Ambiente e Natura

Ponza a Zannone (e a Ponza), tra i serpenti nascosti nell’erba

di Maria Giovanna Luini

l'isola di Zannone

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Scende e guarda. La scala di pietra è bagnata dalle lingue dell’acqua del mare che rapisce e si ritira, portando via una polvere scura e qualche pezzo piccolo di scheggia che affonda a spirale senza galleggiare.

Hai visto? Un faro anche qui.

Sorride, cerca di tirarsi fuori dall’empasse scivoloso che la fa cadere indietro, appoggia i piedi e trova appigli con le mani, si piega in due per non rischiare troppo. Un faro, certo che è un faro. Ogni isola che le venga in mente ha un faro: magari piccolo, solo per il porto, ma ce l’ha. Come si vivrebbe, senza un faro? Ormai chiunque la conosca un po’ e si dia la pena di leggere i suoi libri le parla di fari e isole, oppure, se è fortunata, la fa salire in barca e la accompagna a vedere una nuova meraviglia.

Vieni, in meno di un’ora ci siamo. Ti mostro un faro su un’isola deserta, facciamo il bagno, una passeggiata e ritorniamo.

Ha detto Giulio sorridendo dalla prua di una barca veloce.

Veramente sono venuta qui per stare un po’ sola, e camminare.

Ha tentato di spiegargli, le gambe ritorte in una posa strana e imbarazzata sulla banchina del porto turistico.

Molto meglio fare un giro in barca. Forza, sono da solo anche io. Si parte!

Non si è fatta pregare granché, ha preso le scarpe in mano, è salita caracollando attraverso il telescopico e si è seduta a poppa mentre i motori venivano avviati e le cime tirate a terra. Ha dato una mano con i parabordi, li ha sistemati sui fianchi e legati con i nodi che lui le ha insegnato.

Non hanno parlato, durante la navigazione. Giulio ha lasciato in porto il marinaio e lei l’ha notato con un’inquietudine lieve: si fida del comandante Giulio per portare la barca, non è quello il problema, ma il marinaio abbandonato a terra può avere il significato di una solitudine vera e completa, che per vedere un faro è decisamente superflua. “Vuole che restiamo soli”, la constatazione non è nuova: sa che Giulio è un po’ innamorato di lei, si aspetta sempre che tenti di portarla a letto e, in fondo, quando non ha un compagno l’idea non le dispiace. Ma Giulio non ci arriva mai, alla proposta che un paio di volte anche lei avrebbe gradito, e corteggiarlo no, sarebbe troppo. Le piace aspettarlo e sorridergli, lasciarsi sfiorare quando lo incontra più audace, ma per il resto non riesce, fa fatica, non sa più a trovare l’iniziativa, l’energia per fare l’amore. Insomma, trova quell’energia quando la vuole. Adesso che sono arrivati, e per tutto il tempo non hanno detto una parola perché Giulio pilotava e lei restava seduta a poppa, si rende conto che l’isola deserta, e il faro, e l’acqua che la fa scivolare e piegare in due per non cadere avranno un prezzo. Il prezzo che Giulio vorrà dare, e lei vorrà concedere.

Faro di Zannone

Allora, ti piace? Lassù c’è la villa, e qualche animale. Tengono gli animali, vanno a nutrirli e curarli. Sali dal sentiero, fa un caldo pazzesco ma quando sei in cima la vista merita.
Vieni anche tu?
No, tesoro, non posso. Non mi fido a abbandonare la barca ancorata qui, non ho il marinaio.

“L’hai voluto lasciare a terra”, pensa e non dice. Tesoro, la chiama tesoro. Un paio di volte gli è scappato anche “amore”. Non ha mai raccolto, l’ha ascoltato senza sorridere e ha continuato i discorsi fingendo di non avere notato. Le piace, Giulio, è il più simpatico tra gli uomini che frequenta e legge qualche libro; in più, sa capirla e scruta in lei con leggerezza, indovina i trucchi della personalità complessa che spera di nascondere. Però. Ha troppe donne, e la passione con lei si alza e si spegne in fretta. Sono stati gli appuntamenti mancati, e le parole spese a vuoto. Qualcosa evapora e non sanno fermare il tempo.
Va bene, vado  da sola.
Gli volta le spalle e inizia a salire. C’è erba alta e secca che la mangia le gambe, non pensa ai serpenti perché ne ha paura: sa che ci sono, in questa e nelle isole vicine i serpenti vivono e si nascondono sotto le pietre, strisciano nell’erba nell’attesa degli sciocchi come lei, che in costume e piedi nudi decidano di salire a guardare una villa abbandonata e qualche asino pigro e di malumore nutrito da mani che sbarcano e ripartono subito.

asino sull'isola di Zannone

Cammina, i muscoli delle gambe si contraggono e formano grumi lisci che attraverso la pelle può vedere. Il sole batte sulla nuca china, scalda i capelli corti e le spalle che, è sicura, domani saranno rosse come pomodoro e bruceranno a toccarle. Sale, non si ferma se il fiato si accorcia: vede i muri della villa e sogna, immagina di avere i soldi per rimetterla in piedi e comprare tutta l’isola, o almeno affittarla per rinchiudersi e non parlare più.

