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Luigi Vitiello

di Rosanna Conte
Luigi Vitiello [1]

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Il nostro sito cerca di raccogliere ricordi che possano far luce sulla vita isolana del passato utilizzando diverse tipologie di testimonianze. 
Sono stati (e ancora verranno ) presentati personaggi di diversa estrazione che sono rimasti nella memoria dei ponzesi perché con essi hanno avuto relazioni durature e costruttive e fanno ormai parte della piccola storia isolana.
Altri personaggi invece hanno avuto legami con la grande storia, ma hanno lasciato una traccia più flebile di sé tra gli isolani, perché hanno vissuto altrove.
Luigi Vitiello è uno di essi.
R.C.

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La ricerca è un’attività affascinante e il nostro sito la stimola, anzi molto spesso la richiede. 
Quando ho scritto l’articolo su “Don Mario, il sindaco Vitiello” (leggi qui) [2]mi sono premurata di fare domande in giro e di risalire il più possibile al contesto in cui egli visse.
Quando è stato pubblicato, l’amico Sandro Vitiello l’ha segnalato ad un nipote del nostro personaggio, Benedetto Vitiello, che vive in America dove svolge la sua attività di neuropsichiatra.
Ho ricevuto, così, una e-mail di ringraziamento per l’interesse mostrato verso la famiglia Vitiello, con l’aggiunta di alcune notizie che contrastavano con quanto scritto nell’articolo.
Per correttezza devo aggiungere che, commentando le nuove notizie con amici e parenti, è anche venuto fuori che la sede della farmacia, quando avvenivano i fatti narrati anche da Silverio Corvisieri – incontri con i confinati nel retrobottega – non era al n° 42 di via Dante.

Ma andiamo in ordine temporale…

Il nonno Benedetto, padre di don Mario, non è morto dopo il ’28, come si poteva dedurre dall’articolo che non aveva riportato alcuna data, bensì nel 1914, all’età di 38 anni (era nato nel 1876) per tubercolosi, malattia allora incurabile.

In quel periodo la farmacia era situata all’attuale n° 13 di via Dante. Alle spalle c’era la padura dove affacciavano degli ambienti presi in affitto da alcuni confinati “per trascorrervi le ore di libera uscita”, come scrive Silverio Corvisieri 1, e dove era situata anche la loro mensa. 
Questo locale, insieme ad altre proprietà, fu successivamente perso dalla famiglia Vitiello perché Benedetto vi aveva fatto porre l’ipoteca per aiutare suo fratello Silverio; così la farmacia passò all’attuale n° 42.

Assunta Battaglia sull'uscio della farmacia dopo il 1937 [3]

La giovane farmacista Assunta Battaglia, 
moglie di don Mario, 
sulla porta della farmacia dopo il 1937

Il figlio maggiore, Luigi – padre del Benedetto americano – aveva solo 8 anni quando morì suo padre e sua madre, donna Margherita Coppa, vedova con 5 figli (pare che l’ultima, Rita, non fosse ancora nata), mentre faceva funzionare l’attività mediante farmacisti venuti da fuori con contratti a termine, mandò il figlio a studiare in collegio presso un suo fratello gesuita a Vico Equense.

Incuriosita, sono andata a pescare la genealogia dei Coppa (http://www.ponza.net/ancestors [4]) ed ho trovato che donna Margherita aveva ben due fratelli gesuiti, non uno solo, Giuseppe e Raffaele, e fu quest’ultimo che si prese cura del piccolo Luigi.

Non deve meravigliare che ci fossero due appartenenti al clero (anzi tre, perché c’era anche la figlia maggiore che era diventata suora) nella stessa famiglia. Era abitudine secolare che le famiglie benestanti, per non frammentare troppo il patrimonio, destinassero alla chiesa alcuni figli.
Il collegio in cui studiò il giovane Luigi, era certamente il “Sozi-Carafa”, il collegio dei gesuiti presente a Vico Equense, nato nel 1743 come seminario, su un vecchio convento carmelitano, ad opera del vescovo da cui prende il nome.

