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In risposta a Silverio Lamonica

di Alessandro Romano
Coloni censuari 1861 [1]

 .

Premessa.

E’ sempre un piacere discutere di storia con un personaggio del calibro dell’amico Silverio, e non nascondo di aver utilizzato più volte i suoi lavori quali validi punti di partenza per approfondimenti e ricerche. Ancora ricordo un suo articolo pubblicato anni fa su “Vivere Ponza” dal titolo “Burocrazia d’altri tempi”, riferita a quella borbonica.

Forte di questa sincera stima, è mio desiderio replicare su alcuni punti della recente sua nota dal titolo “L’esperimento borbonico a Ponza e Ventotene. Una goccia nel mare” (leggi qui [2]), riferita al mio elaborato dal titolo “L’esperimento di Ponza e Ventotene nella riforma socio-amministrativa dei Borbone”, pubblicata in tre tempi [ricercare – Romano Alessandro – nell’indice per Autore nell’apposito riquadro del Frontespizio -NdR].

Innanzitutto, noi appassionati “rivisitatori” di una parte della storia italiana tra le più mistificate e manipolate al mondo, quella risorgimentale, abbiamo quale primo impegno mettere al loro posto i nomi.

Carlo di Borbone diventò “terzo” solo quando, lasciato il trono del Regno di Napoli (1759) per sostituire il genitore morto (Filippo V), assunse la numerazione dinastica, appunto, di “terzo” quale re di Spagna. Pertanto, se si vuole parlare del primo re di Napoli dell’era borbonica, occorre citare Carlo di Borbone, omettendo la numerazione. Sembra un inutile cavillo, ma, nella storia, oltre che nel Diritto dinastico ed internazionale, la questione ha avuto un certo rilievo in merito alla legittimazione del regno meridionale. Infatti, come si evince anche dalla documentazione custodita presso gli archivi del Comune di Napoli, la nota Piazza Carlo III non è dedicata a Carlo in quanto sovrano napoletano, ma quale re di Spagna. Come se l’essere stato re di uno Stato indipendente non liberale fosse stato un delitto o un disonore. Diceva il buon Prof. Riccardo Pazzaglia: “Pur di non scrivere Borbone su una lapide (Carlo di Borbone) se non avessero avuto il 3° spagnolo questi asini sarebbero stati capace di mettere lo 00 del cesso”.

Una seconda puntualizzazione è relativa alla casata, al cognome. Come si sa, i cognomi non possono essere declinati, pertanto scrivere Borboni, riferendosi ai Borbone-Napoli, non è esatto. Il cognome Romano non corrisponde alla stessa famiglia del cognome Romani. Un errore questo che, fino a “ieri”, purtroppo anche autorevoli firme hanno grossolanamente commesso, probabilmente per effetto “involontario” del propagarsi di antiche inesattezze nella catena delle citazioni.

 

I Savoia

Per una mia comodità di esposizione, inizio dalla fine della puntualizzazione di Silverio con il parlare dei Savoia.

Alla base dell’equivoco, malevolmente costruito dagli storiografi di regime (di allora come di adesso) ed in buona fede recepito e diffuso da studiosi intellettualmente onesti come Silverio, vi è la confusione tra “monarchia costituzionale pura” e “monarchia costituzionale parlamentare”. Nella prima, il parlamento ed il governo rispondono solo ed esclusivamente al re che ne determina i ministri, i primi ministri e ne decide la durata e lo scioglimento (Vittorio Emanuele II lo sciolse e lo ricompose svariate volte fin quando non approvarono quanto lui imponeva. Molto peggio di un monarca assoluto!).
Nella seconda, il governo e la monarchia rispondono solo al parlamento. Per avere un’idea più precisa del tanto decantato governo costituzionale in questione, cito il Prof. Marco Meriggi, docente dell’Università Federico II di Napoli: “La cosa non deve stupire, se solo si pensa che lo Statuto (la carta costituzionale che il Regno d’Italia aveva ereditato da quello di Sardegna), era ben lungi dal disegnare una forma di governo fondata sulla centralità del parlamento” [L’Europa dall’Otto al Novecento, Carocci Editore, pag. 60].