Chissà perché non vuole parlare. Non ha senso. Da bambina era silenziosa e schiva, quasi sempre zitta, adesso scrive e fa la PR. Fa fatica, ma non lo dice. Osserva gli amici timidi, li prende in giro ma un po’ li invidia. Sono liberi di essere come era anche lei, prima di lasciarsi convincere a cambiare. Vorrebbe quell’isola (la conosceva, non ha voluto dirlo a Giulio anche se è sicura che lo sappia, visto che l’altra isola, la sua, quella del faro-rifugio, è a poche miglia) per nascondersi e non essere costretta a parlare, parlare, parlare. E per avere una scusa per il telefono spento. Perché qui non c’è campo, è lecito non essere rintracciati. Ha provato a dirlo tante volte a tanta gente: detesta il telefono. Vorrebbe vivere a sms, messaggi brevi che possono dire tutto. Basta volerlo. Lo squillo del telefono la irrita, la mette di cattivo umore, eppure la gente che la ascolta quando dice queste cose ride e non cambia, continua a chiamarla ugualmente senza ricorrere agli sms. Non c’è verso, non può farlo capire. Ecco, la villa e l’isola la aiuterebbero a tacere, finalmente, e ripararsi dall’invadenza molle e spinosa di chi non sa fare altro che parlare.
Una scrittrice solitaria su un’isola deserta, che fascino.
Ha detto Giulio quando ha gettato l’ancora e ha controllato che prendesse sul fondo. L’ha ascoltato con un mezzo sorriso, ha avuto voglia di baciarlo. Ma niente, non si è mosso. Come al ristorante, in un’altra vita e un altro luogo: brevi minuti insieme in bagno senza gli altri intorno e niente, nemmeno le labbra sulle labbra per un istante, l’abbozzo di una relazione morta dall’inizio scivolato sull’immobilità che lo lega ogni volta che invece lei vorrebbe. Vorrebbe che esistesse qualcosa, e ci fosse emozione. Comunque ha ragione, il fascino della scrittrice solitaria sull’isola deserta. Le ore di scrittura vorace piena immemore con il mare davanti e in ogni dove, e le tempeste da affrontare sola con il vento che tira giù le pietre. Non è la stessa isola, non c’è lo stesso faro: il cuore abita al Faro della Guardia, ma in fondo potrebbe vivere anche qui, negli sterpi dove i serpenti si nascondono pronti a lambirle le caviglie nude e nel caldo opprimente del sole che batte sull’acqua sugli scogli sui muri nudi della villa che fu di signori adesso morti. Morti, per la passione.

Si sporge, vede solo la prua della barca di Giulio. E’ arrivata in cima. Il respiro è fermo e non fa male. Un momento di vita adesso, con il mare intorno e la vista, questa, questa che non so descrivere, cancella il senso di ogni altro istante.

il faro di Zannone

Vi racconto la solitudine e l’assenza di parole, l’isola segreta del cammino afoso e il ricordo di altri tempi, altra gioventù, fulminata da amori storti e gelosia. Vedo Giulio, sapete, nuota lontano nelle onde piccole, e mi aspetta. Fugge e rincorre, in una danza che non avvicinerà mai i nostri corpi vogliosi ma esitanti, pigri di una flemma che non riusciamo a spiegare. Resterò qui sola, e non penserò al dopo. Gli animali mi osservano e fanno un po’ paura, non capisco i versi dalle loro labbra ma mi abituerei, sono certa. Potrei vivere qui e respirare il silenzio con la scrittura che esce dalle dita.

Giulio. Tra un po’ tenterà di chiamarmi con la trasmittente che ho infilato nel costume. Gracchierà di ritornare, perché ha voglia di me. E non saprà toccarmi. Giulio, che vorrei chiamare amore. Perché lo merita più di tanti altri che, nel tempo, mi hanno presa.

Ritornerò giù al faro, con i piedi graffiati e la paura dei serpenti. Prenderò il telefono cellulare e controllerò se qualcuno ha chiamato, e mi verrà il nervoso. Rimpiangerò questa isola e il suo mare, e quell’altra isola, e il faro della Guardia, negli inverni freddi di Milano grigia, nelle mattine molli e lucide con il gelo sui lunotti delle auto. E penserò a questi luoghi d’anima. Dedicherò loro succhi spremuti dalle dita.

A Ponza, e a Zannone. Con l’unico amore assoluto.

 

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