta fu un astronomo italiano, padre Giuseppe Piazzi dell’osservatorio astronomico di Palermo che la notte di capodanno del primo gennaio del 1801, nella costellazione del Toro, scopri un corpo celeste che lo battezzò Ceres Ferdinandea, in onore della dea romana Cerere, protettrice del grano e della Sicilia, e di Ferdinando Primo, re delle Due Sicilie (*).

A quel tempo Ferdinando si era rifugiato a Palermo a seguito della conquista del Regno di Napoli da parte della Francia nel 1798; in seguito l’aggettivo Ferdinandea cadde in disuso presso la comunità astronomica internazionale.
Piazzi non poté seguire il moto di Cerere abbastanza a lungo (compì solo ventiquattro osservazioni) prima che, l’11 febbraio, l’astro entrasse in congiunzione e diventasse quindi invisibile da Terra.
Non fu così possibile determinare la sua orbita e Cerere andò perduto.
 Fu grazie al matematico tedesco Gauss che aveva messo a punto un metodo per seguire le traiettorie dei corpi celesti e calcolare la loro distanza che si riuscì a ritrovare Cerere e a scoprire che l’astro andava a posizionarsi, udite udite, esattamente a 2,8 Unità astronomiche.
Ma questa scoperta doveva essere fonte di amarezze per Giuseppe Piazzi perché di lì a poco furono scoperti altri corpi celesti tra le orbite di Marte e Giove (oggi se ne contano più di 100 mila e se ne seguono a scoprire).
Il calcolo vuole che la loro massa complessiva non superi quella di Mercurio, il più piccolo pianeta del sistema solare.
Herschel, che aveva scoperto il colosso Urano,  con un diametro quadruplo quello della terra, dall’alto della sua scoperta, (…quello si che  poteva chiamarsi pianeta, non i grossi sassi come Cerere!), propose di chiamarli “asteroidi” che significa (come una stella). E il nome rimase.

Ma la legge aritmetica, sopra esposta, era destinata a cadere in difetto per gli ultimi due pianeti del sistema solare: Nettuno e Plutone.
Vale la pena di narrare la storia della loro scoperta.
Quando i movimenti di un pianeta sono noti, gli astronomi possono prevedere la posizione che il pianeta stesso assumerà sulla sfera celeste. Tali posizioni, risultanti dal calcolo, vengono riunite in apposite tavole “le effemeridi astronomiche”.
Poiché Urano era stato già scoperto da mezzo secolo, e quindi si credeva di avere tutti gli elementi necessari a prevedere i suoi movimenti futuri, furono calcolate le sue tavole; ma dalle osservazioni risultò un divario tra le posizioni calcolate quelle effettive.
 Si ritenne perciò, non senza ragione, che tale divario fosse dovuto all’attrazione che su Urano esercitava un altro pianeta, ancora sconosciuto.
Se tale astro perturbatore esisteva davvero, dove poteva trovarsi? Dove bisognava cercarlo?
Il problema fu studiato in Francia da Le Verrier e in Inghilterra da Adams, in maniera del tutto indipendente, e l’uno all’insaputa dell’altro.
Nel settembre del 1846 il Le Verrier comunicò i risultati dei suoi calcoli e indicò il punto del cielo ove doveva trovarsi il pianeta.
Dall’osservatorio di Berlino fu puntato il cannocchiale in quella direzione e a breve distanza dal punto indicato fu scoperto dall’astronomo Galle un astro di ottava grandezza: il pianeta perturbatore, al quale fu dato il nome di Nettuno.
 Meno fortunato, Adams aveva già comunicato i risultati dei suoi calcoli è indicata una posizione non molto diversa da quella del matematico francese; la ricerca del pianeta era stata iniziata all’osservatorio dei Cambridge sin dal luglio del 1846; ma, poiché mancava una carta celeste della zona da esplorare e in quel tempo il pianeta era stazionario e poteva essere confuso con una stella, non fu scoperto.
Ne nacquero polemiche e discussioni vivaci sulla priorità della scoperta teorica: ed entrambi i giovani scienziati riscossero tributi d’ammirazione ed onori.

Da quando è stato scoperto (1846), Nettuno ha compiuto un solo giro intorno al sole (2011), e si conoscono con esattezza i suoi spostamenti; poiché anche questi sono perturbati da un astro ancora più lontano di esso dal sole, si è cercato di scoprire l’astro perturbatore, con un metodo analogo a quelli seguiti da Le Verrier e dall’ Adams.
Tra i ricercatori s’è distinto particolarmente l’astronomo Percival Lowell, fondatore dell’osservatorio di Flagstaff, nell’Arizona, che coi suoi calcoli dimostrò l’esistenza del pianeta: morì nel 1916, ponendo tra le clausole testamentarie l’obbligo per gli astronomi del suo osservatorio di continuare le ricerche, che furono coronate dal successo soltanto nel 1930.

Il nuovo pianeta, Plutone, fu scoperto grazie alla lieve traccia lasciata su una lastra fotografica.
Esso dista dal sole 40 volte circa più della terra e gira intorno al sole in quasi due secoli è mezzo ( più precisamente in 247,7 anni). Il suo simboli astronomico è la versione stilizzata delle iniziali di Percival Lowell (PL). Riclassificato come pianeta nano il 24 agosto 2006 e battezzato formalmente Plutone 134340 Pluto dalla UAI (Unione Astrofili Italiani).
Plutone è il secondo più massiccio pianeta nano del sistema solare, dopo Eris, e il decimo corpo celeste più massiccio che orbita direttamente attorno al Sole.

UAI. Almanacco 1998 [2]

Nota

(*)  – Da non confondere con l’isola Ferdinandea

[3]

L’isola neoformata in un dipinto di Camillo De Vito, del 1831

L’isola Ferdinandea (ìsula Firdinandea in siciliano; storicamente nota come Graham Island in inglese e île Julia in francese) è una vasta piattaforma rocciosa situata a circa 6 metri dalla superficie marina, nel Canale di Sicilia, tra Sciacca e l’isola di Pantelleria. Essa costituisce i resti di un apparato vulcanico che emerse nel 1831, a seguito dell’eruzione sottomarina di un vulcano, si innalzò dall’acqua formando l’isola, la quale crebbe fino ad una superficie di circa 4 km² e 65 m di altezza.
Essendo composta prevalentemente da tefrite, materiale roccioso eruttivo facilmente erodibile dall’azione delle onde, l’isola Ferdinandea non ebbe vita lunga. A conclusione dell’episodio eruttivo si verificò un rapido smantellamento erosivo dell’isola che scomparve definitivamente sotto le onde nel gennaio del 1832, ponendo fine temporaneamente alle dispute internazionali sorte circa la sua sovranità (da Wikipedia [4]).