di Alessandro Vitiello (Sandro)
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sabato, 19 ottobre 2013
…datemi pure del “pirla” , come si dice a Milano, ma questa ve la racconto comunque.
Per quanto ci riguarda – me e la mia famiglia- il gemellaggio tra Aglientu e Ponza è arrivato con qualche anno di ritardo.
Mio padre ci teneva tanto a conservare la memoria di un legame antico tra i pescatori di Ponza e i pastori della Gallura e per quanto gli è stato possibile ha fatto quello che ha potuto per tenerlo vivo.
Però gli anni si sono fatti sentire e lo scorso 10 di marzo se n’è andato.
Piccolo dettaglio: il 10 di marzo è anche il giorno in cui è morta mia madre e pure il padre di mio padre.
Qualche mese dopo la sua scomparsa ha iniziato a mettersi in moto l’iter del gemellaggio tra la Pro loco di Ponza e quella di Aglientu e io ne sono stato coinvolto.
C’era però una sorta di malinconia che continuava ad accompagnarmi; peccato che quel vecchietto si sarebbe perso quell’appuntamento che lo avrebbe reso sicuramente felice.
Abbiamo fatto quello che c’era da fare per aiutare chi organizzava quel gemellaggio però, però, però…
Vabbè.
E arriva il giorno della partenza.
Io sarei dovuto andare in Sardegna giovedì 26 settembre ma, quella mattina, facevo fatica a mettere in valigia quelle quattro cose che mi sarebbero servite.
Non lo so: era una strana sensazione.
Andare in Sardegna mi sembrava di fare un torto a qualcuno.
A un certo punto, quasi mi cercasse, il mio sguardo è caduto sul cappello di mio padre.
L’avevo portato via da Ponza nei giorni successivi alla sua morte. Era in un angolo di casa mia e sarebbe rimasto lì per chissà quanto tempo.
In pochi istanti quel cappello è finito in una busta di plastica trasparente insieme ad un foglio che raccontava di mio padre e del perch? lo portavo in Sardegna.
Da quel momento il mio umore è cambiato. Insieme a me c’era la ragione fondamentale del mio andare in Sardegna.
Mio padre, simbolicamente, sarebbe stato comunque con me e con i miei fratelli sulla spiaggia di Vignola.
Il suo cappello ha viaggiato in aereo come bagaglio a mano per non avere brutte sorprese.
L’ho conservato e protetto come avessi qualcosa di prezioso appresso e, quando sabato 28 settembre l’ho messo nelle mani di Maria Pirina, la custode della chiesa di san Silverio a Vignola, mi sono sentito orgoglioso di aver fatto qualcosa di importante.
Quel cappello, il cappello di mio padre, tornava nella chiesa che lui aveva voluto far costruire, su quella spiaggia dove aveva passato più di quaranta anni della sua vita.
Era come se un cerchio importante si ricomponesse e io ne ero felice.
Forse un po’ pirla lo sono, ma sono un pirla contento.
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