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C’è un che di attendismo nel concetto di svernare, ovvero passare l’inverno. Come se la stagione fredda invitasse a rintanarsi, non solo fisicamente ma anche mentalmente. Ossia frenare l’attivismo, crogiolarsi nell’ozio. E così vedere i giorni del trimestre freddo sgranarsi uno a uno, in attesa di più gagliarde iniziative.
Nell’ozio ritornare ad una dimensione intimista, al ricordo, sminuendo l’acredine verso la quotidianità, attenuando i desideri e le aspettative.
In conclusione, nello svernare è alluso un ottundimento della forza, anche quella critica, un aspettare la rinascita.
Lo svernare è conseguenza delle condizioni meteo ostili ma per la condizione umana credo che valgano di più i rapporti sociali. Ossia, ci si mette nello svernamento perché le condizioni sociali sono talmente ridotte all’osso che soltanto sulla dimensione individuale si può contare e da essa trarre umanità.
In definitiva lo svernamento è una scelta comportamentale dell’individuo in conseguenza della rarefazione della socialità.
Ecco qui! Questo è lo stato di Ponza. A Ponza si sverna perché l’individuo rimane privo della rete sociale dei rapporti. I quali praticamente vengono meno e conseguentemente ci si chiude nella cerchia familiare… e basta.
C’è incontro sociale limitato allo stretto necessario: la domenica a messa per santificare la festa (ma il tempo deve essere clemente), la spesa al negozio per nutrire il corpo.
C’è poco altro: qualche incontro strumentale giù alla banchina fra i pescatori in pena per le barche tormentate dal mare, o quelli a Sant’Antonio fra gli operai edili in attesa che qualcuno li ingaggi per la giornata.
Qui potrebbero innestarsi considerazioni e recriminazioni politiche e sociali; ci si potrebbe impegolare in un confronto sociologico con altri tempi… e stimolare lamentele per l’assenza di iniziative da parte dell’organo amministrativo o di quello religioso… e parimenti giungere a bollare i ponzesi di indolenza e pigrizia.
I nostalgici potrebbero riesumare le immagini dei bar Tripoli o Amato o di Veruccio ’u chiattone strapieni di gente che giocavano a carte bestemmiando e inveendo contro la malasorte; o quelle del cinema di Barbetta, di Regine, insieme ai ritrovi presso le sedi di partito.
E che dire dell’ incontro sotto il Municipio per avere da Vicienzo ’u pustiere l’improbabile missiva…?
Quanta socialità si consumava… quasi come quella che si godeva nei festini dei matrimoni.
Ma anche questo non c’è più… perché ? Perché non ci si sposa più in inverno, in conseguenza del fatto che in primavera non inizierà nessuna campagna di pesca.
E allora? Allora lasciamoci alla fluttuazione fatua dei pensieri e… si consideri lo svernamento come ozio, stasi, silenzio. E godimento.
E già, perché intanto il mandorlo ha già aperto la sua fioritura e la giunchiglia gareggia con il narciso a picchiettare di giallo i bordi delle parracine.
Ieri sentivano il morso del ponente, oggi il codirosso insieme al pettirosso verseggiano fra le fronde quando il sole, basso e fioco, fa capolino.
E la sera, al freddo tornato pungente al calar delle ombre, nelle acque di fronte alla Ravia il peschereccio pulisce la rete, e i gabbiani a bisticciare per un pesce.
Non si attende nulla. Si sverna semplicemente, ciascuno con sé e con quello che intorno dona questo scoglio nel mare.
antonio scotti
18 Febbraio 2014 at 15:15
Caro Franco – Quanta nostalgia, tristezza e mestizia emerge dalla tua analisi dello “svernare” a Ponza. Quanto affermi non è altro che “final exit” del ciclo economico di molta parte dei ponzesi che chiuse le attività stagionali non hanno motivo di svernare a Ponza, considerata ormai “merce” da cui trarre profitto e non luogo in cui si è nati e si vorrebbe trascorrere la propria esistenza. Tale ciclo diventerà sempre più evidente e marcato e condurrà inevitabilmente allo spopolamento totale come già peraltro avviene con alcune isole Eolie.
Mi auguro di essere un cattivo profeta e/o una “Cassandra” non veritiera.
“Vale atque vale”