Insomma quel sistema costituzionale era peggiore di un qualsiasi dispotismo settecentesco “visto che il Re era sopra il parlamento e non doveva dar conto nemmeno ad un dio in cui non credeva” [Giacinto De Sivo, Storia delle Due Sicilie].
Se, poi, si considera che la monarchia costituzionale dei Savoia, soprattutto nella fase iniziale, aveva un parlamento (di notabili) eletto non a suffragio universale (censorio) e che, quindi, raccoglieva un elettorato dell’appena il 2% della popolazione [A. Wandruszka, Le riforme elettorali e il loro esito, pag. 103 – 107], si capisce bene di che tipo di stato si sta parlando e perché Antonio Gramsci scrisse in Ordine Nuovo (1920): “Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d’infamare col marchio di briganti”.

Gramsci Antonio Foto. Originale [3]

Antonio Gramsci (1891 – 1937)

Come si capisce anche perché Carlo Pisacane che, ben sappiamo, borbonico non era, nel suo testamento politico dichiarò: “Io credo pure che il regime costituzionale del Piemonte è più nocivo all’Italia di quello che lo sia la tirannia di Ferdinando II”.

Carlo Pisacane. Originale [4]

Carlo Pisacane (1818-1857)

E questo giusto per restare tra i personaggi da noi citati nell’argomento ponzese.
Quindi, caro Silverio, nel confronto con i Savoia non è difficile avere qualche simpatia per il Borbone.


Un breve riferimento alla Costituzione
dei Borbone cui accenna Silverio.

Come già ho avuto modo di spiegare nell’elaborato sulla colonizzazione, la costituzione dei Borbone era, in pratica, la parte politico-sociale del Vangelo.
Ogni legge dello Stato non poteva entrare in conflitto con quanto stabilito dal Nuovo Testamento: proprio come per una costituzione.
Di esempi ve ne sono tantissimi, basta scorrere anche il solo elenco delle leggi-primati per rendersene conto: la prima legge al mondo contro la tortura per usi giudiziari (…. Chi è senza peccato scagli la prima pietra) – Prammatica del 14 marzo 1738; la prima legge mondiale sulla raccolta differenziata (ferro, vetro e legno) (..non disperderai i doni di Dio) – Legge del 3.5.1832; la prima legge mondiale sull’immigrazione (…accoglierai lo straniero come tuo fratello) – Legge del 17.12.1817; prima legge contro “la tratta dei negri” e la riduzione in schiavitù (…non sottometterai tuo fratello ma lo vestirai e lo sfamerai) – Legge del 14.10.1839, ecc. ecc…

Sta di fatto che per quel po’ che la Costituzione emanata a Napoli dai Borbone ebbe effetto, le leggi liberali scaturite da essa furono in peius per le classi meno abbienti, se confrontate alle leggi formali emesse (prima) in assenza di costituzione, e di maggior “rilievo”, invece, per la borghesia. Come volevasi dimostrare.

 

Citazioni bibliografiche.

Va necessariamente sottolineato che le citazioni proposte da Silverio fanno riferimento a studi datati e, cioè, a considerazioni ricavate dalla consultazione di “vecchi” testi (1949), oppure a pubblicazioni storiche non imparziali (storiografia giolittiana e dell’era Crispi) che, a parte tutto, non hanno potuto tener conto, perché chiaramente antecedenti, a quanto solo da 20 anni a questa parte sta emergendo dagli archivi. Tra l’altro, va detto che gli “abusi feudali” riportati dalla “Treccani” sono altra cosa rispetto alla riforma demaniale.
La maggior parte degli abusi feudali erano relativi alla errata corrispondenza tra l’effettiva estensione del territorio in concessione ed il relativo pagamento annuo al Governo.
Un altro abuso molto diffuso consisteva nel non pagare la gravosa “fondiaria” prevista per i terreni di esclusiva proprietà, “nascondendoli” tra i beni feudali.
Il grosso del problema si esaurì da solo per due ragioni. La prima per la progressiva assegnazione dei demani al popolo, la seconda per la graduale realizzazione dei catasti onciari (quasi nella totalità descrittivi) che definirono l’esatta estensione e la destinazione colturale dei terreni agricoli censiti.

