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In questi giorni il nostro sito sta in fermento per la pubblicazione di un dialogo, in dialetto, scritto da un anonimo. Si sta assistendo ad una violenta diatriba che spesso tralascia gli aspetti concreti del problema, per volare in basso verso recriminazioni, rinfacci e vere e proprie aggressioni verbali.
In sintesi i punti messi in discussione sono la volgarità del testo che mal si coniuga con il livello del sito e la concessione ad un anonimo di pubblicare quando è stato più volte ribadito che non si accettano pubblicazioni anonime.
Stiamo parlando di un testo che intende essere letterario per la forma espositiva scelta (la forma del dialogo è utilizzata da Platone, Seneca, S. Agostino fino a Leopardi e così via), che vuole riprodurre la realtà contingente perché utilizza il dialetto, che aspira ad essere voce critica di una comunità perché ne ritiene alcuni aspetti negativi e pericolosi ed ha deciso, nella sua autonomia creativa, di parlarne assumendoli su di sé, un sé costruito ad hoc che, appunto per questo, non può essere identificato in una persona reale. Avrebbe potuto scegliere di parlare con la faccia scoperta per criticare la sua comunità, ma avrebbe dovuto usare una modalità espressiva diversa.
Naturalmente, l’esasperazione dei contenuti e della forma dialettale è legata alla tipologia del genere satira.
Ciò premesso, sottolineo che non sto certamente dicendo che quanto esce dalla sua penna sia un capolavoro e che lui sia un grande artista, ma che si sia iscritto, come diversi altri ponzesi, fra coloro che amano scrivere o fare musica ritenendosi espressioni artistiche della comunità.
Ho letto più di qualche dialogo scritto dal nostro Autore e non mi sentirei di ritenerli tutti ben congegnati, ma hanno sempre la capacità di provocare ed è questa la finalità di Sang ‘i retunne: la provocazione viscerale per arrivare alla testa, visto che quella diretta alla testa non riesce a dare frutti.
Se la sua figura è questa, l’ospitalità che gli offre Ponzaracconta si equipara a quella offerta ad altri che, invece, aspirano ad esporre le loro idee in forma diversa, con testi caratterizzati dalla dimostrazione per convincere.
E sul sito, attraverso questi testi, passa di tutto, dal monologo cammuffato da dialogo all’esposizione dotta di contenuti di scarso valore, e naturalmente su questo nessun lettore né redattore obietta. Ovviamente, là dove, invece di usare il ragionamento, si usa l’invettiva o l’ingiuria, stiamo fuori dal patto fra dialoganti e la Redazione è costretta a negare la pubblicazione.
Fra le varie obiezioni c’è stata quella che un sito come il nostro, che sta affrontando seriamente tanti aspetti della vita dell’isola e non, e della cultura in generale, subisce un calo di tono con la pubblicazione di un testo come quello di Sang ‘i retunne: il dialetto ponzese è massacrato, il contenuto è abbastanza volgare, l’anonimato non favorisce un contraddittorio leale.
Diciamo che quando si parla di dialetto, si parla di una lingua viva, in continua evoluzione e quella di Ponza, oltre a non essere uniforme, perché ci sono già in partenza forti differenze fra quello delle Forna e quello di Ponza, è abbastanza variegato anche dagli apporti della lingua italiana che, insieme al romano, ha smussato le antiche impronte partenopee; senza dimenticare che molti ponzesi vivono a Formia, Terracina, Latina e, anche se non se ne rendono conto, alcune inflessioni di queste contrade le hanno introiettate.
Non si può partire dal presupposto che esiste un dialetto ponzese immobile nel tempo e, anzi, la pubblicazione di testi in dialetto può stimolare una pluralità di interventi che andrebbero ad arricchire la costruzione del nostro background.
Passiamo al contenuto volgare.
Volgarità, nell’accezione comune, significa mancanza di educazione, di finezza e di signorilità, di elevatezza e di nobiltà spirituale, ed indica cafonaggine, grossolanità, rozzezza, scurrilità, sguaiataggine, trivialità.
