





|
|||
La Befana vien di notte…. La Befana vien di notte / con le scarpe tutte rotte… La notte della Befana, la più bella per noi, alla quale pensavamo tutto l’anno perché era la notte nella quale ricevevamo un giocattolino, una caramellina in più e tanti palloncini colorati coi quali i nostri genitori addobbavano la cucina; lì c’era la cappa alla quale appendevamo le calze con annesso bigliettino di richieste e speranze. Tornando alla sera della Befana, noi ragazzini eravamo in apprensione per quella chiusura in quanto ci domandavamo da dove poteva entrare la cara vecchina, tanto sospirata. Ma i genitori ci dicevano: “Stanotte terremo la porta della cucina semiaperta e la Befana entrerà da lì”. Cosi andavamo a letto anzitempo, (più o meno) rassicurati. Apro una parentesi. In quei tempi ad Olbia non esistevano negozi di giocattoli solamente durante le festività natalizie si allestivano delle bancarelle in uno spiazzo davanti alla casa dove abitavamo; una piazza Navona in miniatura… La mattina dell’Epifania non vi dico la gioia di noi ragazzini nel vedere la nostra calza piena di caramelle, qualche cioccolatino e pure – devo dire – un pezzettino di carbone che, ci spiegavano, era la punizione per qualche marachella compiuta durante l’anno. Cara Befana, ormai in questi tempi sei quasi dimenticata, ma ti voglio bene e voglio ringraziarti per la tanta gioia che ci hai procurato. Buona Befana a tutti!
Immagine di copertina: La Befana 2011 al Circolo Anziani di S. Antioco 1 commento per La Befana vien di notte…Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
|||
Ponza Racconta © 2021 - Tutti i diritti riservati - Realizzato da Antonio Capone %d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: |
Il giocattolo di Salvatore
Ho ripensato al pezzo che ci ha inviato Salvatore, e al suo trenino di latta, scorrendo gli articoli de “La Repubblica” il giorno della Befana.
Scrive Antono Gnoli a pag. 25, in un breve riquadro:
“Il gioco della memoria”
“Come impronta che non si cancella portiamo scritta in noi la nostalgia del giocattolo. Nell’infanzia, l’oggetto agognato, non aveva altra funzione che non fosse quella di rompere l’opacità quotidiana e aprirci al sogno. La fantasia rendeva luminescenti il soldatino, la trottola, il cavalluccio. Oggi la passione per il gioco brilla di una luce diversa: ipnotica. A volte servile. Più spesso nevrotica. Prepara i nativi digitali a un futuro più che da immaginare già immaginato.
Ci fu un tempo in cui ogni giocattolo, per quanto umile fosse, implicava una relazione mimetica. L’oggetto, inerte, nelle mani del bambino, diventava vita. L’immedesimazione era l’occasione per costruire un mondo a propria immagine e somiglianza.
Come capì perfettamente Walter Benjamin, il giocattolo era la dimensione più prossima all’arte. Fu Nietzsche ad accostare il gioco dell’artista a quello del fanciullo. Entrambi creano e distruggono in piena innocenza, fuori dal tempo storico o produttivo.
Ecco perché quando ancora ci imbattiamo in un vecchio giocattolo (un trenino di latta, un orso di pezza, un teatrino impolverato), ci accade di pensare all’irripetibilità di quei momenti. A ciò che siamo stati, nell’incanto di un’infanzia che avremmo desiderato prolungare all’infinito”.