Collegio Sozi Carafa a Vico Equense [5]

Il collegio Sozi-Carafa a Vico Equense

Un collegio storico2 che proprio quando ci andò Luigi, raggiunse un numero considerevole di allievi (intorno a 160 dopo il 1914).
Non sappiamo con certezza se i nostri compaesani gesuiti insegnassero in questo collegio, ma certamente Raffaele doveva conoscerlo bene per farci studiare il nipote.

Cartolina con eventuale firma di Raffaele Coppa [6]

E’ una cartolina firmata da Raffaele Coppa?

Come è possibile che da un collegio di gesuiti sia venuto fuori un giovane antifascista, visto che sono da attribuire a lui le iniziative descritte nell’articolo “Don Mario, il sindaco Vitiello” (leggi qui [2]e qui [7])?

Luigi, una volta laureato, intorno al 1928 torna a Ponza a lavorare nella farmacia di famiglia. Ricordiamo che in questa farmacia i confinati avevano trovato un luogo sicuro in cui incontrarsi sia per la compiacenza del farmacista sia per la particolare struttura del fabbricato che possedeva una via di fuga dal retrobottega. Inoltre, tramite gli ordinativi dei farmaci, avvenivano scambi di informazione con antifascisti liberi che eludevano la censura. E di ciò i fascisti dovevano avere sentore se in un rapporto di polizia nel 1931, la farmacia Vitiello fu definita “luogo di ritrovo dei confinati”3.

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Luigi Vitiello con la madre Margherita Coppa e le sorelle. OK [8]
Didascalia della foto, fornita da Polina Ambrosino: la foto messa ritrae mio zio Tommaso Lamonica, mia madre Angela, la loro cugina Maria Conte, la signora più anziana, Antonietta Zanetti di Mortara, moglie di un farmacista milanese amico della famiglia Vitiello, Rita Vitiello (la donna a destra nella foto), sorella di don Mario e la giovane Bruna Vitiello, figlia di don Mario.

Luigi combatté il fascismo con gli strumenti che aveva a disposizione.
A Ponza la sua lotta fu questa, ma quando nel 1933 si trasferì a Milano per le minacce che i militi non gli lesinavano sull’isola, la sua lotta continuò nell’industria chimica messa su da Lelio Basso, la “Chimico-galvanica”, sotto la cui copertura si dava aiuto ai perseguitati politici4.
Luigi aveva conseguito anche una seconda laurea in Chimica e questo non solo gli consentì il cambio di lavoro, ma durante la guerra, gli evitò anche il richiamo alle armi proprio perché l’Italia aveva bisogno di chimici.
Così, a Milano, dove si era legato agli ambienti socialisti, poté continuare, da mobilitato civile, la sua opera.

Il suo antifascismo aveva radici profonde, collegabili più al periodo universitario che a quello liceale presso i gesuiti.
Frequentando l’università di Napoli nel primo periodo fascista, ebbe certamente occasione non solo di assistere alla violenza dei manipoli, ma anche di seguire le discussioni degli intellettuali del tempo, primo fra tutti Benedetto Croce che con la sua personalità dominava il mondo accademico napoletano.

Benedetto_Croce [9]

Benedetto Croce

Devono essere rimaste impresse nella sua mente le parole scritte dal grande filosofo nel Manifesto degli intellettuali antifascisti riguardo ai valori che lo ispiravano: “…amore alla verità, aspirazione alla giustizia, generoso senso umano e civile, zelo per l’educazione intellettuale e morale, sollecitudine per la libertà, forza e garanzia di ogni avanzamento”.
La presenza nella sua biblioteca di uomo di scienze di diverse opere di Benedetto Croce ci dice che è a lui che guardava il giovane Luigi, al suo gesto di ripudio del fascismo subito dopo il delitto Matteotti, quando cadde ogni illusione di un eventuale recupero del liberalismo da parte di Mussolini.