Dante nell’Inferno, la cantica più bella della Divina Commedia, usa spesso termini osceni o descrive comportamenti volgari per rendere più dura la condanna morale dei peccati compiuti dai dannati: la scelta di parole e comportamenti volgari in un contesto poetico trovano la loro ragion d’essere nella funzione che svolgono nel complesso dell’opera. E questo riguarda tutte le forme artistiche: cinema, scultura, la pittura ecc.
“Nulla è volgare di per sé, ma siamo noi che facciamo la volgarità secondo che parliamo o pensiamo” – dice Cesare Pavese nel romanzo La spiaggia e Goethe, a sua volta, afferma che “Non esiste nulla di volgare che, espresso in modo spiritoso, non diventi umoristico”.
Diciamo la verità: noi siamo dominati dalla volgarità. L’ipocrisia del perbenismo, lo “spettacolo” di far cantare e ballare bambini come se fossero adulti consumati, l’osmosi apprezzata e ricercata tra vita reale vita virtuale, specie in tv, fino alla loro sovrapposizione, lo sbattere in faccia il proprio privato come se fosse pubblico sono senz’altro aspetti fra i più rilevanti ed appariscenti della volgarità che domina la nostra società.
Ma volgare è anche l’utilizzo degli strumenti del potere a fini di guadagno o vendetta personale; volgare è lo strapotere di chi ti sbatte in faccia l’esecuzione della propria volontà al di là delle regole; volgare è chi sperpera il denaro pubblico e privato; sempre, al di là dei momenti di crisi, volgare è il comportamento di chi dice che è così bravo che risolve i tuoi problemi se tu ti stai buono e fermo.
Volgare è stata anche l’operazione di distorcere parole importanti come libertà, democrazia, destra e sinistra, etica del lavoro che, una volta estrapolate dal contesto in cui erano radicate ed inserite in un quadro nuovo, senza ancoraggi, hanno perso la loro carica semantica e possono significare tutto e il contrario di tutto.
Non è forse ‘volgare’ la mancanza di nobiltà spirituale e di rispetto per gli altri?
E veniamo al problema dell’anonimato come elemento che mina un leale contraddittorio.
Qualsiasi contraddittorio civile può avvenire anche se le due persone non si conoscono perché non si tratta di uno scontro fisico, ma di un confronto di idee.
È con la logica e i dati di fatto che si procede in un dialogo e, quando si è in disaccordo, è ad essi che bisogna ricorrere senza attaccare comportamenti, qualità, difetti, aspetto fisico o altro ancora dell’avversario.
Il valore di un ragionamento, e della persona che lo fa, è nella capacità di dimostrare secondo la logica e non secondo la pancia.
Sang’i retunne non può stare in questo ring: ha scelto la libertà espressiva in maniera aperta e vuole, come ho detto prima, colpire alla pancia per arrivare alla testa. Chi entra in contraddittorio con lui, però, lo può fare solo con gli strumenti della logica, a meno che non indossi una maschera come la sua rispondendogli con le stesse armi.
Quello che non si potrà fare è pensare di entrare in contraddittorio con lui colpendo alla pancia in maniera subdola, usando in maniera distorta gli strumenti propri della logica, come il vespaio di polemiche che è stato sollevato in questi giorni.
Gennaro Di Fazio
3 Marzo 2014 at 02:32
Pur di giustificare la pubblicazione dell’articolo di sang ‘i retunne, hai tirato in ballo l’Inferno di Dante, Cesare Pavese e Goethe; mi sembra proprio un’ esagerazione!
È vero che tutto può essere volgare, ma perché accettare e pubblicare ciò che si ritiene tale?
Inoltre in questo ” ‘u sexi shop”, io personalmente non ho trovato nulla di “provocazione viscerale per arrivare alla testa” né qualcosa che mi facesse pensare alla satira.
Infine per quanto riguarda la forma espositiva, anche qui non era assolutamente il caso di far rigirare nella bara personalità come Platone, Seneca, S. Agostino e Leopardi.
