di Adriano Madonna
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Ho letto con molto interesse il bel racconto di Domenico Musco del suo incontro con il polpo (leggi qui). In quello scritto si parla anche un po’ della posidonia, una pianta marina che per il suo valore e per la sua importanza nella vita del Mare Nostrum, dobbiamo tutti conoscere meglio. Dal mio computer, dunque, traggo e vi invio un pezzo sulla posidonia, che, spero, sia di vostro gradimento.
A. M.
Interessiamoci da vicino della Posidonia oceanica, questa pianta marina “tutta mediterranea”, che produce tanto ossigeno, protegge le spiagge dall’erosione e produce una quantità straordinaria di energia, essenziale per la vita del mare.
Quando Dio creò le spiagge, disse: “Sono troppo belle, bisogna proteggerle” e fece grandi praterie di posidonia in fondo al mare. Poi guardò la pianta dalle ondeggianti foglie verdi e aggiunse: “E’ troppo importante per affidarle un compito solo”, e la posidonia diventò uno dei principali polmoni del Mediterraneo, con una essenziale produzione di ossigeno.
Da un interessante saggio sulla Posidonia oceanica, che mi perviene dal professor Luigi Maria Valiante, apprendiamo che le praterie di posidonia si estendono su circa 20.000 miglia quadrate di fondale del Mediterraneo. Ancora da questo studio, assumiamo una importantissima considerazione scientifica: essendo, infatti, la Posidonia oceanica una pianta endemica del Mediterraneo, “questo endemismo determina che se si vuole trovare un carattere univoco di mediterraneità, bisogna individuarlo proprio in queste praterie”.
Forse in pochi casi come nello studio della Posidonia oceanica, è necessario che il biologo sia anche un subacqueo, poiché le osservazioni dirette sono essenziali per scoprire le varie fasi di vita di questa pianta e la dinamica della sua influenza sull’ambiente acquatico. Per dare, comunque, un giusto svolgimento logico al nostro discorso sulla Posidonia oceanica, iniziamo con la descrizione della pianta: sia della parte svettante sopra il sedimento sia dell’altra, quella nascosta, che si sviluppa sotto il sedimento.
Dalle radici ai frutti
La posidonia si differenzia, partendo dal “basso”, in radici, rizomi, foglie, fiori e frutti.
Le radici, che ricordano quelle delle piante terrestri, bene o male sappiamo come sono fatte; il rizoma, invece, è un elemento “strisciante”, che verso il basso emette radici e verso l’alto ciuffi di foglie. Proprio grazie ai rizomi, che si sviluppano sotto il sedimento (crescono da 1 a 4 centimetri l’anno), la prateria di posidonia ha modo di espandersi, ma si deve osservare che essi possono svilupparsi sia in senso orizzontale sia in senso verticale. Nel primo caso parleremo di crescita “plagiotropa”, nel secondo caso di crescita “ortotropa”. Nelle praterie di posidonia più datate si osservano delle vere e proprie stratificazioni di rizomi (le cosiddette “matte”), a volte di un paio di metri e oltre, sulle quali si ancora la pianta.
La suddetta ambivalenza di possibilità di crescita dei rizomi (plagiotropa e ortotropa) fa sì che la pianta possa adattarsi con facilità alle diverse situazioni dell’habitat in cui vive, adottando l’uno o l’altro sistema di crescita (Caye 1980).
Il fusto della posidonia è rappresentato da uno stelo molto corto, da cui si diramano le foglie unite in un ciuffo. Esse sono disposte a ventaglio (fillotassi distica): le più giovani si trovano sempre al centro e le più vecchie ai lati. Un ciuffo di foglie di posidonia è costituito da un numero di foglie variabile da quattro a otto.