A dare il colpo di grazia alle ultime sacche della grande feudalità, ci pensarono i francesi tra il 1806 ed il 1816. Peccato che tra i terreni demaniali messi all’asta, oltre ai grossi feudi ancora esistenti, finirono anche i terreni concessi in enfiteusi dai Borbone ai singoli coloni. Nacque in questo contesto il latifondo, generando anche nel Regno di Napoli la classe sociale appartenente all’alta borghesia agraria fino a quel momento esclusa dalla retrograda società meridionale: il latifondista. Cosa interessante è notare che i nuovi latifondisti erano propri i baroni, gli antichi titolari dei feudi. In pratica, a rimetterci, come al solito, fu ancora una volta il contadino che, perduto l’uso della terra demaniale acquistata dal barone latifondista ex feudatario, si trovò costretto a lavorare per lui vendendo la forza delle proprie braccia e generando una nuova classe sociale anche essa fino allora inesistente nel Sud continentale: il proletariato agrario.  

 

L’esperimento borbonico una goccia nel mare (?)

Oltre alle leggi istitutive con i relativi correttivi che hanno via via aggiustato il tiro (tre editti) per la graduale “censuazione” (affitto) dei beni demaniali (i feudi), è impossibile citare in questa sede l’enorme mole di documenti (circa 12.000 nella maggior parte manoscritti) che si trova disseminata nei vari archivi. Pertanto, rimandando chi volesse approfondire l’argomento ai documenti depositati negli archivi citati in coda al mio elaborato sulla colonizzazione, in questa sede mi limiterò a riportare solo alcuni documenti che comprovano la diffusione della riforma su quasi tutto il Regno.

Al fine di rendere più agevole la comprensione dell’argomento, ho prodotto anche una minima documentazione grafica di un lavoro di indagine statistica sviluppata da un’equipe del Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto di Studi sull’Economia del Mezzogiorno nell’Età Moderna. Si tratta di due cartine statistiche dove sono riportati i dati a campione inerenti il numero di richieste, le modifiche e le integrazioni per comune relativi all’uso della terra demaniale appena dopo l’emanazione dell’Editto di assegnazione, nonché l’opposizione giudiziaria promossa da nove (9) feudatari (questa sì una goccia nel mare) contro detto Editto di assegnazione dei feudi ai contadini.

 

Fonti coeve.

Visti i primi risultati positivi dell’esperimento svolto in Terra di Lavoro (la provincia a cui appartenevano Ponza e Ventotene), il re ordina che la consegna dei beni demaniali tramite censuazione ai contadini avvenga anche in tutte le restanti province del Regno. Dispaccio del 17 luglio 1787 (Secondo Editto di assegnazione) a firma del Segretario Ferdinando Corradini, diretto al Luogotenente della Sommaria, Cavalcanti:  “Sa il re che in questa provincia di Terra di Lavoro, ove la coltivazione dei terreni demaniali è giunta al più esteso grado, pochissimo o quasi niente è rimasto di territorio demaniale, locché ha prodotto, che essendo sicuri i coloni, di non essere disturbati nelle loro industrie da veruno, che vi rappresentasse diritto han portata l’agricoltura a tali territori a quel felice segno, che ora vi si scorge.

Che la Camera della Sommaria, facendo le più accurate riflessioni sopra tal importante materia, venga ed esamini se fosse espediente di estendersi immediatamente per le altre provincie del Regno quel sistema medesimo, che con tanta utilità si è adottato in Terra di Lavoro” (ASN RCS Disp., fasc. 444, f.gli 274-275).

Demanio censuazione [5]
Rilevazione al 1788

 A questo punto mi piace citare un autore coevo ai fatti, di stampo liberale e di estrazione borghese, estremamente critico del sistema popolare messo in atto dai Borbone, che, suo malgrado, dimostra come il progetto di censuazione demaniale (enfiteusi) sia stato immediatamente ed abbondantemente recepito ed applicato a pochi anni dal primo Editto: “(Anno 1792). Nel Regno di Napoli invece di vaste tenute feudali non si incontrano per lo più che demani ed Università (comuni). Questo sistema, quantunque meno cattivo del feudale, non è però quello della proprietà (privata ed esclusiva) che sarebbe perfetta. I contadini non hanno altro diritto sopra i terreni che coltivano se non quello di coltivare, il quale si perde subito che non si usa per un dato tempo, che varia secondo le leggi municipali di ciascun paese e che generalmente non permette di tenerli chiusi (recintati) [G. M. Galanti, Descrizione storica e geografica, tomo III].

