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Risposta ai commenti (1 e 2) di Rosanna Conte (parte prima)di Sandro Romano . Riferimento ai primi due commenti di Rosanna Conte : leggi qui e qui . Premessa. Innanzitutto devo necessariamente chiarire che avevo dato per scontato molti argomenti non per superficialità o malafede, ma solo per non appesantire troppo un discorso che, in buona parte, viene letto da “non addetti ai lavori”. A mio avviso è quest’ultima condizione alla base delle “obiezioni” di Rosanna che appaiono come delle vere e proprie “bacchettate” sferrate da parte di chi ha appreso ottimamente la lezione, ma da libri non imparziali o, comunque, non aggiornati e rimane perplessa rispetto a tutto quanto non corrisponde al suo sapere. L’Illuminismo. Rosanna ha osservato: “Le idee illuministe del ‘700 si diffondono nei salotti aristocratici e fra i borghesi, non erano certamente discusse dai “movimenti popolari più radicali”. Il popolo, allora, non sapeva né leggere né scrivere e, sottomesso alla religiosità della chiesa, non avrebbe mai pensato di abbattere la monarchia perchè non conosceva altra modalità di governo (…)”. Innanzitutto va detto che, in genere, ogni pensiero politico, rivoluzionario o reazionario e conservatore che sia, ha comunque avuto sempre una gestazione in ambienti culturali ristretti e, quasi sempre, diversi da dove, poi, si è concretamente realizzato. Nello specifico, uno tra i più vistosi e travolgenti esempi degli effetti dell’Illuminismo è la Rivoluzione Francese. Tale evento, anche se nella parte di massima maturazione ebbe un’accelerazione eccezionale, fu la realizzazione concreta di una concezione della società e della politica che arrivava da molto lontano (1). È in questo contesto che si innesta la parte illuminista del Terzo stato, quel movimento popolare radicale che generò la Rivoluzione. Esso rappresentava le frange economicamente più basse della società del tempo che, finalmente svincolate grazie all’uso della ragione dai secolari condizionamenti religiosi, intendevano liberarsi anche dai soffocanti vincoli politici degli assolutismi. Le idee illuministe, dagli iniziali dibattiti filosofici e teorici dei salotti, erano scese nelle strade, in mezzo al popolo, che se ne era appropriato cogliendone l’essenza rivoluzionaria. Quando Carlo di Borbone salì al trono di Napoli, circa 50 anni prima degli eventi rivoluzionari francesi, le correnti più radicali erano già nate (e di “moda”) e si propagavano a macchia di leopardo in tutta l’Europa. In effetti non ci voleva molto per capire a cosa prima o poi avrebbero portato quei movimenti. Più per questo timore che per vere e proprie idee “progressiste ed illuministe” che Carlo decise di fondare il suo Stato accattivandosi l’elemento futuro di maggior criticità, instabilità e potenza: il popolo. A tale inedita conclusione arrivò per primo nel ’900 lo storico ed economista Francesco Saverio Nitti che scriveva: “I Borboni temevano le classi medie e le avversavano; ma tenevano anche ad assicurare la maggiore prosperità al popolo. Nella loro concezione, gretta e quasi patriarcale, non si contentavano se non di contentare il popolo, senza guardare all’avvenire, senza aver vedute prospettive. Bisognava leggere le istruzioni agli intendenti delle province, ai commissari demaniali, agli agenti del fisco per sentire che la monarchia cercava basarsi sull’amore delle classi popolari. Il re stesso scriveva agl’intendenti di ascoltare chiunque del popolo; li ammoniva di non fidarsi delle persone più potenti li incitava a soddisfare con ogni amore i bisogni delle popolazioni” (3).
Francesco Saverio Nitti (1868-1953) Quanto afferma Nitti che, fra l’altro, fu anche primo ministro del Regno D’Italia di orientamento democratico (1919), è la sintesi del modo di governare antiliberale (…senza guardare all’avvenire, senza aver vedute prospettive) e, quindi, anticapitalista dei Borbone, il cui solo interesse era il popolo. Poteri totalitari e totalitarismo. Cattolicesimo Sociale Nella mia relazione, parlando di cattolicesimo sociale, non intendevo riferirmi a quella ben definita azione politica e sociale che caratterizzò il periodo della Restaurazione, messa in atto da organizzazioni che prestarono la loro assistenza volontaria ai substrati sociali anche contro il voler del papato, ma di quella corrente filosofica che si ispirava ideologicamente alla parte sociale e politica del Vangelo di cui il primo a tracciare la dottrina, attraverso la sua “Utopia”, fu Thomas More nel 1516. Nella storia abbiamo numerosi casi di applicazione nel sociale del Vangelo già prima dell’Ottocento. Anche in questo caso si è di fronte ad un cattolicesimo sociale molto pronunciato che non si può, però, definire tale solo perché Zwingli apparteneva alla Chiesa Riformata. Ecco, i Borbone, al di fuori di fuori di posizioni ed imposizioni della Chiesa cattolica del tempo, applicarono alla lettera la parte sociale del Vangelo in una sorta di cristianesimo sociale che, per comodità di dialogo, vicinanza di confessione e chiari riferimenti a Thomas More, è stato chiamato “cattolicesimo sociale”.
(1) – Ago R. e Vidotto V., Storia Moderna, Editori Laterza, 2010; pag. 225 – 226 (2) – Ago R. e Vidotto V., Storia Moderna, Edizioni Laterza, 2010; pag. 282 (3) – F.S. Nitti, Nord e Sud, Calice Editore, Rionero in Vulture, 1983, pp. 21 – 22 . [Parte prima – Continua] Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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