di Liano Marcaccio
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Riprendiamo e aggiorniamo l’intervista fatta dal nostro Giuseppe Mazzella a Liano Marcaccio, chimico della SAMIP (leggi qui) con ulteriori precisazioni e foto che il sig. Marcaccio ci ha successivamente inviato.
La Redazione
Due foto della Miniera, rispettivamente del 1935 e del 1937 (cliccare per ingrandire le foro e leggere la didascalia)
Mi rendo conto che a quarant’anni dalla sua chiusura la Miniera di Le Forna continui a dividere e a far discutere. Ma non posso non parlare della mia esperienza e vedere la questione dal punto di vista della mia esperienza.
Nel 1962 la bentonite era ormai agli sgoccioli e fui mandato per ricerche minerarie nell’isola greca di Milos. Lì sono stato per sei mesi ed ho trovato un giacimento di milioni di tonnellate da dove la bentonite ancora è esportata in tutta Europa. Cosa che non è stato possibile fare per quella di Ponza.
Come ho già scritto su queste stesse pagine negli ultimi cinque anni di attività, eravamo costretti a usare tufo di letto additivandolo per renderlo commercializzabile.
La bentonite ponzese ha molti pregi, uno dei quali ha permesso di eliminare il fenomeno delle alghe che proliferavano nell’Adriatico. I detersivi delle lavatrici, dopo l’esperimento da me proposto, contengono oggi bentonite.
Sulla questione ancora calda delle polveri, non ricordo che questo problema abbia avuto un’incidenza sulla nostra salute. Se si guardano le foto dello stabilimento, reparto essiccatoio, non si vede nessuna polvere; così per il reparto molitura.
Solo quando si caricava il granulato avente il 15% di umidità c’era della polvere, ma a bordo delle navi, ma non per i nostri operai, perché il materiale era messo nei sacchi, lavoro in cui erano impegnati tutti operai dei Conti. Basti guardare la foto di Silvestro Conte, che è scomparso ultranovantenne, mentre sta fumando una sigaretta.
Vorrei rispondere anche ad altre critiche che sono venute dopo la pubblicazione della mia intervista in riferimento alla “cacciata forzata di centinaia di famiglie”.
Le famiglie evacuate per necessità della miniera non sono centinaia. A me risulta che una sola famiglia di Calacaparra è stata sottoposta a sfratto esecutivo da parte della Provincia su richiesta del Corpo delle Miniere, che ne aveva titolo perché la famiglia non ha inteso accordarsi per la vendita del loro immobile in nessun modo. Tutte le altre famiglie hanno trovato un accordo. Anche se posso pensare che qualcuno sia stato forzato alla scelta di vendere, c’è stato chi ha preferito farsi rifare la casa a Le Forna come Santina. Altre hanno venduto e si sono trasferite in Sardegna, all’isola d’Elba, in Toscana o a Formia e alcuni anche negli Stati Uniti d’America.
Lo stesso mio suocero ha acquistando a Formia, mentre i suoi fratelli hanno voluto per le proprietà in comune denaro che hanno poi reinvestito a Ponza e negli Stati Uniti.
Ovviamente io parlo e ricordo il tutto alla luce della mia esperienza, ma sono anch’io interessato a conoscere se vi sono stati operai che si sono ammalati a causa delle polveri.
Sulla “piovra che divora tutto” credo che in quegli anni non avevamo coscienza del fenomeno e ho motivo di pensare che poi per troppi anni tutta la zona è stata abbandonata senza che nessun “ambientalista” abbia mai alzato la voce.
In Memoria dell’Ing. Savelli

Silverio Tomeo
29 Dicembre 2013 at 11:41
Siamo di fronte a una sorta di revisionismo storico? A un tentativo maldestro di inquinamento della memoria? Consiglio solo di leggere o rileggere da pagina 299 in poi il paragrafo nel libro di Silverio Corvisieri “Zi’ Baldone (accadde a Ponza nel Novecento)”, Caramanica editore, 2003, dedicato appunto alla miniera, alle lotte coraggiose, all’azione del sindaco Vitiello… Da ragazzino ricordo ancora come sotto la casa di famiglia sul Pizzicato assistetti un’estate alla lunga e dolorosa agonia di un operaio della miniera con la spina dorsale lesionata. Già allora circolavano le voci sul tasso fuori norma dei tumori alle Forna.
Biagio Vitiello
29 Dicembre 2013 at 12:35
Vorrei rispondere al “compagno” Tomeo a riguardo dei tumori a Le Forna.
Io ho (forse) quasi la stessa età di questo signore e vivendo e lavorando (come medico) a Ponza tutti i 365 giorni dell’anno, constato che i tumori sono notevolmente superiori a quelli di quando funzionava la miniera.
D’altra parte è una ‘sensazione’ contro un’altra e si sa che le ‘impressioni’ e i casi singoli non fanno statistica e non avvicinano alla verità.
Sia ben chiaro che sono sempre stato contrario al deturpamento dell’isola da parte della SAMIP, anche se essa dava il lavoro a molte persone
Silverio Tomeo
29 Dicembre 2013 at 13:01
La miniera dava il lavoro e dava morte e malattia… se i tumori al giorno d’oggi aumentano sarà anche per fattori sopraggiunti… una volta si campava davvero 100 anni sull’isola! In quanto al “compagno” che mi attribuisci, da cum-panis, con-dividere il pane, non ricordo mai di averlo condiviso con te, ma sarà solo una mia dimenticanza… quindi meno spirito, per favore.
vincenzo
30 Dicembre 2013 at 11:55
Ancora SAMIP? E perché NO! La Samip ha fatto parte per 40 anni della vita dei ponzesi, e vedete che ognuno anche a distanza di tanto tempo commemora i suoi eroi, il Signore Marcaccio ricorda i suoi e noi i nostri.
La miniera è stata chiusa nel 1978 e i cittadini di Ponza hanno votato Alleanza Democratica e il sindaco Vitiello per chiudere la miniera, quindi la maggior parte dei cittadini ha scelto di cambiare strada, non più con il Sindaco Sandolo, non più con i Savelli e la Samip.
Ma la ferita è ancora aperta! A Cala dell’Acqua e a Cala Cecata la ferita sanguina e il CHIMICO Marcaccio infila il suo coltello e sembra dire a tutti gli amministratori che si sono succeduti dal ’75 fino ad oggi: “siete stati capaci solo di chiudere ma non siete stati capaci di ricostruire”