E’ interessante notare che le varie parti della pianta crescono con tempi diversi: ad esempio, mentre i rizomi crescono da 1 a 4 cm l’anno, le foglie sono sensibilmente più veloci, con una forte influenza stagionale. Ciò spiega perché l’aspetto di una prateria di posidonia varia in funzione del periodo in cui la si osserva. D’estate le foglie raggiungono il massimo del “loro splendore”: sono lunghe, floride e in diverse zone del Mediterraneo appaiono ricoperte da minuscoli organismi vegetali, gli “epifiti” (piante che crescono su altre piante), che conferiscono loro un colore bianco rosato.
All’incirca a metà agosto, le foglie vecchie muoiono e si staccano dalla pianta grazie anche alla turbolenza provocata dal forte moto ondoso delle mareggiate che preannunciano la stagione invernale. Le foglie secche, dunque, trasportate dalle onde, raggiungono le coste in quantità più o meno grandi.
Questo, in sintesi, è il ciclo produttivo della Posidonia oceanica, fortemente influente sull’ecosistema naturale anche in ragione di una forte resa produttiva: si pensi che ogni anno un metro quadrato di Posidonia oceanica, che conta dalle quattromila alle ottomila foglie (circa mille ciuffi), produce fino a 3 kg di tessuto fogliare (peso secco) e 100 grammi di tessuto di rizoma. Con un facile calcolo, si evince che un ettaro di prateria di posidonia produce 31 tonnellate di questo materiale. Trattandosi di una pianta verde, in grado di fotosintetizzare, pensate quanto ingente sia il suo apporto come quantità di ossigeno! Ma, oltre a essere un polmone del Mediterraneo, la posidonia è anche un enorme magazzino di energia sotto forma di composti chimici. Questa energia, oltre a concorrere alla vita e allo sviluppo della stessa posidonia e della flora epifita, è determinante anche per la fauna che abitualmente vive tra la posidonia e per tutto l’habitat esterno, dato che la produzione di energia è talmente grande da oltrepassare i confini della prateria stessa e “foraggiare” l’intero ecosistema.
Forse, i non addetti ai lavori non immaginavano quanto importante sia la presenza della posidonia nel nostro mare, un vero “miracolo della natura”, che, oltre a questi “benefici nascosti”, palesi solo allo studioso, ne dà anche altri, evidentissimi a tutti perché decisamente macroscopici. Ci riferiamo, in particolare, all’azione di protezione delle coste dall’erosione, che avviene sia grazie all’attrito dell’acqua sulla prateria di posidonia, con conseguente perdita di energia del moto ondoso (sono in particolare le matte a frenare la forza delle onde e farle giungere a riva ormai deboli), sia grazie ai terrazzamenti di masse di foglie morte sulla battigia, che formano vere e proprie barriere contro il moto ondoso.
Come bianche scogliere
Nei primi giorni di un novembre ormai lontano, mi trovavo lungo la costa di Santa Maria di Castellabate (Salerno) con una équipe della facoltà di scienze dell’Università di Napoli “Federico II”. Durante un’escursione con una bella barca della società Nausicaa, governata dal bravo Granfranco Pollaro, abbiamo avvistato, dal largo, una sorta di bianca scogliera lungo la linea di costa, di cui sia il colore sia le forme apparivano certamente singolari.
Mano a mano che ci avvicinavamo, la costa e la sua “scogliera” ci sembravano sempre più strane, fino a che ci siamo resi conto che non si trattava di scogli, bensì di una quantità talmente grande di foglie morte di posidonia, da formare una sorta di contrafforte che si sollevava di un paio di metri buoni sopra la superficie del mare. Siamo sbarcati e abbiamo osservato da vicino il fenomeno: la parte immersa di questa massa vegetale si era compattata ed era diventata dura e tenace, tant’è che difficilmente si riusciva a bucare con la punta di un bastone. Poi, procedendo verso gli strati più alti, la massa diventava più morbida e ci dava la sensazione di camminare sopra un soffice tappeto. In tanti anni di mare non mi era mai accaduto di osservare una cosa del genere: una massa di foglie morte di posidonia “organizzate” in maniera perfetta per la protezione del litorale dall’erosione del moto ondoso.
