Dibattito

L’esperimento borbonico a Ponza e Ventotene. Una goccia nel mare

di Silverio Lamonica Ferdinando II e Vittorio Emanuele II

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Per leggere gli scritti di Sandro Romano citati nel presente articolo digitare – Riforma Borbone – nel riquadro CERCA NEL SITO in Frontespizio .

Dobbiamo essere grati all’amico Sandro Romano per l’analisi storica, minuziosa e puntuale, riguardante la colonizzazione delle isole ponziane nel settecento ad opera dei Borbone, nel contesto della situazione politico-amministrativa e sociale dell’epoca (E’ riuscito perfino a reperire i ritratti di D’Ambrosio e di Luigi Verneau! Se Franco Schiano ed io lo avessimo saputo prima!). Qui mi limiterò a formulare alcune considerazioni, al fine – spero – di chiarire ulteriormente le circostanze storiche in cui maturarono quegli avvenimenti. Senza ombra di dubbio Carlo III di Borbone fu un sovrano “illuminato” e se non fosse stato per lui, molto probabilmente, non ci sarebbero stati questi ponzesi e questi ventotenesi. Ma quegli esperimenti furono la classica “goccia nel mare”, perché “Poco effetto ebbero invece i tentativi di riforma degli abusi feudali nel Regno di Napoli promossi da Carlo di Borbone e da Ferdinando IV, nel Settecento ….” , come notò il Prof. della R^ Università di  Bologna, Pier Silverio Leicht in Enciclopedia Italiana Treccani – vol. XV pag. 179. Inoltre il Prof. Tommaso Pedio in “Briganti e Questione Meridionale” afferma: “Tra le prime riforme intraprese dal sovrano va ricordata la lotta ai privilegi ecclesiastici: ridotti il diritto di asilo e le immunità, i beni ecclesiastici tassati”… ma  “Analoghi successi non si ebbero tuttavia nella lotta alla feudalità: le iniziative che minacciavano maggiormente gli interessi nobiliari furono boicottati”. Quindi a me non sembra – leggendo queste fonti autorevoli – che in tutto il Regno di Napoli, con Carlo III di Borbone, sia stata eliminata l’economia feudale e sia subentrata l’enfiteusi (l’affidamento dei terreni ai contadini non in proprietà). Ponza e Ventotene, con le altre isolette intorno, ben si prestavano per un tale esperimento di colonizzazione, proprio perché erano disabitate ed erano proprietà privata dei Farnese dai quali Carlo III di Borbone li aveva ereditati nella prima metà del Settecento, come giustamente ha osservato Sandro. Ma tale non era la situazione nella quasi totalità dei terreni nel resto del Regno, Sicilia inclusa, dove i Baroni  detenevano saldamente nelle proprie mani la gestione dei “feudi” formati da residenza nobiliare, terreni e contadini (anche questi ultimi, in un certo senso, rientravano nella “proprietà” del barone). E questa “nobiltà agraria” per nulla al mondo avrebbe rinunciato ai propri privilegi. I terreni di Ponza, all’inizio parcellizzati in modo equo tra le varie famiglie finirono nelle mani di pochi dopo i fatti del 1799? Probabilmente Sandro ha visto gli atti della colonizzazione del 1734 e quelli successivi al ’99. Tuttavia nel secolo scorso e ancora oggi i proprietari dei terreni di Ponza erano e sono (in gran parte) i discendenti di quelle famiglie ischitane e torresi: dai Vitiello ai Mazzella ai Sandolo ai Feola, alcuni di loro ingrandirono la proprietà comprando da altri che decisero di emigrare, già agli inizi dell’Ottocento come lo stesso Tricoli riferisce. Ma leggendo il Tricoli e il Broccoli, autore di un saggio storico “Cronache militari e marittime del golfo di Napoli e delle Isole Pontine…” sul periodo napoleonico, documentato nei minimi dettagli, risulta che nel 1809 la guarnigione borbonica e alcuni civili “notabili” tra cui gli ascendenti dello stesso Tricoli, ripararono in Sicilia al seguito del Principe di Canosa. La gran massa dei coloni ponzesi rimase a Ponza, soffrì la fame e grazie al parroco Don Innocenzo Bianchi che assunse “ad interim” il governo dell’isola, si riuscì a formare una delegazione che, recatasi a Gaeta, invitò i Francesi ad occupare Ponza. Così fu superato quel tragico periodo di fame e di stenti. Inoltre, leggendo tra le righe della dotta esposizione dell’amico Sandro, io rilevo una certa simpatia per i Borbone e una qualche avversione nei riguardi dei Savoia. Considerato il modo di gestire il potere: il paternalismo illuminato dei primi che si risolveva però in vantaggi di non poco conto per gli isolani, e dall’altra parte il liberalismo democratico e costituzionale dei secondi che sfociava, ahimè, in tasse, balzelli, leva obbligatoria, mantenimento del domicilio coatto e istituzione del confino politico poi e quant’altro, una certa giustificazione c’è. Però a questo punto io voglio