Al fine di evitare la concentrazione nelle mani di pochi dei terreni demaniali, cosa che accadde puntualmente con l’arrivo dei francesi prima e dei piemontesi poi, il re promosse attraverso la ‘Sommaria’ il seguente dispaccio:

Che a niuno sia lecito sotto qualunque colore o pretesto vendere donare, o in qualsivoglia modo distrarre la porzione del terreno a lui una volta assegnata, poiché con questo potrebbe, col tempo, cadere l’intiero demanio in mano di un solo potente contro la volontà ed intenzione della M.V. che ha inteso dare con la censuazione predetta ad ogni cittadino un perpetuo soccorso da vivere e non già il vitto per un anno” [ASN, RCS Proc. Pand. II, fasc. 426, fsc.lo 11.458].

Venne fatta una rigorosa distinzione tra proprietari, affittuari (di proprietà privata) e censuari (assegnatari di beni demaniali) e ciò per assegnare i beni demaniali a chi effettivamente ne avesse bisogno (nullatenenti): “Gli affittuari sono poche persone per di più ricche del proprio. Dunque volendosi preferire tali affittatori, i demaniali e molte Università ricadrebbero in poche mani e dei più potenti. Ad oggetto dunque che le popolazioni del Regno possano sentire vantaggio di tali censuazioni non deve darsi alcuna preferenza agli affittatori, ma a tutti li cittadini comprendendo fra essi i non possidenti ai quali per giustizia non meno che per economia si deve assegnare nella egual proporzione che si dà a tutti li altri cittadini”. ( ASN, RCS, Cons, aprile 1790, fsc. 441).

Al fine di lasciare il patrimonio demaniale in possesso dei comuni (Università): Che morendo qualcuno senza figli maschi o con figli che vivono emancipati e che abbiano avuto la di loro tangente separata in tal caso la quota di costui s’intende ipso tunc devoluta all’istessa Università col carico parimenti di assegnarla ad altro fuoco (capofamiglia), che si acquisirà” [ASN, RCS Proc. Pand. II, fasc. 426, fsc.lo 11.458].

Certamente ci furono sacche di “resistenza” baronali (vedi cartina), con contenziosi spesso strumentali che, in alcuni casi, finirono con il degenerare in vendette trasversali e lunghe faide.

Demanio censuazione opposizione Didasc. [6]

E’ chiaro che il Prof. Pedio, citato quale fonte da Silverio, per la sua pubblicazione non poteva aver tratto spunto da questi importantissimi documenti (oltre 12.000) la cui catalogazione d’archivio risulta essere stata conclusa nel 2000.

Quindi non una goccia nel mare. Tutt’altro. Tuttavia è da dire che diverso fu per la Sicilia.
Infatti il grave errore che commise Carlo di Borbone quando, dopo aver scacciato gli austriaci dalla parte continentale del Regno, si approntava a passare lo stretto di Messina per muover guerra ai principi siciliani, fu quello di accettare un patteggiamento con questi pur di evitare la risoluzione armata.
Questo accordo causò l’applicazione parziale e tardiva sul suolo siciliano della riforma feudale. In più generò una cospirazione interna da parte dell’alta aristocrazia siciliana e della borghesia agraria che si materializzò più volte e non solo in Sicilia, anche grazie all’appoggio segreto del Governo inglese disturbato dal sistema antiliberale napoletano. Non a caso Garibaldi sbarcò proprio in Sicilia, tallone d’Achille del Regno e, guarda caso, scortato da due navi da guerra inglesi: Intrepid e Argus.
Il motto: “Il tutto cambi affinché nulla cambi” – del famoso romanzo “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (manoscritto del 1957, edito postumo nel 1963) e quindi film omonimo di Luchino Visconti del 1963 – la dice lunga sulla questione demaniale e nobiliare siciliana.