Credo che non si debba eccedere con la dietrologia, altrimenti c’è il rischio di santificare qualcuno a scapito di altri con sensibilità diversa, così come sta accadendo in questa caso tra i lettori che hanno fatto critica e l’anonimo autore che peraltro continuo a non capire perché deve essere tale, visto che, come affermi in questo tuo articolo, egli “ha scelto la libertà espressiva in maniera aperta”. Nè tantomeno capisco perché dobbiamo essere noi ad indossare la sua maschera e non lui a presentarsi a viso scoperto, cioè con il suo nome e cognome, e dialogare secondo i canoni riportati a più riprese su questo stesso sito.
Gennaro Di Fazio
rosanna
3 Marzo 2014 at 15:54
Ho esagerato? Forse sì, però – e in questo spero di essere stata chiara – io mi riferivo non certo al valore del contenuto, ma alla proposta dell’anonimato.
Ho calcato la mano per togliere qualsiasi dubbio al fatto che non si può discutere della maschera anonima se non si concorda sulle caratteristiche della forma:
1) il richiamo ai grandi autori dei dialoghi voleva indicare che una simile scelta sottintende la volontà di scrivere un testo creativo e questo di per sé determina un patto fra l’autore e l’eventuale lettore che consiste in questo: il contenuto è una finzione che il lettore accetta come se fosse vero. E’ questa la regola di ogni narrazione;
2) stabilito il patto, al lettore non resta che seguirlo nei contenuti e le modalità di porli da lui scelti: tra queste modalità c’è anche la voce che deve portare i contenuti, quindi la sua relazione con i lettori. Ora,se la vita a Ponza e il modo di essere di gran parte degli isolani (mentalità, aspirazioni, cultura…) costituiscono gli ambiti in cui l’autore individua i temi da trattare e se nei dialoghi intende inserire la denuncia di comportamenti non sempre encomiabili, Sang ‘i retunne si sarà posto il problema di quale tipo di voce avrebbe dovuto creare. Certamente una voce coincidente con una persona reale avrebbe corso il rischio di essere accusata di moralismo, oltre che rendere i testi più noiosi, pesanti; nessuno li avrebbe letti. Così, probabilmente ha pensato di creare un personaggio ad hoc, con caratteristiche ben precise, che fosse vicino al ponzese tipico – secondo il suo metro di giudizio – ma con l’orgoglio di dichiararsi tale, in modo da creare anche il paradosso di far emergere dall’animo dell’isolano quanto normalmente non dice in maniera aperta per evitare di attirare su di sé giudizi negativi.
Ciò detto, è in grado Sang ‘i retunne di produrre validi testi creativi? Non lo so. In alcuni dialoghi si avvicina ad esiti molto accettabili, in altri no, ma diamogli la possibilità di provarci. Sul nostro sito sono stati sempre pubblicati i tentativi della gente comune che non aveva la velleità di ricevere la patente di poeta o scrittore, ma solo di potersi esprimere sull’amore per la propria terra. Anche Sang ‘i retunne si esprime in questo senso: gli dobbiamo dire di no perché non ne conosciamo l’identità?
L’idea di indossare la maschera per rispondere con le sue stesse armi era, naturalmente, provocatoria e derivava dalla modalità di influire sul lettore: colpire alla pancia, invece che alla testa. Ovviamente su questo sito siamo abituati a discutere con gli strumenti della logica e, quindi, puntiamo alla testa, ma non poche volte si è puntato alla pancia in maniera subdola, e questo, credo che sia ben più grave che pubblicare l’invenzione di un dialogo fra due anonimi ponzesi (perché anche l’interlocutore di Sang ‘i retunne è sempre anonimo) di cui non si conosce l’autore.
Antonino Di Stefano
3 Marzo 2014 at 16:55
Concordo con la linea della redazione, forse qualcuno ricorderà anche Pasquino, l’anonimo romano che con i suoi pizzini faceva rodere i potenti. Gli unici che volevano beccarlo e censurarlo erano loro ed i poliziotti .
vincenzo
3 Marzo 2014 at 18:40
Evviva Sang’e Retunne
Facite comm’a mme, senza timore:
cufféjo pure ‘a morte e ‘a piglio a rrisa…
Io so’ cuntento meglio ‘e ‘nu signore
pecché nun tengo ‘na faccia ma tant’ cammise…