Tuttavia anche gli anni trascorsi con i gesuiti hanno avuto la loro importanza. L’insegnamento crociano trovava terreno fertile nel giovane uscito da un collegio dove non si faceva certo propaganda antifascista, ma veniva impartita una ferrea disciplina oltre che una cultura vasta e profonda.
Luigi, secondo la testimonianza del figlio, aveva un rapporto ambivalente con i ricordi di quel periodo: aveva conservato care amicizie, aveva sviluppato l’amore per la cultura, ma aveva anche sofferto i rigori che l’obbedienza “perinde ac cadaver”5, propria dei gesuiti, richiedeva ai giovani studenti.
Forse proprio l’insofferenza per l’obbedienza cieca deve aver acuito il rifiuto di accettare acriticamente affermazioni anche se autorevoli e aver stimolato una particolare sensibilità alle ingiustizie.
Ricordiamo che le scuole dei gesuiti hanno sempre avuto una forte valenza formativa, nonostante la forte impronta cattolica che si traduceva nella fedeltà alla chiesa cattolica, in particolare alla persona del papa di cui hanno sempre costituito un esercito personale, come era nelle intenzioni di S. Ignazio di Loyola, il fondatore della Compagnia di Gesù, nel lontano 1539.

ignazio di loyola [10]

S. Ignazio di Loyola

Ad essi è stata sempre affidata la formazione della classe dirigente: sono stati per secoli precettori di principi e nobili e, ancora oggi, nelle loro scuole si persegue la finalità di sviluppare le eccellenze per formare dei leader.6 Da lì provengono personalità attuali importanti come Draghi, Ciampi, Monti, solo per dire alcuni nomi. E Luigi veniva da questa scuola.

Le sue azioni non sono state eclatanti, di quelle a cui si guarda per parlare di eroi, ma sono state efficaci nella lotta quotidiana al fascismo.
Sono le piccole azioni che, inserite in un quadro generale, possono creare le condizioni del cambiamento: senza di esse gli atti eroici restano isolati e rischiano di essere inefficaci.
E non solo.
I tanti che, svolgendo una vita apparentemente “normale”, si sono assunti un ruolo di supporto, hanno sostenuto l’esistenza e la resistenza delle reti clandestine di chi stava in prima linea incorrendo nei loro stessi pericoli.
Nella società in cui viviamo, attratti più dalla grandiosità e spettacolarità delle azioni, che dalla loro forza di penetrazione, non sarebbe superfluo riflettere su questa figura di ponzese che ha scelto di combattere per i suoi valori attraverso gesti “silenziosi”, ma penetranti, cioè quesi gesti che sono alla base della tenuta sociale di ogni comunità.

Luigi Vitiello a Ponza. Circa 1975 [11]
Luigi Vitiello a Ponza; circa 1975 [Foto inviate dal figlio Benedetto]

Note

  1.  Zi’ Baldone, Silverio Corvisieri, Caramanica Editore, 2003, pag 64
  2. Basti pensare che l’ultimo vescovo di Vico Equense che ne ebbe cura fu quel Monsignor Natale che, partecipando alla rivoluzione napoletana del ’99, aveva scritto Catechismo repubblicano per l’istruzione del popolo e la rovina dei tiranni e fu impiccato in piazza Mercato a Napoli il 20 agosto del ’99, insieme agli altri repubblicani, in seguito alla repressione ordinata da Ferdinando IV rientrato dalla Sicilia. Da allora il seminario fu chiuso e Vico perse la sede vescovile. Bisogna arrivare al 1827 per la riapertura del seminario voluta dal vescovo di Sorrento della cui diocesi ormai faceva parte Vico. Una nuova chiusura si ebbe nel 1860 con la caduta del regno borbonico e la nascita del regno d’Italia. Nel 1875 padre Ludovico da Casoria vi istituì una scuola elementare, ma fu l’affidamento ai gesuiti nel 1881 che segnò il decollo dell’istituto. Dopo averlo ristrutturato, riuscirono ad aumentare il numero degli allievi dai 13, ai che vi avevano trovato, ai 120 del 1902, ai 160 dopo il 1914, quando fu deciso un ulteriore ampliamento con sopraelevazione.
  3. Silverio Corvisieri, ibidem, nota a pag 64
  4. Ibidem, pag 73
  5. “allo stesso modo di un cadavere” per traslato: “fino alla morte”
  6. Le caratteristiche della attività educativa della Compagnia di Gesù; pagg 18-19  [a questo link: http://www.sjweb.info/documents/education/characteristics_it.pdf [12]]