  

I beni demaniali di Ponza.

Per quanto riguarda la partenza da Ponza degli isolani per sfuggire ai francesi del 1809, non fu, come accenna Silverio, limitata a poche persone. Senza scomodare la dettagliata (ed in alcuni punti pedissequa) relazione del Principe di Canosa, responsabile della resistenza borbonica antifrancese nelle isole, cito il Tricoli, che a pag. 257 della nota Monografia scrive: “ Bandita la ritirata, nel mezzodì fissato del 24 novembre 1809, suonò la generale ed imbarcarono le truppe, e materiali di guerra, il Governatore civile coi dipendenti, e tutti i funzionari, nonché la maggior parte degli abitanti….”.

Principe di Canosa [7]

Antonio Capece Minutolo, Principe di Canosa (1768 -1838)

L’acquisizione dei terreni abbandonati dai fuggitivi da parte di chi restò alla mercé dei francesi, non si deduce solo dalla comparazione dei beni in possesso delle famiglie prima (1734 – 1772) e dopo la parentesi francese (1816), ma si evince chiaramente dagli atti di acquisizione della proprietà per “estrazione ed incanto” conservati negli Archivi di Stato di Santa Maria Capua Vetere e qualcuno anche in quelli di Latina.
Invece, tutti gli atti depositati negli archivi comunali di Ponza andarono distrutti durante i noti eventi del giugno 1857.

 

Gli eroi liberali.

In merito ai personaggi citati da Silverio e da lui accreditati come “il fior fiore degli intellettuali del regno: da Settembrini a Carlo Poerio a Silvio Spaventa”, al di là di ogni buona ragione, di fatto essi “lavoravano” per uno stato monoclasse, quello dei notabili (i galantuomini di cui poi fu re galantuomo Vittorio Emanuele II), e non certo per quello pluriclasse di una democrazia a suffragio universale quale espressione diretta del popolo.

I Borbone difendendosi da costoro (tutti rigorosamente affiliati alla massoneria di rito scozzese) in pratica difendevano il popolo che, di lì a qualche anno, sarebbe finito nelle fauci di quella “dittatura feroce” che fu il Regno d’Italia, così efficacemente definita da Gramsci.
E quindi: guerre coloniali, razzismo di conquista, due guerre mondiali, la corruzione di Stato, il fascismo, leggi razziali, l’emigrazione ecc. ecc.

Scrisse Napoleone III: “ I Borbone non hanno commesso in cento anni gli orrori e gli errori che hanno commesso i Savoia in un anno”.

Napoleone III primo piano#001 [8]
Napoleone III (1808 – 1873)

Conclusione.

Riassumendo quanto esaminato finora, è chiaro che ai Borbone la riforma demaniale costò il trono essendosi inimicati da una parte i baroni, spossessati dai feudi e tartassati sui fondi liberi, e dall’altra i notabili, i famosi galantuomini, ai quali fu impedito di acquistare le terre demaniali degli ex feudi. Come sempre era accaduto da Carlo in poi, i Borbone ebbero dalla loro parte solo il popolo rurale (i coloni) che, imbracciando ogni tipo di arma, diede vita per 12 anni ad una disperata resistenza per bande, più comunemente conosciuta con il nome di brigantaggio. Al termine di questa enorme tragedia nazionale di cui solo oggi, ad oltre 150 anni dai fatti, si comincia a conoscere l’entità, ci furono 685 mila morti tra i civili e 84 paesi rasi al suolo o bruciati.

Brigante Petrelli#001 [9]

Il brigante Petrelli

Concludo con l’estratto di un’intervista fatta a Luigi Settembrini da alcuni studenti universitari, in merito alla devastazione militare ed economica del Sud causata dall’annessione al Piemonte:
Figli miei, bestemmiate la memoria di Ferdinando II, è sua la colpa di questo!” – “Professore, come c’entra quello lì?” – “Si, c’entra; se egli avesse impiccato noi altri, oggi non si starebbe a questo; fu clemente, e noi facemmo peggio”.

Luigi_Settembrini.OK [10]

Luigi Settembrini (1813 – 1876)

 

Immagine di copertina: Coloni censuari; 1861