In seguito, avremmo visto che lungo la costa di Santa Maria di Castellabate e Agropoli ci sono diversi punti dove si può osservare lo stesso fenomeno.
Quando la posidonia scompare
Che cosa accade a una zona di mare quando la posidonia scompare? Ciò, ovviamente, avviene a causa dell’inquinamento e della diminuita trasparenza delle acque, che impedisce alla luce del sole di raggiungere efficacemente il fondo e innescare il processo di fotosintesi clorofilliana nella pianta.
A una serie di conseguenze primarie ne seguono tante altre, secondarie solo in ordine di tempo, perché certamente molto influenti sull’ambiente in generale.
Le conseguenze immediate, dunque, sono: diminuzione di energia sotto forma di composti chimici; diminuzione della produzione di ossigeno (durante la fotosintesi, un metro quadrato di posidonia normalmente produce fino a 1500 ml di ossigeno all’ora); annullamento del fenomeno di protezione delle coste dall’erosione. A tal proposito, si è osservato che “quando una prateria di posidonia scompare, il litorale interessato entra in rapida erosione” (Blanc, 1974). Esprimendo questo concetto in numeri, “… si è calcolato che alla distruzione di un metro di spessore della matte su di un fronte sufficientemente esteso, corrisponde un arretramento della spiaggia di almeno 20 metri. Le conseguenze sul paesaggio, sulle opere e, più in generale, sull’economia delle zone interessate sono talmente evidenti da non necessitare alcun ulteriore commento.”
Il regno della vita nascosta
Grazie al fatto di essere un fortissimo produttore di energia e costituendo la prateria di posidonia un ambiente “inestricabile”, dov’è facile nascondersi, una ricchissima varietà di fauna abitualmente trova riparo nella “giungla” di foglie verdi e fra i rizomi.
Il momento migliore per andare a scoprire questa nicchia di vita nascosta è indubbiamente la notte, quando la necessità di cacciare obbliga molti pesci, molluschi e crostacei a uscire allo scoperto.
La grande distesa di verdi foglie a volte viene considerata come un’estrema ratio, per quanto riguarda la necessità di trovare un rifugio immediato, anche da parte di quei pesci che abitualmente fanno vita pelagica e mai si sognerebbero di trascorrere del tempo in una tana, ma nel caso in cui si venga braccati da un famelico predatore, un “tuffo” nella posidonia qualunque pesce lo effettua senza pensarci troppo, anche se le sue abitudini non sono assolutamente “tanaiole”.
Una volta, a Malta, dove la posidonia la fa da padrone, vidi un branco di cefaletti piombare in verticale su un rigoglioso posidonieto, poiché erano braccati da un dentice enorme. A un certo punto, forse attratto dalla luce della mia lampada, questo venne quasi a “sedersi” sulle foglie, proprio al centro della rosa luminosa. Poche volte ho visto, sott’acqua, uno spettacolo così superbo e bello come quel dentice dai metallici colori sospeso sulla posidonia: sembrava che fosse tenuto su dai fili di un puparo.
L’esperienza di un’immersione sulla posidonia deve essere vissuta da ogni subacqueo che ama cercare sott’acqua qualcosa d’altro che non sia solo il piacere dell’immersione in sé, ma che usi l’autorespiratore come un mezzo per andare a scoprire i segreti e la scienza della vita. Non lasciatevi ingannare da chi parla della posidonia come di un mondo monocromatico e avaro. Al contrario, il regno della posidonia è ricco di elementi di interesse: d’accordo, è tutto un po’ misterioso e nascosto, ma le cose da cercare, magari anche con qualche difficoltà, sono anche quelle che, infine, riescono maggiormente ad appagarci e a darci le migliori soddisfazioni.
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Dott. Adriano Madonna, Biologo Marino, Laboratorio di Endocrinologia Comparata, Università degli Studi di Napoli Federico II