confrontare, per maggiore chiarezza, le due figure dei sovrani che nel Sec. XIX regnavano nei due “staterelli” italiani di maggior rilievo : Vittorio Emanuele II e Ferdinando II. Vittorio Emanuele II Vittorio Emanuele II (1820-1878), come tutti sappiamo, successe al padre Carlo Alberto nel 1849, dopo lo sfortunato epilogo della I Guerra di indipendenza. Si seppe destreggiare egregiamente nelle trattative di pace con l’Austria – vincitrice – e nonostante le pressioni dell’Imperatore Asburgico, tenne fede ai patti con il suo popolo, mantenendo in vigore lo “Statuto” (la Costituzione, promulgata dal padre). Egli un giorno affermò: “Per me voglio governare costituzionalmente, ma voglio far rispettare la legge e perirò piuttosto che subire il giogo di un partito”. Anche per questo si meritò l’appellativo di Re Galantuomo. Seppe  valorizzare il fior fiore degli economisti,  intellettuali e strateghi del tempo da Cavour a D’Azeglio a Garibaldi, tanto per citare alcuni. Ma come re (così come i suoi successori), non riuscì a correggere in meglio le azioni di governo dei vari ministeri che provocarono un divario crescente tra classi sempre più ricche e privilegiate e classi sempre più povere, tanto da deludere lo stesso Garibaldi, come giustamente osserva Sandro. Però seppe accattivarsi le simpatie della nobiltà e della borghesia che allora detenevano il potere economico e, per questo, trovò spianata la strada per diventare il re di tutti gli italiani [Cfr. Walter Maturi in Enciclopedia Italiana Treccani, Vol. XXXV pagg. 510 – 516]. Ferdinando II (1810-1859. Salì al trono l’8 novembre 1830, a soli 20 anni. Ferdinando II Re delle due Sicilie Quando era solo “il principe ereditario”, nel 1820, i carbonari (definiti da Sandro filo massoni) volevano conferirgli la “corona di Lombardia”. Qualcuno gli propose addirittura la corona di Re d’Italia! Insomma il giovane Ferdinando agli occhi di tanti era una vera promessa. Dopo gli avvenimenti del 1848 cambiò totalmente atteggiamento e tornò all’ assolutismo, represse nel sangue i vari tentativi insurrezionali, dai fratelli Bandiera a Pisacane e mise in carcere il fior fiore degli intellettuali del regno: da Settembrini a Carlo Poerio a Silvio Spaventa ed altri. Creò intorno a sé, in Italia e in Europa, un isolamento morale, nonostante gli inviti pressanti a governare in modo liberale da parte dei sovrani di Francia: Luigi Filippo prima e Napoleone III poi. Insomma Re Ferdinando si ostinò a regnare in maniera  ben più retrograda rispetto al suo antenato Carlo III che fu un sovrano illuminato, non rendendosi conto che i tempi – dopo oltre un secolo – erano radicalmente mutati. Ne subì le conseguenze il successore Francesco II (Franceschiello) il quale, salito al trono nel 1859, nonostante avesse concesso la Costituzione e messo su in fretta e furia un governo liberale, fu travolto dagli eventi (la Spedizione dei Mille di Garibaldi) e perse il regno [Cfr. G. Paladino in Enciclopedia Italiana Treccani- Roma 1949 Vol. XV pagg. 7 e 8] A questo punto è lecito chiedersi: “I sovrani borbonici avrebbero forse regnato meglio, in Italia, rispetto ai loro colleghi Savoia? Avrebbero saputo risparmiarci le due guerre mondiali ed il fascismo, con il loro pragmatismo?” …Chissà. Però la storia non si scrive con i se e con i ma, perdonate se rispolvero un vecchio luogo comune. Tuttavia è mille volte preferibile – secondo me – l’istituzione repubblicana  dove ogni cittadino, nessuno escluso, partecipa consapevolmente al governo della cosa pubblica, nelle forme democratiche istituzionali, ben conscio dei propri diritti e soprattutto dei propri doveri; anche se una consapevolezza del genere – oggi come oggi – sia paragonabile a ciò che accadeva nell’Isola dell’Utopia di Tommaso Moro. Tuttavia non dobbiamo demordere per potervi un giorno approdare.

1 Comment

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  1. vincenzo

    2 Gennaio 2014 at 11:10

    Voglio ricordare agli amici Silverio, Sandro Romano, Rosanna Conte come contributo al dibattito tre articoli su Ponza racconta dal titolo: “Intervista al Grande Vecchio. L’orizzonte. 1.2.3.”, pubblicati il 3-4-6 aprile 2013 [digitare – Intervista al Grande Vecchio – nel riquadro CERCA NEL SITO, in Frontespizio – NdR]
    Questa intervista che, va detto, si ispira ad un Grande Vecchio, faceva parte di un lavoro fatto a scuola per ricordare la figura di Carlo Pisacane, ma soprattutto per tracciare un confine di saggezza realistica e non ideologica tra le mezze verità espresse dai seguaci filo borbonici da una parte e i seguaci risorgimentali dall’altra.

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